Aler. Le case popolari e la riqualificazione urbana

UCTAT Newsletter n.75 – febbraio 2025

di Carlo Lolla

I temi collettivi sono il punto essenziale nel costruire, o ricostruire, una città. Nel disegnare una città a comparti è opportuno pensare a una città compatta che non eluda l’intorno: è vitale considerare il contesto e la connessione con il resto del tessuto urbano. Affinché́ la nostra città sia piacevole, dobbiamo far leva su patrimoni fondamentali: visione di obiettivi chiari, scelte strategiche, ricerca di soluzioni e del meglio possibile. La qualità del luogo, il suo aspetto urbanistico e la dignità civica sono elementi essenziali.

Alcune zone periferiche e semiperiferiche soffrono di un degrado che deve essere riqualificato ex-novo, per restituire una dimensione abitativa più dignitosa. Un esempio emblematico di necessaria riqualificazione urbana è rappresentato dalle case popolari Aler di piazza Selinunte a San Siro. Quando osserviamo gli ottimi interventi eseguiti tra i primi anni del ‘900 e gli anni ’30, ci rendiamo conto del contrasto con il degrado delle case costruite nel periodo postbellico: edifici oggi fatiscenti, con un’architettura mediocre, insicura e obsoleta.

Le case popolari costruite tra il 1910 e il 1930 sono ancora oggi una testimonianza del livello qualitativo raggiunto, sia dal punto di vista tecnico che architettonico, igienico, economico e pratico, nonostante le diverse esigenze e normative rispetto al dopoguerra. Quartieri come Ripamonti (1905/1906), Tibaldi (1910), Lombardia (1911), il villaggio giardino Baravalle (1919/1920), Gran Sasso, Tiepolo, Postelegrafonica, Andrea del Sarto (1924/1925), Solari (1925/1927), Vanvitelli (1926/1927), Plinio (1927/1928), Lipari (1926/1927) fino ai quartieri Tonoli ed Emilio Melloni (1928/1929), dimostrano come la progettazione dell’epoca cercasse con grande attenzione soluzioni migliori, anche tra molte incertezze.

Il problema della casa è spesso dibattuto in ambito teorico, ma la realizzazione pratica è ben più complessa. Un’opera architettonica di valore richiede uno studio dettagliato in ogni sua parte, compresi gli aspetti costruttivi, materiali ed economici. Questa attenzione è spesso mancata nella realizzazione delle case popolari del dopoguerra. Per evitare che le case popolari si trasformino in ghetti isolati e degradati, è fondamentale adottare una visione più integrata dell’urbanistica. Concentrare l’edilizia popolare in un’unica zona periferica porta a segregazione sociale e minori opportunità per i residenti. Modelli più inclusivi si trovano in città come Vienna, dove le case popolari sono distribuite in tutta l’area urbana, o nei Paesi Bassi, dove si promuove un’edilizia mista per evitare la ghettizzazione.

Vi sono altri esempi virtuosi a livello mondiale. Il modello viennese di edilizia pubblica prevede edifici di alta qualità inseriti armonicamente nel tessuto urbano, con servizi integrati e spazi verdi. A Parigi, il piano di rinnovamento ha trasformato gli enormi blocchi residenziali in quartieri più dinamici, con spazi commerciali e culturali. A Singapore, gli alloggi pubblici rappresentano oltre l’80% del patrimonio abitativo e sono inseriti in contesti misti con infrastrutture moderne. Copenaghen ha sviluppato il modello di co-housing, creando spazi abitativi condivisi che favoriscono l’interazione sociale e migliorano la qualità della vita. Barcellona, grazie al piano “Superblocks”, ha riqualificato gli spazi urbani con zone pedonali, spazi verdi e miglioramento della mobilità sostenibile.

Dal punto di vista sociologico, la segregazione spaziale genera marginalità urbana e isolamento sociale. Psicologicamente, vivere in un ambiente degradato incide negativamente sul benessere e sull’autostima. Per migliorare la qualità della vita in questi quartieri, occorre intervenire su più livelli:

  • Spazi comunitari e culturali: biblioteche, teatri di quartiere, laboratori di arti e mestieri per favorire la socializzazione e l’accesso alla cultura;
  • Miglioramento dell’istruzione: scuole innovative, doposcuola qualificati e opportunità educative per giovani e adulti;
  • Riqualificazione degli spazi pubblici: piazze, parchi e mercati progettati per favorire l’incontro e il senso di comunità;
  • Politiche abitative partecipative: coinvolgere gli abitanti nei progetti di rigenerazione urbana per rafforzare il senso di appartenenza.

Per rendere questi luoghi più gradevoli negli spazi urbani, si potrebbero adottare strategie quali:

  • Aree verdi diffuse: piantumazione di alberi, creazione di orti urbani e giardini condivisi;
  • Piazze multifunzionali: spazi pedonali con giochi per bambini, panchine e aree di socializzazione;
  • Arte pubblica e murales: interventi artistici per valorizzare l’identità del quartiere;
  • Mobilità sostenibile: percorsi ciclopedonali sicuri, stazioni di bike-sharing e riduzione del traffico veicolare;
  • Edifici riqualificati con materiali sostenibili: efficientamento energetico e utilizzo di materiali ecocompatibili.

La questione delle risorse economiche è centrale. Dove trovare i fondi per una riqualificazione su larga scala? Non è semplice, ma alcune strategie potrebbero essere perseguite tramite:

  • Fondi europei e investimenti pubblici mirati: strumenti come il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) o i fondi strutturali dell’UE potrebbero essere indirizzati verso un piano di rigenerazione urbana. Altri paesi europei hanno sfruttato questi finanziamenti con successo;
  • Partnership pubblico-privato: in alcune città europee, progetti di edilizia pubblica sono stati realizzati con la partecipazione di investitori privati, che ottengono incentivi in cambio di interventi di qualità e affitti calmierati;
  • Revisione delle politiche fiscali sugli immobili: tasse sugli immobili sfitti o incentivi per il recupero di edifici esistenti potrebbero generare risorse da reinvestire nell’housing sociale;
  • Riutilizzo di spazi dismessi: ex caserme, uffici pubblici non più utilizzati, edifici industriali abbandonati potrebbero essere trasformati in nuovi complessi abitativi senza consumare ulteriore suolo.

Il caso di Vienna dimostra che un’amministrazione pubblica con una visione chiara può garantire alloggi accessibili e di qualità, senza ricorrere esclusivamente al mercato privato. Milano, invece, sembra seguire la direzione opposta, con una crescita del lusso e una progressiva espulsione delle classi meno abbienti dal centro. La vera domanda da porci è: quale modello vogliamo perseguire? Un’urbanistica che favorisca l’integrazione sociale o una città frammentata tra zone di privilegio e aree marginalizzate?

L’esempio del quartiere Aler di piazza Selinunte potrebbe essere un punto di partenza per una trasformazione profonda: un intervento che rigeneri l’intera area, migliorandone sia l’aspetto urbanistico che quello sociale ed economico. La riqualificazione non deve limitarsi agli edifici, ma deve coinvolgere l’intera comunità, stimolando una crescita culturale e intellettuale capace di rendere questi quartieri veri luoghi di opportunità per tutti.

Fotografie del quartiere Mazzini tratte dal libro: Fabrizio Schiaffonati (2019), Paesaggi Milanesi. Per una sociologia del paesaggio urbano, Lupetti Editore.

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