UCTAT Newsletter n.80 – luglio 2025
di Marika Fior
È risaputo che l’Italia è caratterizzata per circa il 70% da aree montane ed è amministrativamente frammentata, con circa l’80% dei comuni con meno di 10.000 abitanti; inoltre, è scarsamente accessibile se non attraverso la mobilità privata.
Quando si parla di “Aree Interne”, per semplificare, si intendono territori caratterizzati da fragilità, come le zone remote e rurali. Le Aree Interne italiane sono aree rurali spopolate, contraddistinte dalla distanza dai principali centri di servizio per istruzione, sanità e mobilità, come classificato dalla Strategia Nazionale per le Aree Interne nel periodo 2014–2020. Questa politica pubblica italiana mira ad adattare le risorse naturali e i fondi europei alle specificità territoriali delle aree svantaggiate di ciascuna regione. Nel 2022 quasi 4.000 comuni rientravano nelle Aree Interne, coprendo il 58,8% della superficie nazionale e abitate da circa 13,4 milioni di persone nel 2021.
L’invecchiamento della popolazione e le emergenze ambientali stimolano la ricerca di sistemi resilienti in cui il benessere delle comunità deve essere al centro. La sanità di prossimità dovrebbe rappresentare un tassello strategico sociale: un vero e proprio punto di accesso ai servizi pubblici, soprattutto per i territori considerati fragili.
È necessario però considerare che l’urbanistica italiana non ha mai integrato realmente la dimensione sanitaria nella pianificazione o rigenerazione urbana, salvo che per la definizione degli standard urbanistici pro capite o la realizzazione di grandi infrastrutture ospedaliere su scala urbana. Attualmente, la logica con cui si localizzano le strutture sociosanitarie risponde più a strategie gestionali delle regioni e delle aziende sanitarie locali che ai reali bisogni delle comunità. Tantoché si denota una mancanza di integrazione tra programmazione sanitaria e urbanistica: spesso gli enti preposti non dispongono di strumenti adeguati a individuare i luoghi più idonei per nuove strutture e le regioni agiscono con ampia autonomia.
Negli ultimi decenni il Servizio Sanitario Nazionale ha introdotto le “Case della Salute”, come punto di riferimento per rispondere ai bisogni sanitari delle comunità, ma le diverse applicazioni a livello nazionale hanno determinato significative disparità territoriali, poiché attuato solo in alcune regioni.
Successivamente, nel 2021 lo Stato Italiano ha approvato il PNRR e le proposte sanitarie per rafforzare il modello di sanità di prossimità con l’attivazione di più di 1.500 strutture sociosanitarie, cosiddette Case della Comunità e Ospedali di Comunità, entro il 2026. Il termine appare troppo ravvicinato per l’attivazione delle strutture; ma le difficoltà nella realizzazione di questo modello innovativo sono evidenti: la mancanza di personale e di un’identità chiara e/o di linee guida nazionali per rendere queste strutture riconoscibili come punti di riferimento per le comunità.
Queste condizioni suggeriscono che la localizzazione di queste strutture sociosanitarie dovrebbe essere pianificata per garantire coesione e accessibilità inclusiva e la loro localizzazione dovrebbe tenere conto delle fragilità dei territori, in particolare delle Aree Interne. Le aree metropolitane densamente popolate, città medie, isole e territori rurali sparsi presentano fragilità diverse e richiedono un approccio sito-specifico per determinare l’accessibilità attuale e futura, e una distribuzione equa tra la popolazione. È necessario superare la logica puramente quantitativa rapportata sui bacini di utenti standardizzati poiché potrebbe non garantire equità nell’accesso ai servizi sanitari nelle aree fragili e interne.
È quindi fondamentale che la programmazione sanitaria si accompagni a una pianificazione urbanistica integrata poichè manca uno strumento urbanistico capace di tradurre il concetto di “prossimità” nel sistema sanitario in funzione delle esigenze dei cittadini.
