Chi decide la città

UCTAT Newsletter n.18 – dicembre 2019

di Fabrizio Schiaffonati

L’opinione pubblica ricorrentemente è informata da fonti giornalistiche sul dibattito relativo a scelte urbanistiche ed edilizie di grande rilevanza per il destino della città. Un dibattito che vede in campo in primo luogo i promotori delle iniziative con l’amministrazione comunale e, in diversi casi, anche la popolazione con pronunciamenti spontanei. Questo terzo soggetto quasi sempre su posizioni critiche rispetto alle soluzioni che vengono prospettate, a partire da una conoscenza diretta, da bisogni e da disagi vissuti in prima persona.

Il dibattito, per la rilevanza strategica delle decisioni da assumere, normalmente si sviluppa su tempi lunghi, con le proposte che evolvono e cambiano, lungo un percorso che ai non addetti ai lavori non appare chiaro rispetto a tempi e modi per pervenire alla decisione finale.

Ciò che la popolazione percepisce con la massima evidenza è che le decisioni per tali rilevanti progetti sono oggetto di complesse trattative con gli organi della pubblica amministrazione – livelli politici e apparati tecnico-burocratici – da parte di promotori di notevole peso finanziario, con un attrezzato management anche giuridico-legale. I cosiddetti stakeholder, “portatori di interessi” che non risultano espliciti se non agli esperti di questioni finanziarie, spesso di scala sovranazionale. Forme di finanziarizzazione dell’investimento immobiliare, particolarmente evidenti nelle città particolarmente dinamiche in questa fase.

Non si può non osservare che al di là della divulgazione della stampa, il percorso del processo decisionale sia confinato in passaggi topici, non espliciti per la pubblica opinione. Da cui emerge, inoltre, il disagio per l’aspettativa di un esito finale che non è prevedibile, condizionato dall’aleatorietà della trattiva. Il problema è quali sono i soggetti che siedono al tavolo della trattiva, con quali carte e con quale forza. L’impressione purtroppo è che il banco sia tenuto dagli investitori, con una libertà di azione molto ampia. 

Se così non fosse, grandi temi come ad esempio quello delle trasformazioni degli scali ferroviari, ancor prima della città della salute, del trasferimento dei poli universitari, e da ultimo quello dello stadio di calcio, non si sarebbero trascinati nell’incertezza per lunghi anni. Appare plausibile pensare che ciò sia dovuto ad una subalternità del decisore pubblico e a una eccessiva delega ai privati, di scelte che di diritto dovrebbero appartenere alla parte pubblica, in quanto generali e nell’interesse di tutti, degli investitori ma anche della popolazione.

È sempre stato questo il compito dell’urbanistica, di piani e programmi per tracciare le linee generali della struttura urbana, la localizzazione delle funzioni strategiche, i pesi insediativi e le regole per il governo del territorio. Molto è cambiato rispetto alla rigida impostazione del passato che finiva per frapporsi a un più dinamico processo che non riusciva a prevedere, con la conseguenza di continue varianti, se non abusi, a quanto approvato. Una evoluzione dei Piani, quindi, che ha introdotto giustamente criteri di flessibilità e di adeguamento temporale degli strumenti urbanistici. Un approccio culturale ed operativo che è stato poi recepito da diversi provvedimenti legislativi e normativi nelle varie forme di accordi istituzionali e negoziali, che ha consentito di regolare in diverse forme il rapporto pubblico/privato.

Tutto ciò, però, non ha superato il fondamentale principio che all’amministrazione pubblica è affidato il compito di definire indirizzi strategici, tenendo conto dei diversi interessi in gioco a partire dalle necessità della collettività, con un disegno della città che deve corrispondere a questo equilibrio. Un processo per nulla semplice ma che è proprio della politica, della sua capacità propositiva di costruzione del consenso e di risoluzione dei bisogni.

Pertanto anche quando non si voglia ricorrere a una rigida zonizzazione e a Piani Particolareggiati (strumenti che vengono considerati superati, anche se con una certa superficialità) sarebbe comunque ancora compito e dovere dell’amministrazione comunale fissare alcune invarianti nella configurazione della struttura e dello spazio fisico di quelle ampie zone in cui si prospettano trasformazioni per peso ed estensione di rilevanza strategica. In altre parole un disegno sulle relazioni fondamentali con l’intorno urbano che dovrebbero essere rispettate, ed anche alcuni vincoli interni che non si riducano semplicemente alla percentualizzazione dell’occupazione del suolo. Questioni invece che vengono di fatto delegate all’operatore a valle di un convenzionamento meramente quantitativo e senza vincoli di disegno urbano. 

L’equivoco di questa impostazione risiede nella convinzione che a maggiore libertà dell’investitore privato possa corrispondere una qualità del progetto legato a una reale domanda e alla possibilità dello stesso di sollecitare proposte di progettisti di più alto livello nella forma concorsuale. Non tenendo conto che ciò rappresenta una delega al privato anche per scelte di non sua stretta pertinenza.

L’amministrazione comunale nel suo rapporto negoziale con gli investitori dovrebbe essere corroborata da un suo disegno urbanistico, pur di ampia scala; con alcune scelte inderogabili, frutto di una analisi dei dati complessivi in suo possesso, di studi puntuali, di progettazioni dei propri uffici ed anche a seguito di concorsi direttamente organizzati e gestiti nelle diverse forme. Anche a garanzia del valore del concorso come processo esteso a una vasta platea di soggetti e quindi in forma partecipata, da cui potrebbero essere desunte le linee generali da trasferire agli operatori privati per la definizione dei loro piani attuativi. Una procedura pubblica trasparente che è altra cosa delle manifestazioni di interesse da ridursi poi ad un novero di inviti che si contano sulle dita di una sola mano. L’attuale pratica, ad esempio, seguita per Farini, come si preannuncia anche per lo scalo Romana.

Questo quadro fa emergere con ancora più forza la necessità di un ruolo dei processi partecipati per le decisioni urbanistiche. Una realtà, quella della partecipazione, che si connota di una costellazione di associazioni, di comitati, di cittadini attivi che palesano e portano a conoscenza le proprie idee anche attraverso i canali di comunicazione dei social media, che allo stato attuale appare congelata, con possibilità pressoché nulle di interferire positivamente nelle trasformazioni della città che riguardano tutti.

Il che appare ancor più macroscopico se guardiamo alle potenzialità dei Municipi, che raggruppano per identità territoriale e per numero di abitanti realtà assimilabili a comunità più direttamente coinvolgibili nel governo delle scelte.

Il Convegno “Rogoredo/Santa Giulia/Taliedo. Le tre sfide” 26 novembre 2019, Sala Consiliare Municipio 4, via Oglio 18