UCTAT Newsletter n.26 – settembre 2020
di Marco Tramontin
Il primo e più vivido ricordo dell’arrivo del Covid sono le sirene delle ambulanze che, nel silenzio opprimente della città a cui non eravamo abituati, a tutte le ore ci ricordava quello che stava succedendo.
Come in molte altre città italiane e purtroppo nel resto del mondo, la malattia si era impadronita della nostra vita e degli spazi urbani. A Milano (insieme a Bergamo) il triste primato nel subire inizialmente con più evidenza la presenza del virus e il conseguente sconvolgimento delle nostre abitudini. Dopo qualche mese quella che sembrava un’anomalia milanese e lombarda si è propagata nel mondo, travolgendo altre metropoli ed interi paesi.
Quando non si sentiva la sirena delle ambulanze, dalle finestre di casa lo sguardo spaziava su strade vuote con la sensazione opprimente di un grande silenzio cui non eravamo abituati …. la curiosità e lo sconcerto nel vedere chi circolava senza tenere conto delle restrizioni ma anche i saluti dai balconi, le bandiere, i concerti all’aperto, la voglia di mantenere vivi i legami sociali dal balcone, al telefono o online. Manifestazioni di solidarietà e vicinanza virtuale per esorcizzare la solitudine e il dolore.
I supermercati in breve sono diventati oggetto del desiderio, luogo di socialità e di svago, unico consentito dalle indicazioni sempre mutevoli e spesso contradditorie sulla gestione del “lockdown”, per rispondere alle insopprimibili esigenze della vita quotidiana.
I cani utilizzati come scusa per uscire di casa grazie a disposizioni che lo consentivano giornalmente ai proprietari ma anche gli animali abbandonati da chi era stato ricoverato o non ce l’ha fatta.
Altra conseguenza della ricerca di ridurre la vicinanza sociale (problematica nei trasporti pubblici) e facilitare gli spostamenti, la rapida ma spesso frettolosa (Corso Buenos Aires docet) creazione di piste per la circolazione di bici, monopattini, skateboard e ogni altro mezzo di locomozione “ecologico” individuale.
Ci porteremo a lungo le conseguenze di questa modifica della viabilità con carreggiate ristrette, successiva modifica del codice della strada, pericoli continui e un crescente numero di incidenti che mettono a repentaglio la vita e la sicurezza dei conducenti ma anche dei pedoni spesso ignari del pericolo.
Milano è anche la città italiana dove maggiore è la presenza di abitanti “single” che si sono ritrovati prigionieri della propria autonomia esistenziale, nelle proprie case senza poter condividere l’esperienza con amici e familiari lontani … ancora oggi qualcuno lo racconta con il terrore negli occhi, auspicando di non trovarsi più ad affrontare questo tipo di solitudine senza la possibilità di condividere paure ed emozioni nella quotidianità.
Anche i supporti prontamente offerti con generosità da professionisti e volontari dell’aiuto (psicologi, psicoterapeuti, counselori etc) hanno faticato ad essere utilizzati. Nelle case piccole è difficile isolarsi per parlare del proprio disagio, in presenza di familiari e altri conviventi. Mancando la privacy viene meno anche il potersi confidare e cercare sostegno alle proprie più intime emozioni.
Come la pandemia e la paura della gente hanno influito sulle nostre emozioni più intime? … in primis paura della malattia e timore del prossimo come potenziale veicolo del virus, con conseguente allontanamento e disabitudine all’incontro. L’impatto iniziale ai limiti di fobia dell’ignoto per i più si è lentamente trasformato in più concreta paura della malattia e dell’isolamento, alcuni però già predisposti in tal senso hanno dato sfogo alle proprie ansie e fobie, sostanzialmente isolandosi dal mondo per mesi.

Un effetto collaterale ed opposto della pandemia è la crescente negazione della paura e della difficile realtà da parte di molti, come si è potuto vedere dia comportamenti dei compulsivi della movida e di chi ha iniziato a manifestare nelle piazze contro ogni limitazione sulla base di teorie negazioniste spesso ai limiti della fantascienza.
Lo smart working inizialmente tanto declamato e molto utilizzato a Milano quale effetto ha avuto?
I milanesi che ne avevano la possibilità e si sono mossi per tempo si sono trasferiti nelle seconde case, al mare o in montagna, da lì continuando le proprie attività lavorative in remoto quando le connessioni telefoniche e internet lo consentivano, per l’invidia di chi era rimasto in città e la soddisfazione di chi ne era beneficiario.
Molte famiglie però sono rimaste divise per settimane o mesi per l’improvvisa attivazione di blocchi ai trasferimenti tra regioni. Genitori e figli che si parlavano via Zoom o Whatsapp in mancanza di alternative.
Questo con il tempo ha fatto capire come le abitudini potevano cambiare e come si può immaginare una diversa organizzazione di lavoro e di vita, meno incontri e presenze dal vivo, più contatti da remoto. Così si sono svuotati gli uffici e di conseguenza negozi e pubblici esercizi non più alimentati da un flusso costante di presenze, tra residenti e turisti. La chiusura temporanea o definitiva di molti esercizi commerciali ne è una delle conseguenze più evidenti.
Ora anche la preoccupazione del sindaco Sala sugli uffici vuoti, incluse le tanto acclamate torri di recente costruzione in Porta Nuova o Citylife. Conseguenti gli impatti sul mercato immobiliare, oggi ancora in embrione ma che nel lungo termine si faranno sentire: eccesso di uffici disponibili, cambiamenti nella domanda di edilizia residenziale (case con spazi diversi, idonei allo smartworking e alle altre attività casalinghe, possibilmente dotate di terrazzi o giardini dove poter prendere una boccata d’aria), prezzi fermi o in calo.
Si comincia a parlare di possibile deurbanizzazione a favore dei centri minori da parte di chi non è o non sarà più obbligato al pendolarismo giornaliero con la città (a Londra ad oggi solo il 20% è tornato in ufficio).
Presto per trarre delle indicazioni strutturali ma già sono in atto riflessioni su come utilizzare lo smart working anche dopo la pandemia, anche come misura cautelativa in caso di superamento dei limiti di inquinamento dell’aria.
E il dopo? Come sarà Milano al termine della pandemia e come ci arriveranno i suoi cittadini?
Come si modificherà il tessuto urbano una volta ripristinate normali condizioni sanitarie? Si tornerà alla struttura di prima gravitante sul centro o la distribuzione territoriale delle attività lavorative e commerciali si modificherà strutturalmente, con conseguente redistribuzione degli abitanti?
E per quanto riguarda le emozioni ed i comportamenti delle persone, riusciremo a riprendere i fili della nostra vita come prima o, come preconizzano alcuni psicologi e psicoterapeuti più attenti alle evoluzioni in corso, resteranno in molti tracce dei traumi subiti con conseguente maggiore instabilità, incidenza della depressione e difficoltà nelle relazioni con il prossimo?
Questi alcuni degli interrogativi per Milano e i suoi abitanti conseguenti alla pandemia, le cui risposte arriveranno nel tempo, una volta superata l’emergenza sanitaria.