UCTAT Newsletter n.80 – luglio 2025
di Paolo Debiaggi
Dopo anni di critica, rivolta da questa nostra newsletter verso gli esiti prodotti dal cosiddetto “Modello Milano” sulla città, dal punto di vista fisico-paesaggistico, sociale e ambientale, ciò che è emerso negli ultimi mesi rispetto alle modalità con cui questo modello si è imposto alla guida della città più evoluta e moderna d’Italia è sconcertante. Noi si pensava di avere degli interlocutori con una visione politica che, seppur opposta alla nostra, si fondasse su una precisa strategia. La delega al privato dello sviluppo e trasformazione della città appariva come una convinzione frutto di volontà politico-amministrativa. Una abdicazione di un preciso dovere pubblico di governo della complessità urbana, a nostro avviso, una sempre più stretta e necessaria “collaborazione” pubblico-privata nelle trasformazioni della città che avrebbe riverberato positività per tutti e lustro alla città, a detta degli artefici e sostenitori del Modello Milano.
Ciò che emerge oggi, a seguito delle indagini della Procura su segnalazione di pochi cittadini con la schiena dritta, svela un’altra realtà. Laddove sembrava ci fosse una volontà, una visione politica, legittima seppur da noi criticata, in realtà vi era una deriva incontrollata, una situazione fuori controllo. Nessuna volontà se non quella di non averne e di offrirsi al servizio dell’interesse privato di pochi. Una vicenda in cui la debolezza sconcertante della politica fa il pari con la fragilità e la mancanza di consapevolezza e competenza del sistema tecnico-amministrativo comunale, in cui diversi dirigenti e funzionari venivano orientati da pochi e intrepidi cavalieri del male.
C’era una volta il modello Milano. C’erano i capaci, gli incapaci e gli utili idioti. I capaci erano i fuoriclasse, quelli che sapevano influenzare le decisioni nell’ombra a favore del proprio clan, orientare gli interessi a beneficio di clienti e amici senza il minimo scrupolo e fuori da ogni etica. Gli incapaci capivano poco e si facevano bastare la narrazione artefatta e falsificante. Qualcuno, addirittura, ci credeva pure e si vantava degli esiti mettendoci pure la faccia per rubare qualche merito. Elogiava il modello malato e se ne facevano vanto.
Una compagine trasversale, unita da consuetudine di business, un manipolo di professionisti rispettati e venerati nei salotti cittadini e dai media mainstream, in grado di orientare a proprio piacimento lo sviluppo immobiliare della città, decidendo modalità e beneficiari di tale azione predatoria del bene pubblico. Questo è quanto è successo e bisogna avere il coraggio di dirlo e fare in modo che non si ripeta o, peggio, non si perseveri oltre in tale dinamica. Come abbiamo già avuto modo più volte di scrivere, il problema che a noi sta a cuore affrontare è prima di tutto il vulnus politico-culturale che ha permesso che ciò accadesse. Il malaffare sarà, se provato, ci auguriamo, smascherato e punito dall’azione giudiziaria, ma la prassi amministrativa e professionale necessita di azioni correttive che nascano dalla critica e dal dibattito.
Le questioni rilevanti rispetto al governo delle trasformazioni urbane rimangono le stesse che abbiamo da anni sottolineato: mancanza di trasparenza nella amministrazione della cosa pubblica, mancanza di attenzione e cura delle emergenze sociali e ambientali, squilibrio nel bilanciare interessi privati e bisogni collettivi. A questi temi si tratta di dare risposte adeguate, non più rinviabili.
Correggere gli effetti di tale sciagurata devastazione perpetrata da almeno 15-20 anni ai danni della città sarà difficilmente emendabile. La densificazione fuori da ogni logica senza un ritorno adeguato in termini di compensazione collettiva, il progressivo depauperamento dei servizi e delle dotazioni pubbliche, la rinuncia ad ogni volontà di incidere sul tema casa pubblica e sulla questione periferie, segnano e segneranno il destino della città per molto tempo. Il tempo perduto nel non affrontare la sfida per l’adattamento della città al clima che cambia e alla necessaria transizione ecologica, spendendosi solo in vuoti slogan e assurdi interventi di boicottaggio veicolare, produrranno effetti deleteri per i prossimi anni. L’assenza di ogni consapevolezza nel contrasto alla crescita drogata dei valori immobiliari ha determinato fenomeni di espulsione crescente di popolazione verso l’hinterland e causato l’impossibilità per molti lavoratori di poter vivere nella città, con conseguenti necessità di crescente mobilità da e verso il centro non sufficientemente supportati da interventi di potenziamento del trasporto pubblico con ovvie conseguenze sul peggioramento della qualità dell’aria e della congestione urbana.
Purtroppo, rispetto al clamore mediatico che improvvisamente è scoppiato nelle ultime settimane non vi è nulla di nuovo. La solita dinamica già registrata più volte in questo paese. I principali mezzi di informazione, prima tutti schierati a protezione del circolo dei potenti (finanziatori, sviluppatori, facilitatori) ora, quando non è più possibile circoscrivere le voci critiche e i fenomeni di “mala gestio”, diventati troppo evidenti con la fuoriuscita di trascrizioni delle intercettazioni, con situazioni troppo imbarazzanti per essere silenziate e falsificate, danno fuoco alle polveri, si scatenano e scoppia la caccia ai capri espiatori. Sacrificarne qualcuno per salvare il sistema.
Si dovrà insistere affinchè si vada oltre tale deprimente teatrino e si faccia in modo che la deriva urbana si possa fermare e le dinamiche che l’hanno prodotta non si ripetano. Ad avviso di chi scrive sarà prioritario:
- riflettere e produrre proposte di innovazione disciplinare che portino a riequilibrare ed eliminare le interferenze tra normativa edilizia e urbanistica, considerate troppo spesso ambiti confliggenti quando in realtà necessariamente complementari e ausiliari; l’una a salvaguardia dell’equilibrio tra interessi pubblici e privati nella gestione della città e del territorio, l’altra nel circoscrivere la libertà del privato nel trasformare il proprio bene immobile senza produrre danno al diritto altrui;
- promuovere una revisione della definizione e composizione degli standard pubblici (dal DM 1444/68) che ogni intervento trasformativo dovrà garantire, ma non in senso restrittivo come auspicato da qualcuno, bensì estensivo. Vi sono urgenze a cui l’ambiente urbano è chiamato a rispondere che dovranno trovare le necessarie risorse per essere contrastate. Gli interventi di adattamento al clima che cambia (forestazione urbana, de-pavimentazione, gestione delle acque meteoriche..), ad esempio, sono oggi priorità che andranno realizzate e garantite come servizi pubblici essenziali; così come la manutenzione e cura del patrimonio pubblico di servizi (dagli asili, alle scuole, alle attrezzature sportive, al verde,..) se in termini puramente quantitativi (e andrà sempre e costantemente verificato) dovessero rispondere ai parametri di legge in rapporto alla popolazione insediata, in termini qualitativi dovranno sempre essere mantenuti e garantiti negli adeguati livelli di funzionalità e decoro;
- riconoscere le responsabilità politiche di una stagione politica-amministrativa. Un tale disastro non può essere ricondotto a qualche capro espiatorio. La narrazione autocelebrativa degli esiti nefasti, la battaglia condotta con ogni mezzo per il salva-Milano non possono essere cancellati additandone la responsabilità a qualche pecora nera;
- il Comune di Milano conta circa 20.000 dipendenti. E’ di fatto una grande azienda e gestisce le nostre risorse e i nostri interessi di cittadini. Lo sfascio, quanto meno di un settore rilevante quale è il settore del governo del territorio e dell’edilizia privata, che ha permesso si producesse lo scempio a cui stiamo assistendo, va totalmente rivoluzionato. Chi si candiderà a nuovo Sindaco della città dovrà essere in grado di anticipare il programma dettagliato di come intenderà farlo;
- il nuovo PGT non può essere gestito dagli stessi responsabili di tale sfascio, andranno individuate formule e competenze diverse. E’ già ampiamente emerso come l’attuale impostazione avesse ben altri obiettivi (vedasi le cosiddette porte urbane!) rispetto alle necessità della città;
- cancellare la rigenerazione urbana dalle direzioni comunali e ripristinare l’Assessorato e Direzione Urbanistica e Pianificazione. Senza Piano e visione complessiva della città e del territorio non si può governare la complessità delle tante questioni urbane che l’attualità ci sottopone. Parallelamente, verificare e valutare attentamente l’esistenza delle adeguate competenze tecnico-amministrative negli uffici e rivederne l’assetto complessivo;
- riportare le competenze della Commissione del Paesaggio nell’alveo corretto e non orientarne l’attività in maniera strumentale a togliere responsabilità decisionali che fanno capo a Dirigenti e funzionari pubblici. Le nuove regole introdotte recentemente per la sua composizione, non paiono andare nella direzione necessaria e andranno riviste.
E infine, non rinunciare, all’interno delle categorie professionali che lavorano quotidianamente nei settori della trasformazione della città, alle diverse scale, a produrre una profonda riflessione in merito alle co-responsabilità proprie e dei propri organi di rappresentanza. Ribellarsi a situazioni di predominio di pochi spregiudicati che hanno calpestato a proprio vantaggio ogni regola deontologica, prenderne le distanze e fare in modo che siano merito e correttezza gli elementi premianti nell’esercizio della professione e non le sole logiche clientelari e di appartenenza a clan.
