Che cos’è l’urbanistica?

UCTAT Newsletter n.81 – settembre 2025

di Fabrizio Schiaffonati

    Le vicende urbanistiche milanesi hanno sollevato inquietanti questioni, oltre gli aspetti strettamente giudiziari.

    Spregiudicati comportamenti di imprenditori, amministratori, dirigenti comunali, professionisti, segnalano un allarmante degrado nel governo del territorio. Una problematica da sempre delicata e controversa della programmazione, progettazione e gestione urbanistica, in grado di determinare con la rendita differenziale ingenti guadagni a scapito del benessere comune. Il Riformismo ha cercato di contrastare questo squilibrio per una città più giusta e democratica, con battaglie politiche e d’opinione che hanno segnato un avanzamento della coscienza civile.

L’urbanistica moderna dal Novecento ha sviluppato principi, criteri, regole, con proposte derivate da approcci ambientali, ergonomici, igienici, funzionali, per una risposta alle esigenze abitative, produttive e di relazioni sociali. In tal senso si può definire una disciplina scientifica per progetti a diverse scale con caratteri sperimentali e incrementali. Una disciplina tuttavia sui generis perché mutua contributi di altre discipline, come le scienze naturali, l’ingegneria, la sociologia, l’economia, ed oggi ancor più. A supporto comunque della concezione dello spazio della città. Senza questa dimensione non si ha l’urbanistica.

    Contributi che si coniugano nel progetto dello spazio pubblico e privato di edifici e infrastrutture. E in ciò sta il suo “specifico disciplinare”. L’urbanistica quindi è tale in questa dimensione progettuale, non surrogabile da altri approcci disciplinari. Nel caso milanese questa evidenza, che ha segnato lo sviluppo della città occidentale, sembra essersi persa. Una dimensione culturale svanita tra diatribe, tenzoni politiche, pronunciamenti di varia natura in cui tutti sembrano diventati urbanisti e studiosi della materia. I media sono stati invasi da articoli, analisi di opinionisti, giornalisti, nonché architetti e docenti di urbanistica senza nel loro curriculum alcun significativo progetto.

    La vulgata prevalente, fatte salve poche eccezioni, suona esplicitamente o surrettiziamente: “L’urbanistica non la devono fare i magistrati”, “La città è cambiata, non si può più stare a regole superate”, “La città è più attraente con le nuove architetture”, “Costruiamo in verticale per non consumare suolo”. E così via, dove ogni considerazione giuridica, etica e disciplinare svanisce in un’enfasi nuovista, smentita invece da una valanga di dati sulle disuguaglianze, le nuove povertà, il disagio sociale, il degrado ambientale, la carenza di servizi ed altro.

    L’urbanistica, quindi, in questo pseudo dibattito è ricondotta a una concezione soggettiva, a un giudizio opinabile. Come se ragionando di medicina tutti avessero la ricetta per curare ogni malattia. Ma l’urbanistica non è un quadro che si appende alla parete o un vestito alla moda che può piacere o non piacere. E di questo passo anche l’architettura si riduce a un pretenzioso involucro fatto solo per stupire. A chi vuoi che importi se i soggiorni guardano a nord, se negli alloggi non c’è riscontro d’aria, se dai cortili sorgono grattacieli con coni d’ombra che oscurano il cielo? Tant’è, “Gli stili di vita sono cambiati, si vive sempre più di notte”, “Altre relazioni hanno sostituito quelle di vicinato”, quindi “Spazi e servizi di prossimità non sono più così necessari”.

    In quest’ottica la città può essere densificata, senza Piani Attuativi e si possono costruire edifici con una semplice SCIA. Opinioni lette sulla stampa, in libri anche con argomentazioni di autori con curriculum universitari dove non c’è spazio per un loro progetto dove poter verificare l’attendibilità delle loro enunciazioni. Così l’urbanistica è data per morta, ridotta a contrattazioni con immobiliaristi e avvocati, in una giungla burocratica e leguleia, senza trasparenza e con discrezionalità.

    Ma la realtà si prende la rivincita. Esposti e denunce di cittadini hanno smosso l’azione della Magistratura, facendo emergere una situazione preoccupante, risvolto di una medaglia di celebrate icone verticali di una malintesa rigenerazione urbana. Il problema sollevato è di palmare evidenza: è vigente una legislazione urbanistica nazionale che fissa limiti e procedure per predisporre i Piani sia generali che attuativi. Regioni e Comuni ne hanno forzato l’interpretazione, in un coniugato disposto di interessi immobiliari e amministrazioni vassalle, in una giungla di impugnative, ricorsi, sentenze contradditorie di TAR, Consiglio di Stato, Cassazione. L’intervento della Procura taglia di netto il nodo gordiano, rendendo peraltro impraticabile una legislazione retroattiva come si è tentato con il cosiddetto “Salva Milano.”

    Allora la questione torna a cos’è l’urbanistica, alla sua funzione, al suo impianto disciplinare con un sistema di regole recepite dalla legislazione con la finalità di migliorare il benessere ambientale e le condizioni di vita dei cittadini. Questo obiettivo si traduce in progetto organico di razionali rapporti dimensionali tra le infrastrutture e i manufatti che configurano l’ambiente urbano. Altre questioni sono rilevanti, ma attengono ad altri ambiti dell’organizzazione politica economica sociale. Evidenti le relazioni tra questi molteplici aspetti, che comunque non dovrebbero mai oscurare il fondamento disciplinare dell’urbanistica che dovrebbe essere soprattutto chiaro a quanti ne scrivono, ne dissertano, la insegnano e la professano.

    In una recente intervista a Elena Granata è dato leggere: “L’urbanistica, è una forma di democrazia. Non è lo strumento della trasformazione dello spazio fisico, ma l’insieme degli strumenti che una città si dà collettivamente per adeguarsi ai bisogni del presente”. (Il corsivo è mio). Ho riportato questa citazione, dove sta il fraintendimento sulla natura della disciplina urbanistica. Un fraintendimento che genera equivoci, perdita di professionalità e competenze tecniche. L’urbanistica è invece lo strumento proprio della trasformazione dello spazio fisico, come nella sua storia e nei suoi progetti di organizzazione dello spazio.

    Le leggi possono essere migliorate ed emendate, le regole e le norme adeguate a nuove necessità, senza però sovvertire la ragionevolezza di criteri ambientali, ergonomici e antropometrici dell’habitat.

Densità insediative, misure e relazioni spaziali, impatti ambientali, debbono essere valutati e ponderati, e non possono essere impunemente sovvertiti dall’ignoranza di fondamenti disciplinari, pena un inquietante arretramento civile. La legislazione va aggiornata eliminando ogni artata ambiguità, con una semplificazione procedurale e burocratica. Ma tutto ciò con un dibattito e un confronto culturale allargato.

    Una responsabilità di chi governa, amministra ed esercita l’urbanistica.

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