Franco Zagari e il paesaggio italiano

UCTAT Newsletter n.57 – GIUGNO 2023

di Matteo Gambaro

Con la morte di Franco Zagari, avvenuta il 21 giugno scorso, scompare una figura originale e moderna di architetto e paesaggista. Professore, studioso, saggista e progettista che ha saputo condurre un lungo e coerente percorso di sperimentazione e innovazione sul tema del paesaggio contemporaneo. Numerose sono le opere realizzate, in Italia e nel mondo, e le pubblicazioni scientifiche che hanno costituito passaggi fondamentali per la cultura della progettazione paesaggistica. La cifra caratterista dell’approccio di Zagari è riconducibile ad un unico atto progettuale costruttivo del paesaggio che si sostanzia integrando inscindibilmente architettura e natura con le nuove esigenze della città in trasformazione, e più in generale della vita contemporanea, senza mai eludere la complessità e le contraddizioni del reale. Nelle sue realizzazioni non si colgono scorciatoie per impressionare ne approcci tattici e conformistici, anzi, sono sempre occasioni per esprimere idee e soluzioni progettuali inedite, talvolta con la forza di generare dibattiti e prese di posizione anche accese.

Ho conosciuto Franco Zagari a Roma, in occasione di un dibattito che ho organizzato con la collega Eliana Cangelli della Sapienza e con l’Ordine degli Architetti alla Casa dell’architettura nell’estate del 2017. La manifestazione si è svolta in uno luogo bellissimo, l’ex acquario romano, sede appunto dell’Ordine nel quartiere Esquilino. Abbiamo deciso di impostare il dibattito, che vedeva la partecipazione anche del prof. Fabrizio Schiaffonati, prendendo spunto da due recenti pubblicazioni dedicate al paesaggio: “Piccoli Universali di architettura e paesaggio” di Zagari e “Paesaggio italiano. Viaggio nel Paese che dimentica” di Schiaffonati.

Sono state due ore dense e partecipate con interesse dal pubblico convenuto, nelle quali abbiamo affrontato temi centrali, e non semplici, come il complesso rapporto che intercorre tra paesaggio, regole e vincoli; o tra paesaggio storico e esigenze di antropizzazione contemporanea. Ponendoci spesso interrogativi più che risposte sulla necessità di un approccio laico ed equilibrato sintesi tra natura e cultura, atteggiamento lontano dagli estremismi e delle forzature ideologiche a cui sempre più spesso assistiamo. Dedicando poi le battute finali ad un altro argomento: la bellezza, spesso considerato quasi sovrastrutturale e scontato, o forse addirittura inutile vista la situazione desolante degli spazi pubblici delle nostre città, paradossalmente in un paese unico come l’Italia, ricchissimo di opere d’arte.

Ricordo che durante i lavori preparatori, nelle chiacchierate telefoniche dei giorni precedenti all’incontro, Zagari, sempre gentile e positivo, mi inviò alcuni suoi appunti preparati per l’intervento al convegno “Paesaggio 150. Sguardi sul paesaggio italiano tra conservazione, trasformazione e progetto in 150 anni di storia”, organizzato qualche anno prima dall’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria, ateneo nel quale insegnò per molti anni e dove fondò e coordinò il Dottorato di ricerca in Architettura dei parchi, dei giardini e assetto del territorio. Vorrei riportare alcuni passaggi significativi dei suoi appunti, dedicati al paesaggio italiano:

“Esiste ancora, si chiede qualcuno, un paesaggio ‘italiano’? Direi certamente di si. In gran parte il fascino della nostra idea di paesaggio, soprattutto all’estero, è dovuto al credito del nostro patrimonio storico, ma credo che anche nel tempo presente il paesaggio continui a essere una componente attiva tipica della cultura italiana, con un’immagine inequivocabile a tutte le scale, dal giardino, al Landmark, ai parchi, alla scala vasta, un ambiente lavorato ancora con una capacità artigiana, riconoscibile per i suoi caratteri, che continua nonostante tutto, nonostante noi, ad essere il ‘Bel Paese’, il ‘Giardino d’Europa’. Come per tanti altri campi della creatività vi sono in Italia condizioni favorevoli al prodursi di questa continuità, un benessere ancora diffuso e un mecenatismo pur sempre vivace: la naturale associazione fra arte industria e artigianato, la varietà dell’ambiente naturale e la generosità del clima, la contiguità con tante espressioni figurative che si influenzano a vicenda – il design, la moda, la scenografia, il cinema, le arti in genere e, naturalmente, l’architettura –. C’è poi la risorsa della tradizione del giardino e vi è dal giardino al paesaggio una invisibile continuità di temi che istintivamente governano il nostro modo di fare, sintassi, grammatiche, punteggiature che ordinano racconti complessi. È questo uno dei pregiudizi più dannosi, credere che vi sia una competenza di discipline più o meno congruenti a seconda delle scale, è vero invece che tante discipline si occupano di paesaggio, e fra queste anche una disciplina di antica tradizione che per la sua specificità chiamiamo proprio ‘paesaggio’ […] a me sembra veramente interessante che tante idee determinanti della nostra cultura abbiano trovato e trovino anticipazioni significative nel progetto del paesaggio. Il pregiudizio è dannoso perché frantuma le azioni di governo e di progetto nel tempo e nello spazio, per tassonomie astratte, che non fanno più riferimento alle dinamiche della nostra realtà, che sono in perenne rapido movimento”.

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