UCTAT Newsletter n.73 – dicembre 2024
di Paolo Debiaggi
In questi ultimi giorni è stato pubblicato dal Comune di Milano, Assessorato alla Casa, l’”Avviso pubblico esplorativo per l’acquisizione di manifestazioni d’interesse da parte di soggetti privati contenenti soluzioni tecnico – gestionali finalizzate alla realizzazione e gestione di alloggi in Edilizia Residenziale Sociale Calmierata (ERSC) nell’ambito del Piano Straordinario per la Casa Accessibile a Milano”. Era già stato preannunciato dal nuovo Assessore, ma i contenuti di questa iniziativa emergono pienamente solo leggendone il testo. Si tratta di quattro aree di proprietà comunale, di cui la più consistente in termini dimensionali e in ottica di importanza strategica per la città, è rappresentata dall’ambito di Porto di Mare. Abbiamo già parlato diffusamente in questa newsletter[1] di questa area, in quanto da sempre ne abbiamo sottolineato il potenziale valore in termini di rigenerazione urbana e ambientale. In particolare, trattandosi di area di proprietà comunale di consistente dimensione (circa 65ha), di elevato contenuto storico, ambientale e di potenziale riequilibrio ecosistemico per l’intera città.
In generale, relativamente all’impostazione dell’Avviso, nessuna buona notizia. Nessun cambio di passo, solita miope strategia. Visione politica sempre la stessa. Delegare al privato ciò che non sono in grado di fare io. Chiamare regia pubblica l’assenza di ogni regia pubblica. Nel merito, possiamo valutare l’iniziativa, in ottica di politiche urbane, sotto diversi aspetti critici.
Rispetto alle politiche casa accessibile. Nessuna novità o approccio proattivo. Solo individuazione di aree di proprietà comunale da mettere a disposizione dei privati in modo che si facciano loro carico di fornire soluzioni (“contenenti soluzioni tecnico-gestionali”) alla questione annosa. L’approccio in sintesi è questo. Io Comune metto l’area, tu privato ti fai carico di risolvermi il tema della casa accessibile. Come? Ti agevolo consentendoti di realizzare un mix tra edilizia libera (30%), cosiddetta edilizia sociale (60%) e edilizia pubblica (10%) in modo da sostenere la fattibilità economico-finanziaria del tuo intervento. Nel caso specifico, nella porzione individuata dell’area di Porto di Mare, quella più a ridosso di via Fabio Massimo per circa 144.000 mq, si propone la possibilità di edificare 50.490 mq di superficie lorda per residenza libera, 93.700 mq di social housing e servizi abitativi pubblici per 14.400 mq. Con volumetrie di nuova costruzione fino a 6 piani fuori terra. Con un nuovo carico antropico per circa 1.600 nuovi abitanti.
Abbiamo più volte sottolineato i limiti di una tale impostazione. Il tema principale è la definizione di casa accessibile. Accessibile da chi? Con questa formula, edilizia privata per il 90% e pubblica per il 10%, si tratta di agevolare un’offerta per chi ha un reddito, certo e solvibile (e quindi mutuabile dalla Banca). Iniziativa forse encomiabile, favorire l’accesso alla casa per un ceto medio sempre più escluso dai valori riscontrabili nel mercato immobiliare milanese, ma gli altri? Quelli veramente in difficoltà? Chi li aiuta? Non sarà piuttosto l’ennesima formula per favorire l’operatore privato privandosi di una preziosa risorsa pubblica? Dare in concessione in diritto di superficie aree che potrebbero essere diversamente valorizzate in funzione collettiva, per favorire un’edilizia privata al 90%? Sì, non tragga in inganno quel 60% di edilizia sociale. Si tratta pur sempre di edilizia costruita dal privato, gestita dal privato in forma privatistica, sicuramente non rivolta alle fasce più deboli della popolazione. Come ho già avuto modo di scrivere: L’introduzione delle politiche di housing sociale con il Dm del 22 aprile 2008 non ha certamente riportato una nuova attenzione al problema. Infatti, la confusione generata dalla semplicistica interpretazione di social housing, operata ad arte dalla politica per minimizzare il tema e nascondere la propria impotenza, ha di fatto sovrapposto artificiosamente politiche e iniziative con contenuti e obiettivi profondamente diversi tra loro. In alcune realtà urbane, soprattutto localizzate nel nord-centro Italia, si è sviluppato, a partire dai primi anni duemila, il cosiddetto housing sociale, un’offerta di alloggi privati caratterizzata da prezzi di vendita e/o di affitto calmierati da qualche forma di agevolazione pubblica. Si tratta di iniziative spesso sviluppate da soggetti in cui la compagine si è consolidata tra enti pubblici territoriali (Comune e Regioni), fondazioni bancarie, soggetti finanziari privati e soggetti del terzo settore. A parte qualche rara eccezione, i soggetti sviluppatori di questa nuova forma di offerta residenziale, non a caso codificata e sviluppata in Italia nel momento in cui il mercato immobiliare si arrestava drammaticamente a causa della crisi economica generata dalla crisi del credito, vanno identificati in alcuni grandi operatori che alleano temporaneamente o in maniera più strutturata, soggetti istituzionali pubblici e operatori finanziari quali banche, assicurazioni, casse di risparmio, attorno a un progetto di sviluppo immobiliare, spesso confezionato come un prodotto finanziario ovvero come un fondo immobiliare. Fondo immobiliare in cui gli azionisti investono le proprie quote demandandone la gestione operativa a un soggetto gestore, in genere una sgr ovvero struttura di gestione del risparmio anch’essa articolata come società per azioni. Un sistema di strutture societarie e prodotti, concepiti e governati secondo una logica finanziaria, in cui ogni soggetto azionista del fondo (in genere sempre gli stessi) dovrebbe ottenere il proprio tornaconto (o rendimento) e il soggetto gestore (in genere sempre lo stesso) vedere premiata la propria attività. Insomma, negli ultimi vent’anni, anche la produzione edilizia agevolata per i ceti meno abbienti è diventata un prodotto finanziario.
Tra gli interventi più consistenti per dimensione di offerta (realizzati recentemente a Milano), tutti di proprietà di fondi immobiliari gestiti da un’unica principale sgr a capitale privato, si possono citare “Redo connessioni abitative” a Merezzate, “5 square” in via Antegnati al Vigentino, “Borgo sostenibile” a Figino, “Moneta più valore all’abitare” ad Affori, “Quid Quintilliano district” a Taliedo, “Cenni di cambiamento” a Trenno, “Urbana new living” in zona Parco Lambro e “Social village Merlata” inserito nell’enorme progetto di sviluppo immobiliare posto di fronte al sito Expo ora Mind. Già in programmazione, con il solito soggetto gestore capofila, la realizzazione di 1200 nuovi appartamenti in social housing all’interno del progetto di riconversione dell’area dell’ex Macello, aggiudicato attraverso il secondo bando Reiventing Cities.
Ma come detto, queste iniziative non possono rispondere alla necessità di politiche per il vero disagio abitativo che solo l’intervento pubblico con finalità sociale può garantire. Considerando i più recenti Piani comunali di assegnazione delle case popolari, annualmente a Milano, tra Comune e Aler, si assegnano circa 2.000 alloggi di edilizia economica popolare, a fronte di richieste pari a dieci volte maggiori. È del tutto evidente che non solo andrebbe valorizzato tutto il patrimonio esistente di abitazioni pubbliche rendendole disponibili alla domanda, oltre che con interventi migliorativi anche recuperando quello inutilizzato, perché troppo degradato e contrastando quell’odioso fenomeno delle occupazioni abusive, ma anche realizzandone di nuove. [2] Aggiungo ora, possibilmente in aree idonee e in una logica che dovrebbe estendersi alla scala metropolitana.
Rispetto alle tematiche ambientali. Inoltre, non appare neppure efficace, nella pur criticabile ottica di favorire l’iniziativa privata a costruire in Porto di Mare, mettere semplicemente a disposizione un’area così complessa senza neppure avere idea di cosa ci sia dentro e attribuire al concessionario l’onere della sua bonifica. Come si evince dall’avviso pubblico: (…) Dal 1973 al 1981, la porzione più a sud dell’area venne adibita a discarica per rifiuti solidi urbani e negli anni successivi, l’area – di circa 420.000 mq – fu oggetto di riempimento con materiali inerti di demolizione. (…) Gli eventuali costi di demolizione, smaltimento (compreso amianto), messa in sicurezza, ripristino e bonifica delle costruzioni esistenti o dell’area saranno a carico dell’operatore. Qualora emerga la necessità di svolgere attività di bonifica per la compatibilità delle matrici ambientali con gli usi previsti, nel rispetto della disciplina vigente l’Amministrazione valuterà la possibilità di scomputare i relativi costi dagli oneri di urbanizzazione dovuti per la realizzazione di funzioni urbane libere, laddove necessario ai fini della sostenibilità economico-finanziaria dell’intervento.(…).
L’avviso fa cenno a due rilevanti ambiti che Elena Mussinelli così descriveva nella nostra Newsletter di ottobre 2021: Il primo, localizzato a sud, nelle aree per molti anni destinate a discarica controllata che, sempre per l’impegno di Italia Nostra, è stato reso fruibile ed è di fatto fruito, grazie alla definizione di un percorso sterrato per mountain bike, lungo poco meno di 4 chilometri. Ancora nell’ottobre del 2011 questo ambito era stato oggetto di una indagine ambientale finalizzata a verificarne i livelli di inquinamento, con obiettivi di messa in sicurezza e di valutazione per destinazioni urbanistiche compatibili. Non sono a conoscenza degli esiti di tale indagine, né sono riuscita a trovare informazioni in merito alle condizioni di salubrità del sito, né so se siano stati ritenuti necessari, programmati e quindi effettuati interventi di bonifica, oltre la volenterosa e meritoria azione di pulizia operata da Italia Nostra. Anche sul sito del progetto non è reperibile alcuna informazione in proposito.
Il secondo ambito è quello a nord, interessato dalla presenza di edificazioni diffuse e disordinate, attestate principalmente in fregio alle vie Fabio Massimo e San Dionigi. È questo un comparto molto complesso, caratterizzato da dotazioni infrastrutturali precarie e da un eterogeneo sistema insediativo: un tessuto misto fatto di alcune attrezzature sportive (tre impianti sportivi con campi da calcio, calcetto e tennis), carrozzerie, magazzini di prodotti edili, ciclofficine e rivenditori di ricambi per auto e moto, e altre piccole attività artigianali e produttive, edifici fatiscenti, ruderi abbandonati, depositi e discariche a cielo aperto. Frutto di dinamiche insediative incontrollate, poco qualificate quando non del tutto abusive, che hanno di fatto portato all’accerchiamento delle preesistenze di carattere rurale (le cascine storiche Casottello, Casotto, san Nazaro, Corte San Giacomo e, appena oltre via San Dionigi, Nosedo e Grande) ed eroso progressivamente il territorio agricolo. (…)[3].
Risulta del tutto evidente come l’attribuzione al privato di un tale fardello, come la rimozione, pulizia e bonifica di aree così vaste ed eterogenee, senza una caratterizzazione puntuale e preventiva della natura, quantità e costi di tale operazione da parte pubblica, sia un elemento pesantemente ostativo alla realizzazione dell’iniziativa proposta.
L’unico dato acquisibile attraverso le carte del PGT, riporta un’indicazione generica di inquinamento diffuso della falda acquifera da Tetracloroetilene (8,5 contro 1,1 valore soglia ammesso) e Triclorometano (cloroformio_ 0,7 contro 0,15 valore soglia). Considerando l’esistenza di ampie superfici di acque superficiali affioranti (i cosiddetti laghetti) localizzati proprio al centro dell’area, in posizione adiacente alla proposta area da edificare, appare altrettanto evidente la non opportunità di indicare questa come nuova e consistente localizzazione residenziale (1.600 nuovi abitanti!!) senza prima averne considerato, appurato, verificato e garantito, le modalità di completo risanamento. Iniziative simili lasciate al privato (vedi la bonifica della vicina area di Santa Giulia) hanno già prodotto prova significativa di potenziale criticità.
Rispetto al governo e indirizzo della trasformazione urbana Avere visione ed esprimere progettualità è indispensabile per reperire le risorse da destinare a iniziative che abbiano a cuore i bisogni collettivi della città, soprattutto oggi che le risorse locali sono sempre insufficienti e vanno intercettati finanziamenti pubblici nazionali e comunitari. Gli uffici tecnici comunali, indipendentemente dalla loro denominazione, devono essere in grado di definire indirizzi, strategie e progettualità per essere pronti a sfruttare le opportunità di finanziamento sovralocale. Dichiarare in continuazione che non ci sono risorse da destinare alle politiche urbane, quelle per intenderci che mirano a far stare meglio i propri cittadini non quelle che mirano a trasformare la città in un luna park per attrarre consumatori, rende ancor più questa mancanza colpevole. E’ sconcertante che l’azione congiunta di ben tre Direzioni tecniche comunali, “con l’ausilio delle direzioni Rigenerazione Urbana, Verde e Ambiente e Mobilità (…) sono state predisposte le schede attuative con le indicazioni progettuali”, citando l’Avviso, abbia prodotto ad oggi un tale misero contenuto in termini di indicazioni progettuali per la trasformazione di un area ad alta complessità come Porto di Mare. E che rappresenta una straordinaria opportunità, se ben valorizzata, per l’intera città. Ma non come un semplice vuoto da riempire, in cui alla bisogna si indirizzano estemporaneamente le priorità del momento, dal centro commerciale, al nuovo stadio, al nuovo quartiere di “case accessibili”, piuttosto come potenziale vuoto (da edificazione) da conservare e da valorizzare in chiave ambientale.

E’ necessario avere una visione a lungo termine della città, riconoscere la vocazione delle aree, in particolare quelle di proprietà pubblica e orientarne la valorizzazione in chiave di benefici collettivi. Definire le infrastrutture, non solo quelle fisiche, ma anche quelle sociali, e, oggi più che mai, quelle ecosistemiche che devono rappresentare lo scheletro della città, risulta indispensabile per poi individuarne le modalità con cui attuarne la realizzazione. La complessità della condizione urbana richiede sempre più una logica integrata di soluzioni che necessitano di visione, programmazione e pianificazione, che non possono essere delegate al privato. Non ci si può limitare a indicarne le modalità chiedendo ai privati di sviluppare i contenuti.
E a proposito di sviluppare proposte, sarebbe interessante poter esaminare e avere accortezza dell’iniziativa dello scorso anno quando l’amministrazione comunale, proprio per la stessa area di Porto di Mare, pubblicò un analogo avviso per acquisire proposte private di trasformazione e valorizzazione. Che fine hanno fatto le proposte raccolte?
Per concludere, noi siamo convinti che l’area di Porto di Mare abbia una ben diversa vocazione che essere chiamata ad ospitare nuova massiccia cementificazione, indipendentemente per quale estemporanea funzione evocata dalla amministrazione comunale. Vocazione per la quale, già a partire dal 2020, abbiamo indirizzato i contenuti del corso in Urban and Landscape Regeneration Studio [4] tenuto presso il Politecnico di Milano nella sede di Piacenza. Laboratorio progettuale in cui viene richiesto agli studenti, dopo aver attentamente studiato i caratteri e le condizioni dei luoghi, l’elaborazione di proposte per la rigenerazione dell’area. Proposte da indirizzare tenendo in considerazione, in sintesi, di questi principi inderogabili:
- rigenerazione urbana e ambientale in maniera integrata di tutta l’area di proprietà comunale;
- rimozione degli usi impropri e di privatizzazione dell’area restituendola alla libera fruizione dei cittadini;
- rinaturalizzazione e connessione con il parco della Vettabbia e con il paesaggio agricolo del Parco Sud;
- valorizzazione delle presenze storiche sia edificate (il sistema delle cascine storiche nel loro rapporto con la vicina Abbazia di Chiaravalle) che ambientali (colture e reticolo idraulico-irriguo);
- azioni di bonifica dei suoli attraverso fitorisanamento lasciando che la natura faccia il suo corso;
- potenziamento della funzione pubblica attraverso la localizzazione di servizi socio-culturali nei fabbricati esistenti con loro possibile riuso adattivo;
- nessuna nuova edificazione.

Difficilmente l’attuazione di un tale programma potrebbe trovare l’interesse di partecipazione di un privato sviluppatore, in quanto sicuramente non capace di remunerare adeguatamente l’investimento necessario alla sua attuazione. Ma, un’amministrazione pubblica che realmente consideri prioritario il benessere collettivo e sia sostenuta da una chiara visione a lungo periodo, siamo certi, possa ancora trovare la formula per sostenere un progetto con un investimento di sole risorse pubbliche senza, necessariamente, attribuirne l’uso e l’attuazione all’operatore privato.
[1] Newsletter Uctat n.38. Governare Amministrare. Ottobre 2021
[2] P.Debiaggi, L’edilizia residenziale pubblica a Milano. Uctat Newsletter n.55. Aprile 2023
[3] E.Mussinelli, Un parco a Porto di Mare. Uctat Newsletter n.38. Ottobre 2021
[4] Urban and Lanscape Regeneration Studio. P.Debiaggi, P.Branduini, P.Melià. Politecnico di Milano. Facoltà di Sustainable Architecture and Landscape Design. Sede di Piacenza.
