UCTAT Newsletter n.68 – GIUGNO 2024
di Marino Ferrari
Non so districarmi nella intelligenza artificiale, anche perché mi è difficile distinguerla nell’articolato mondo delle intelligenze chiamate artificiali, perché mi sembra che non vi sia una unica ed assoluta intelligenza artificiale. Sono abituato a districarmi tra le discipline che gli umani hanno costruito dentro l’ampia nomenclatura cognitiva. Ammesso che siano definibili come tali. Preferisco trovandomi a mio agio, districarmi nel confronto con le intelligenze artigianali (queste si con l’acronimo vero IA). Parto di conseguenza dalla considerazione, ovvero presupposto del problema, che gli artifici sono programmati e costruiti dagli individui; pertanto, se un artificio è da me ritenuto “deficiente”, significa per me che il suo creatore lo ha prodotto in una condizione di deficienza. Di seguito, nella realtà, apparirà simpatico ed utile ordinare ad uno strumento intelligente una funzione e sentirsi servire immediatamente di quella funzione. Un argomento complesso, ovviamente, come tutte le innovazioni che fanno capo alla “tecnologia”, quella divinità alla quale facciamo riferimento con costante adorazione, ritenendola salvatrice della umanità. Può essere. Nel frattempo, chiediamo ad un figlio o figlia della dea di darci sia conforto che supporto alle nostre esigenze materiali che abbiamo creato complesse seguendo regole imposte e non suggerite dai nostri istinti. Emblematico è il contributo di Castellano per la ultima News. Emblematico perché nella Sua “astrazione” ha messo in imbarazzo la specifica “intelligenza artificiale” ponendole alcuni quesiti importanti e relativi al potere giurisdizionale delle Sovrintendenze (come pure di altri Enti affini). Ritengo che nei giudizi sia pur complessi delle Sovrintendenze, sussista un gradiente di soggettività, mentre dovrebbe esserci, come elemento conduttore ed anche imparziale, quello della oggettività. Un parere oggettivo, a mio avviso, si ispira inequivocabilmente ad un carattere formativo unico, generale e valevole per tutte le sovrintendenze, e per tutte le commissioni del paesaggio e così per tutti i livelli di giudizio che implicano pareri relativi alle “oggettività” di tutti gli interventi (parlando ad esempio di interventi edilizi più o meno in ambito vincolato).
Ritengo che la condizione di vincolo, se maturata correttamente e coerentemente, sia essa stessa “metro di giudizio insindacabile” e la oggettività risieda nella natura che la ispira.
Vivendo in un parco naturale vincolato, ad esempio, qualsiasi pratica che ne coinvolga i presupposti formativi del vincolo debbono essere valutati prima dalla commissione del paesaggio, poi dalla Sovrintendenza, quindi ed in fine dagli uffici comunali o territoriali. Quale può essere il termine di oggettività se in entrambi i casi (enti) il giudizio di fatto è soggettivo? Quale è l’elemento informatore che potrebbe o può rendere coerenti i tre giudizi, ove Ubi Maior minor cessat? Ma in conclusione quale è il “termine” che garantisce la legittimità dell’intervento? Il regolamento edilizio, le norme tecniche di attuazione, lo strumento urbanistico vigente?
Immagino una intelligenza artificiale in grado di governare questi processi di giudizio, immagino l’apporto intellettuale del suo formatore (l’IA non nasce da sé e di per sé, segue indicazioni frutto di intuizioni e di ricerche applicate), immagino la capacità di recepire non solo la complessità delle istanze ma la complessità dei “desiderata”, della esplicita (organica) volontà di affermare concretamente la propria valenza istituzionale sia pure articolata nelle gerarchie decisionali. Qui, in effetti, l’oggettività potrebbe far valere la propria nobilitate. Valutare un interesse culturale potrebbe essere più semplice e sbrigativo: sarà sufficiente introdurre alcuni parametri oggettivi, ad esempio riferiti all’epoca, allo stato di conservazione, alla natura materiale, al processo costruttivo ed il suo autore, ed automaticamente verrebbe stabilito il grado, la qualità di appartenenza alla categoria estesa degli interessi culturali e il grado di intervento ammesso e concesso. E il medesimo procedimento, guidato dalla IA, interverrebbe sul giudizio finale, schematico ma perentorio, come il pollice verso dei gladiatori. Il potere di fatto surclasserebbe quello umano liberandolo da interpretazioni e da condizionamenti corruttivi. Pur rimanendo al momento distaccati da paesaggi troppo influenzati da intelligenze diverse dalle nostre, consapevoli comunque che le nostre sono in grado di costruire livelli di perversione non indifferenti, e uscendo dai conflitti istituzionali che si potrebbero in parte risolvere o assolvere educando “oggettivamente” gli specifici funzionari, vien spontaneo ammettere la IA in un ambito più confacente ai nostri quadri teorici. Una architettura ed una urbanistica delegata alla intelligenza artificiale, una qualche cosa che vada oltre a ciò che strumentalmente viene adottato oggi (sempre sotto le indicazioni umane) utile senza dubbi ma che tutto sommato si richiama a quell’altra intelligenza, quella artigianale, in grado e capace di discernere e selezionare gli strumenti per utilizzarli con sapienza e con circospezione. D’accordo: si progetta introducendo limiti fisici ed anche temporali, si ottengono forme “irreali” ispirate ai materiali (oggettività?) suggeriti a loro volta dalle innovazioni tecnologiche, accompagnate dalle giuste forme di pubblicità. Un compiacimento estrapolato nella virtualità, effimero, che accarezza da subito la sensibilità della immagine riprodotta allo specchio; una forma della illusione, un processo che si riesce a collocare nell’ambito disciplinare della architettura e della urbanistica .Ma non riesco ad immaginare questo “procedere “costruttivo, sia pure impalpabile, e tutto collocato nella nostra mente senza, come un tempo, avere il riscontro di “un foglio e di una matita”, anche se oggi, gli strumenti tecnologici ci consentono, appunto, di traslare i nostri pensieri immediatamente nella “realtà virtuale”, (che di per sé è già un ossimoro, ma a questi ossimori siamo da tempo abituati, anzi, ne coltiviamo le contraddizioni). Sin qui la IA si propone al servizio della manualità per razionalizzare e sostituire anche in parte, gli strumenti materiali ma, mi sembra comunque, non ancora in grado di proporsi come una ed unica “intelligenza artificiale generale”. Non semplicemente, dunque, esecutrice e coordinatrice di nostri imput, ma invece generatrice, sulla base delle nostre intenzioni, del “progetto”; una intelligenza che sia un sistema dotato di creatività e adattabilità simili alla creatività e adattabilità umane: in tutte le sue parti ed anticipatore di tutte le funzioni comprese quelle alle quali dovrà attenersi l’utente cittadino, sia esso appartenente alla sfera privata sia esso e in particolar modo, appartenente a quella pubblica. Poiché sino ad ora gli studi non hanno individuato il meccanismo mediante il quale le componenti del nostro cervello (le regioni celebrali) riescono a collaborare tra di loro per formare quella che noi chiamiamo la unicità dell’io, diventa difficile immaginare una intelligenza artificiale in grado di imitarlo: dopo. E mantenendo la consapevolezza scientifica che, pur avendo chiara la difficoltà del nostro cervello di osservare e controllare la complessità del mondo, il limite “oggettivo” si conforma attorno ad alcune regole semplici sia pure applicate alla complessità. Per questo mi appare fantastico ritrovarmi un giudizio di un qualsiasi ente pubblico che stabilisca la correttezza o meno inequivocabile della mia proposta progettuale. Le regole semplici appartengono alla complessità, vanno identificate e ad essa applicate. Il percorso della burocrazia è tale nel momento in cui qualcuno ne ha tracciato il solco e i suoi guardiani, che corrono il rischio di defungere con le stimmate della burocrazia, non fanno altro che seguirlo, percorrendolo senza apporti critici. Essere critici significa entrare nella complessità per gestirne gli elementi oggettivi. Gli apporti critici vanno coltivati e distribuiti, coltivati nel solco e irrorati. È simpatico richiedere conforto a ChatGPT; io l’ho chiesto ad un funzionario della Sovrintendenza, il quale mi ha confortato (ironicamente dico io) dicendomi che “quella pratica era stata esaminata da un altro funzionario”. Senza discernimento. Ecco, dunque, dove prevale la soggettività, quella soggettività che nel “marchingegno” celebrale viene alla fine filtrata dallo specchio della ragione. E qui per ora, la IA è solo un approccio manipolato dalla de-ficienza umana. In attesa di un vero e significativo conflitto tra uomo e macchina come nelle migliori narrazioni di Isaac Asimov.
