UCTAT Newsletter n.65 – marzo 2024
di Paolo Aina
Eravamo appena nati come umanità, dovevamo ripararci e proteggerci da forze di cui non sapevamo nulla ma di cui coglievamo la minaccia.
Eccoci allora a cercare buchi e successivamente ad ammucchiare pietre, ad utilizzare rami per costruire qualcosa che delimitando uno spazio fornisse riparo e sicurezza.
Quasi subito a riparo e sicurezza si aggiunsero le affermazioni di potere, possesso e identità.
Ecco l’architettura, dapprima come messa a punto delle caratteristiche delle costruzioni con l’accumulo di un sapere collettivo per adeguare gli edifici al luogo poi con l’elaborazione di un linguaggio specifico terreno di scontro tra acute intelligenze, invenzioni costruttive e di produzione.
L’accumularsi delle costruzioni dà vita a insediamenti estesi: ecco le città e non basta più aggrupparsi, occorrono regole per stabilirne i modi.
Ad Architettura era nata una sorella: Urbanistica.
Per un po’ di tempo vissero separate ma presto si riconobbero e cominciarono a parlarsi: l’una raccontava della bellezza del costruire e degli edifici, l’altra della razionalità nella suddivisione e sfruttamento di uno spazio inteso solo come una superficie sconosciuta in trepida attesa di costruzioni mirabolanti che la togliessero dall’anonimato.
Assieme alle due sorelle, non molto dopo, nacque anche la casta dei loro sacerdoti pronti a spergiurare che le decisioni prese in loro nome fossero le migliori per il bene collettivo.
Questa nozione non derivava dai desideri della collettività ma dall’accumulo e da una selezione delle idee che le due sorelle avevano affastellato nel corso del tempo, con un gioco di prestigio la realtà fisica: acqua, aria, terra sparivano per fare posto a superfici ben confinate: residenza, industria, artigianato, agricoltura, centro storico…
Le decisioni erano raggruppate in scartafacci sempre più voluminosi chiamati regolamenti edilizi, norme tecniche, indicazioni morfologiche e piani, piani e piani…
Presto però ci si accorse che ciò che valeva in modo ferreo per i normali cittadini era soggetto a interpretazioni e deroghe per altri soggetti. Una veranda? Assolutamente no. Un grattacielo? Beh, si può vedere, parliamone.
Anche le costruzioni nascevano e ancora nascono per palesare quanto l’Architettura e la tecnica possano fare, la grandezza e le capacità dei sacerdoti a generare stupore.
Costruzioni che vengono rinchiuse in recinti che accentuano e marcano le distinzioni sociali.
Tutto è straordinario tra quei muri, e nel fuori?
Fuori le cose sono più ovvie, le costruzioni sono grossi scatoloni con piccoli balconi che a mala pena contengono una sedia per prendere un fresco estivo immaginato. Locali piccoli con finestre piccole che vedono solo altre piccole finestre e, siamo moderni, il soggiorno con l’angolo di cottura a garanzia che gli effluvi si diffondano e non la cucina che contiene gli odori della preparazione del cibo.
Ripensandoci, in ogni caso, parrebbe inutile avere un posto dove preparare il cibo perché questo viene portato a casa da solerti fattorini sia che piova o tiri vento.
Ecco questo delirio: “essere moderni, anzi essere contemporanei” sposta la vita in una dimensione incorporea, lì tutto è perfetto. Parrebbe avverarsi la profezia del film Metropolis (1927) senza gli operai in cantina. Questi ultimi sono stati spostati al di là del mare.
Ma come in tutte le cose allo yang luminoso corrisponde uno yin oscuro: la terra, l’aria e l’acqua che si credevano a disposizione senza oneri presentano il conto.
L’aria si dimostra malsana, l’acqua si accumula e precipita senza pietà in luoghi occupati senza pensarci, la terra è imbevuta di sostanze estranee e trema.
Non sono notizie nuove, da quando si costruisce la lotta con la Terra e le sue manifestazioni genera soluzioni di contrasto con una tecnica senza sprechi. Lo sviluppo di quest’ultima ha portato però ad un incremento dell’uso di un energia che va prodotta in quantità sempre maggiori il cui prezzo viene pagato da un divenire inospitale dell’ambiente di vita per quasi tutti (si salvano gli scarafaggi). Pare giunto il tempo in cui le due sorelle abbiano bisogno di un nuovo corso di studi e rinuncino alla loro autonomia per confrontare le convinzioni che le hanno guidate con la durezza di un mondo dove la convivenza guardinga tra natura complessiva e genere umano ha una problematicità quantitativa e qualitativa solo da poco riapparsa e pensata.

