UCTAT Newsletter n.1 – maggio 2018
di Elena Mussinelli
Sono trascorsi più di tredici anni dalla formulazione delle prime ipotesi di recupero degli scali milanesi dismessi, aree che hanno iniziato a perdere la loro funzione di servizio alla mobilità e alla logistica già a partire dagli anni ’20 del secolo scorso e che sono rimaste in larghissima parte inutilizzate per decenni. A valle del lungo percorso che ha portato alla sottoscrizione dell’Accordo di programma siglato ormai quasi un anno fa, qual è l’orizzonte temporale ragionevolmente prevedibile di avvio e completamento degli interventi di riqualificazione? Quali i nodi critici ancora irrisolti?
L’esigenza di coordinare lo sviluppo delle aree ferroviarie dismesse con le strategie del Documento di Piano del PGT, la cui revisione è stata avviata nel gennaio 2017, con il contestuale avvio della procedura di VAS. Dopo la pubblicazione del questionario online per l’ascolto della cittadinanza, del “Documento di obbiettivi per il Piano di governo del territorio” e dell’allegato “Documento di scoping” (agosto 2017), non risultano esser stati compiuti ulteriori avanzamenti, né specifici avanzamenti in ordine alle relazioni che intercorrono tra il PGT e i piani/progetti di riuso degli scali, da valutarsi anche per gli impatti cumulativi generati sul piano ambientale e sul sistema della mobilità e dei servizi pubblici sia a scala locale che sull’area vasta della città metropolitana.
La grande scala degli interventi, la collocazione a rete delle aree, le ricadute sul sistema della mobilità, la compresenza di diversi attori e interessi, e l’elevato rischio economico implicato dall’operazione per le criticità del mercato immobiliare, prospettano peraltro un percorso complesso lungo un arco temporale che va ben oltre il decennale di cogenza dello strumento di pianificazione conformativo.
A questo proposito vanno infatti considerati:
– i due ricorsi al TAR Lombardia e il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica da parte di Italia Nostra nazionale contro l’Accordo di programma, ancora pendenti;
– la durata delle fasi di caratterizzazione e bonifica, con i tempi necessari per l’affidamento dei lavori e la loro realizzazione;
– le tempistiche e la scarsa efficacia delle procedure concorsuali, previste dall’Accordo, che in Italia – tra ricorsi e contenziosi legali – arrivano a compimento solo in un caso su cinque e che raramente preludono alla effettiva attuazione degli interventi (con oltre il 60% dei progetti non realizzati per mancanza di fondi e indecisioni amministrative);
– i tempi necessari per sviluppare e portare a sintesi i percorsi di dibattito pubblico previsti dall’Accordo con riferimento ai Masterplan e ai Piani attuativi, così come per i progetti degli edifici più rilevanti e per le aree significative di verde e parchi.
Restano inoltre aperti molti interrogativi circa gli strumenti procedurali e amministrativi che consentano di garantire una efficace regia pubblica delle trasformazioni, come esplicitamente indicato nell’Accordo, sia in funzione di una adeguata flessibilità degli strumenti attuativi in rapporto all’evoluzione della domanda, sia per non incorrere nelle medesime criticità che nel recente passato hanno connotato ad esempio l’intervento di Porta Vittoria, con la costruzione delle sole volumetrie private e la mancata realizzazione degli spazi e delle funzioni di interesse pubblico.
Sembra quindi mancare del tutto una cabina di regia (perché si è scartata l’ipotesi di una società mista sul modello delle STU?), capace di mettere in atto una vera azione programmatoria per la gestione del processo di riqualificazione, esplicitando e monitorando tempi, costi, qualità e fattori di rischio.