Il robot di Natale

UCTAT Newsletter n.62 – DICEMBRE 2023

di Fabrizio Schiaffonati

Il robot di Natale di Sebastiano Vassalli è un libretto pubblicato anni fa nella Collana Nativitas di Interlinea Edizioni Novara: un lungo elenco d’autori anche noti che hanno scritto di questa festività in termini poetici e fantastici. Ora è stato ripubblicato un testo di Alessandro Manzoni Il Natale 1833 e altri scritti.  Quello di Vassalli, del 2006, si compone di cinque racconti, di cui quattro precedentemente pubblicati sul Corriere della Sera. Un libro di poche pagine, di uno scrittore tra i più importanti del secolo scorso. L’apprezzamento per Vassalli è molto diffuso, i suoi romanzi tradotti in diverse lingue hanno evidenziato vicende, personaggi e aspetti del nostro costume.

L’approccio al Natale di Vassalli è controcorrente, come nella sua indole lontana dai conformismi dell’ambiente letterario. Anche nel Robot di Natale emerge il suo doppio registro: la capacità di rappresentare i paradossi dei comportamenti umani, con la pietas per i drammi del destino che ci accomunano. L’insensatezza del nostro agire – i riferimenti abbondano nei cinque racconti: Israele, Palestina, guerre, solitudini, condizione femminile, povertà, consumismo: oggi quantomai d’attualità – con l’osservazione pessimistica che richiama Leopardi. Tra l’altro su Leopardi Vassalli ha scritto pagine del tutto nuove, con l’acume dello storico che scopre aspetti sotto una diversa luce.  Da questo punto di vista la realtà appare per quello che è, senza infingimenti con una lucida capacità di osservare e approfondire.

Il robot di Natale mi è venuto alla mano mentre almanaccavo sul che fare per le Feste di quest’anno, nell’intreccio di sentimenti, bilanci e proiezioni che la tradizione evoca, dando spazio a quel “Fanciullino” che è in noi. E sul frontespizio di una copia numerata “per gli omaggi dell’autore”, ho ritrovato la dedica di Vassalli in un breve scritto dalla chiara calligrafia con inchiostro rosso, datata Natale 2010. Con gli auguri mi si ringrazia “… della occasione che mi ha offerto di riflettere su un tema a me caro …”.

Vassalli allude alla lectio magistralis da lui tenuta il 25 novembre 2010 al Teatro Bibiena di Mantova su Il nulla e il paesaggio nelle nostre storie. Una delle tre lectio nel Dottorato di Ricerca da me promosso. Le altre, sempre al Bibiena, quelle di Flavio Caroli e Philippe Daverio, poi raccolte nella pubblicazione Le anime del paesaggio.

Nel tardo pomeriggio un mese prima del Natale 2010, dal proscenio del Teatro Scientifico lo presentai al pubblico, seduti in una luce concentrata. In platea e nei palchetti senza un posto libero si era fatto buio, come quando il direttore richiama l’attenzione per l’incipit. Vassalli aveva accettato di essere a Mantova, lui così schivo e restio a comparire in pubblico per sua scelta, lontano da dibattiti e trasmissioni televisive, da premi letterari e da quant’altro del mondo degli scrittori e dell’editoria.

Le sue rare apparizioni erano solo nelle scuole, dove aveva insegnato laureato in Lettere alla Statale di Milano con Cesare Musatti e Gillo Dorfles, con una tesi sul rapporto tra psicanalisi e arte contemporanea. (Della ma conoscenza di Musatti ho scritto in Gli occhi della città, una pubblicazione numerata per gli amici).

Vassalli era accompagnato da Roberto Cigala, docente di letteratura, suo studioso e biografo, e da un altro amico, un artigiano “fabbro-scultore”, coi quali era di casa nel Novarese luogo previlegiato delle sue narrazioni.

Col pubblico dei suoi lettori si percepiva un rapporto simpatetico, catturato da concetti anche non sempre semplici ma di cui non sfuggiva il senso. Vassalli leggeva lentamente senza alcuna enfasi o sottolineatura, e si capiva che ogni parola era stata meditata e soppesata. Ragionamenti che raccordavano il tema del paesaggio a dimensioni storiche ed esistenziali. Aleggiava l’essenza del “Verbo” di cui Vassalli ha scritto. Concetti e riferimenti culturali erano depurati di ogni fronzolo.

Una atmosfera del tutto diversa dalla lectio di Daverio. Daverio era arrivato come un divo su un Maggiolone giallo decappottato, accompagnato dalla sua giovane assistente, in ritardo di una buona mezzora atteso dalla folla che non aveva trovato posto nella sala. Aveva subito preso la scena, con quella capacità unica di affabulare e spiegare la magia dell’arte. Come pure Caroli, abituati a bucare lo schermo televisivo per l’efficacia del loro modo di comunicare. Il contenuto alto della loro trattazione si mescolava a una vivacità mondana teatrale, mentre con Vassalli era come si fosse in una Basilica per concentrarsi sull’interiorità.

Seguiva la cena. Con Daverio un vero e proprio banchetto con decine di ospiti nel cortile del Palazzo Ducale in piazza Sordello. Con Vassalli una decina di persone all’Ochina Bianca, un ristorante tipico mantovano, in una saletta per pochi. Ricordo la presenza di Elena Mussinelli, Matteo Gambaro, Roberto Bolici, Raffaella Riva e mia moglie Alessandra. Vassalli ordinò un riso alla pilota, lui novarese d’adozione dove le risaie tracciano l’orizzontalità del paesaggio con l’umore sullo sfondo del Monte Rosa; e la “paniscia” è il piatto forte. La sua curiosità che esercitava in modo perspicace e anche ironico, si manifestò nella richiesta di spiegazioni su un menù dove la tradizione si unisce al gusto della raffinata cucina dei Gonzaga; unica, con luccio in carpione, anguilla, pesce gatto, che si mescolano al tartufo e a dolci raffinati. Non a caso è stato detta “di principi e di popolo”.

A cena finita Vassalli fu preso da un improvviso malore. Si accasciò a terra. Una perdita di conoscenza di qualche minuto. Un medico presente al ristorante, prontamente chiamato, consigliò di recarsi al Pronto Soccorso. Ma Vassalli che si era ripreso non ne volle sapere.

Dormimmo tutti al residence dell’Università, per rivederci la mattina dopo a colazione e salutarci prima della sua partenza per Maranga di Biandrate dove da tempo abitava.

 Mancato il 26 luglio2015, al suo funerale a Novara, come aveva lasciato scritto, fu recitato il Padre Nostro e l’inno L’Internazionale. In uno dei suoi ultimi romanzi, Le due chiese, Vassalli dice che l’inno dei lavoratori aveva avuto origine proprio alle pendici del Monte Rosa.

Ma tornando al Robot di Natale, il primo racconto prende spunto da una notizia del dicembre del 2003 sul Beagle-2 della Nasa che a Natale sarebbe sceso su Marte. È un suo articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 21 dicembre 2003, dal titolo “Quel desiderio ci spinge a cercare compagnia”. Vassalli almanacca sulle nostre illusioni e così conclude. Siamo soli nell’Universo: o, se anche non lo siamo, ci sentiamo terribilmente trascurati, perché non ci arrivano da nessuna parte dei segnali di essere viventi che ci pongono i nostri stessi problemi; e perché abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a risolvere le nostre umanissime beghe. Cosa dovrebbe regalarci il Robot di Natale? La risposta è semplice: dovrebbe regalarci un nemico. Un nemico esterno, abbastanza lontano da non rappresentare un pericolo immediato, ma abbastanza reale da costringerci ad accantonare in tutto e in parte le nostre liti domestiche. Un nemico che ogni tanto ci faccia “bu” e ci spaventi quanto basta per mettere d’accordo Israeliani e Palestinesi, Mussulmani e Cristiani, Padani e Italiani e chi più ne ha ne metta. Come possiamo volerci bene tra di noi, se non abbiamo un nemico?

Così scriveva Vassalli il 21 dicembre per la ricorrenza del Natale 2003. Sono passati vent’anni e la radicalità e umanità del suo pensiero sono quantomai da monito. Lo stimolo a non piegare il capo per guardare verso l’alto, nonostante le nostre miserie. E non è questo il messaggio del Natale, oltre ogni credo?

Presepe realizzato dai prigionieri italiani nel lager tedesco di Wietzendorf, Natale 1944. Esposto nella Basilica di Sant’Ambrogio di Milano, Natale 2023.
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