Cascina Monluè: un progetto di rigenerazione

UCTAT Newsletter n.75 – febbraio 2025

di Angelo Rabuffetti

Anno Domini 1267: anno di fondazione del complesso agricolo e abbaziale di Monte Lupario, nome trasformato nei secoli in Monlovetto, Monlovè e infine nell’attuale Monluè. Si trova a sud di Viale Forlanini, a est della Tangenziale Est e a ovest del fiume Lambro. La chiesa e il ponte che attraversa il fiume Lambro si stima siano ancora più antichi: attorno al 1100.

A quell’epoca la vita era attivissima perché i frati Umiliati di Santa Maria di Brera decisero di costruire, su alcuni loro possedimenti, una “grangia”, ossia un luogo di lavoro e residenza di una comunità religiosa ma anche deposito e riserva di granaglie. Oltre che ragioni di carattere religioso e ideale, concorsero motivi di carattere sociale e politico perché costruirono uno dei primi esempi di libere associazioni che offrivano alle singole persone gli strumenti necessari per una comunità sociale, partecipata, condivisa e lavorativa non soggetta né condizionata da abusi di potere. Forse è per questo che l’Ordine degli Umiliati fu soppresso in gran fretta nel 1571 per opera di Papa Pio V.

Agli Umiliati và senz’altro attribuito il merito di innumerevoli innovazioni: nel campo agricolo per l’invenzione delle “marcite lombarde”, nel campo della regimentazione delle acque a scopo irriguo per la creazione di canali artificiali e chiuse e nel campo della meccanica per i miglioramenti ai mulini per la macina, alle macchine agricole e a quelle per la lavorazione della lana. Per queste ragioni l’Ordine cominciò a diventare potente e quindi pericoloso agli occhi dell’autorità costituita e della stessa Chiesa.

Anche dopo la soppressione dell’Ordine degli Umiliati, Monluè continuò ad essere fiorente e al centro della produzione agricola e dell’allevamento. La proprietà passò per varie mani per quasi 150 anni fino a che divenne proprietà del Pio Albergo Trivulzio e, in seguito, del Comune di Milano. A differenza di molte altre realtà agricole dell’Est di Milano che furono abbandonate e in seguito demolite, Monluè continuò ad essere produttiva con la costruzione delle case per i salariati, il caseificio, il mulino e la stalla “moderna” fino, purtroppo, alla definitiva chiusura delle attività negli anni ’70 del secolo scorso. Una delle principali ragioni del suo tracollo è stata la costruzione della Tangenziale Est che ha ridotto di molto l’accessibilità confinando e isolando Monluè, trasformandola in una sorta di ghetto o “enclave” isolato dal resto del contesto urbano e sociale. È rimasta in vita solo l’Antica Trattoria Monluè dove un tempo si potevano degustare i gamberi di fiume pescati direttamente nel Lambro e il risotto con le quaglie. Oggi è diventato un locale alla moda di prestigio dove, però, i gamberi pescati nel Lambro non ci sono più.

Lo stato di abbandono oggigiorno è prevalente e il degrado edilizio è sotto gli occhi di tutti. Tranne per alcune realtà ancora oggi presenti quali:

  • La Chiesa del XII secolo, dedicata a San Lorenzo, che risponde pienamente alle tradizioni lombarde mediante l’impiego del mattone rosso di argilla cotta e la forma della facciata a capanna con un grande rosone centrale e due monofore laterali con arco a tutto sesto, il campanile quadrato di media altezza e con la parte terminale alta a forma di piramide mentre la cella campanaria è aperta sui quattro lati con bifore a tutto sesto;
  • La Sala Capitolare o semplicemente “Capitolo” è la sala dove i componenti della comunità religiosa si riunivano per leggere ogni giorno un “capitolo della regola”. Per questo la sala doveva essere accogliente, fastosa e “ricca”. Essa è composta da una spina dorsale con colonne in pietra con pulvino e capitelli, sovrastanti archi a tutto sesto costolati con mattoni di cotto; gli archi suddividono la sala in due parti uguali e sorreggono il soffitto in travi di legno. Le pareti erano affrescate ed ora sono soggette a restauri conservativi molto delicati;
  • La casa parrocchiale ora sede dell’Associazione “la Grangia”;
  • Il ponte sul fiume Lambro la cui costruzione è datata attorno al 1100. Composto da due arcate e tre spalle, anch’esso in mattoni di cotto, ora inagibile per decreto di AIPO (Agenzia Interregionale per il fiume Po) competente anche per gli affluenti a causa delle frequenti piene ed esondazioni del fiume.

Il Comune di Milano ha concesso l’uso sporadico della stalla e dell’aia a varie Associazioni cittadine per farlo diventare luogo e momento di aggregazione attraverso l’organizzazione di eventi, feste e concerti, particolarmente nella stagione estiva.

La vera svolta fu nel 2019, quando il Comune di Milano emise un bando e assegnò all’Associazione “Cascina Monluè – La corte del bene comune” per 50 anni l’uso della cascina affinché, tramite le loro attività, si possa ricreare quel legame originario con il territorio e possa accogliere quella parte fragile ed emarginata della nostra società.

Il progetto è di Regione Lombardia ed è finanziato con i fondi PNRR il cui costo stimato è di oltre 6 milioni di euro ma è destinato ad aumentare: Regione Lombardia si è impegnata a integrare il finanziamento europeo in caso di extra lavori non preventivati. 

Per il presidente della Impresa Sociale Cascina Monluè Giovanni Carrara “si tratta di un’operazione di grande coraggio che gli enti stanno avviando. Speriamo di trovare sostegno da fondazioni del territorio, ma anche da aziende e privati cittadini: insomma da chi si riconoscerà in questo progetto che permetterà di restituire alla città un pezzo importante di storia perché possano fruirne tutti”.

Il progetto, soggetto alle prescrizioni attente della Sovrintendenza ai Beni Culturali, riguarda la ristrutturazione e recupero edilizio del vecchio caseificio e parte del monastero e della casa del fattore, al fine di rigenerarli in luoghi di residenza per una casa famiglia che accoglierà ragazzi affidati dal tribunale e sei piccole residenze per mamme con figli vittime di violenza gestiti dall’Associazione “Consorzio Farsi Prossimo” della Caritas  Ambrosiana, l’Associazione “Dolfin” e l’Associazione “Cooperativa Sociale Spazio Aperto”. Inoltre, gli spazi saranno dedicati anche all’Associazione “La Nostra Comunità”, che si occupa dell’inserimento di ragazzi diversamente abili e all’Associazione “Lo Specchio”, che si occupa dell’inserimento nell’ambito lavorativo di ragazzi fragili. Realtà importanti all’interno del Terzo Settore che avranno a disposizione gli spazi della vecchia stalla suddivisa su due piani e la porcilaia.

Attualmente è presente da tempo, negli spazi ormai non più occupati della vecchia casa parrocchiale, l’Associazione “La Grangia” che si occupa dell’inserimento sia sociale che lavorativo di ragazzi immigrati.

Più avanti sarà il turno del vecchio mulino, che attualmente non è disponibile in quanto alcuni spazi sono attualmente occupati da residenze e versa in pessime condizioni, a rischio sicurezza per potenziali crolli. In realtà il bando del Comune di Milano, che è stato emesso circa due anni fa, sfortunatamente è andato deserto.

L’associazione “Cascina Monluè – La corte del bene comune” conta di poter aprire e inaugurare le attività entro la primavera del 2026 quando i lavori di ristrutturazione saranno completati e gli arredi al loro posto. Anche da parte di UCTAT inviamo i migliori auguri affinché questa nobile iniziativa incontri i favori della comunità e si sviluppi al punto tale da lasciare una traccia indelebile di bellezza, inclusione e partecipazione. Rigenerare, nel vero senso della parola, un patrimonio storico, artistico, culturale e architettonico di questa portata non è un esercizio facile. Ridare vita, come un’araba fenice, ad una struttura che rivuole essere fastosa e posta al centro dell’attenzione non è da tutti. È, invece, riservata a chi fa dell’impegno, del proprio ingegno e passione il vero scopo della sua vita. Poi, una volta fatto questo, restituire questo patrimonio ritrovato alla comunità affinché ne usufruisca e ne goda dei benefici, è un’operazione encomiabile e merita rispetto e ammirazione.

Cascina Monluè, Sala Capitolare.
Torna all’Indice della Newsletter