Gabbie dorate

UCTAT Newsletter n.75 – febbraio 2025

di Laura Daglio

In questo ultimo periodo, muovendosi per Milano sia in centro che in periferia, emergono dal paesaggio urbano una serie numerosa di edifici di sconcertante similarità. Volumi compatti, austeri, che rari tocchi di colore tentano di riscattare da una straordinaria omologazione, sancita dalla ripetitività delle aperture, minime, spesso di forma quadrata, e che una generale mancanza di controllo complessivo della scala, della relazione con l’intorno o della densità rendono difficilmente comparabili a possibili riferimenti di rossiana o teutonica memoria.

L’osservatore curioso si informerà sulla destinazione funzionale di queste nuove realizzazioni, apprendendo che si tratta di residenze studentesche, prevalentemente di iniziativa privata, ma non solo, sorte per soddisfare un significativo fabbisogno abitativo che recentemente ha connotato l’edilizia sociale, oggi ripensate con formule innovative di coabitazione e lanciate dalle politiche quali importanti potenziali strumenti di rigenerazione urbana e sociale.

Eppure, queste architetture introverse, che non offrono alcun rapporto con l’esterno o la città, né da un punto di vista spaziale né simbolico rappresentativo, ma sono prevalentemente incentrate sull’efficacia del servizio abitativo temporaneo offerto negli spazi interni privati o comuni, non paiono rispondere a questi obiettivi, ma a ragioni più semplicemente economiche. Difficile è credere, come si legge in letteratura, che in queste nuove realizzazioni si attui una formazione anche umana degli studenti affinché si inseriscano in un sistema di rapporti attivi con i coetanei e gli abitanti del quartiere, rafforzando un percorso di responsabilizzazione e crescita sociale. La quasi totale mancanza di relazione con lo spazio esterno scarsamente è supportata da cortili “paesaggistici” interclusi, che spesso coincidono con la copertura di box interrati. Sembra piuttosto che rispecchino un’intera generazione che maggiormente predilige gli spazi interni confinati o virtuali e la digitalizzazione alla realtà fisica degli scambi interpersonali.

La razionalizzazione dei costi di costruzione e gestione consente il massimo profitto e definisce le scelte progettuali. Gli investimenti negli spazi collettivi interni e la riduzione delle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, infatti, sono probabilmente alla base delle soluzioni compositive e di facciata che applicano un atteggiamento di sconcertante banalità dopo un secolo di sperimentazioni di ERP. Eliminati sporti, balconi, loggie o altre possibili inutili articolazioni dell’involucro, che tanto incidono sui costi di realizzazione, restano le finestre necessarie per i requisiti igienico sanitari. La vituperata standardizzazione delle aperture non deriva da tentativi di razionalizzazione e prefabbricazione che caratterizzava l’ondata quantitativa delle realizzazioni di edilizia sociale fra 60 e 70, quanto da ragioni anche energetico gestionali. Le forme compatte, la minimizzazione dei vuoti, la sovrapposizione non integrata del fotovoltaico consentono di ridurre i consumi secondo un approccio alla interpretazione della sostenibilità di tipo conservativo, prestazioni certe e misurabili, appiattite sulla normativa vigente.

Quantità invece di qualità, favorita dall’assunto che possa virtuosamente rispondere a una domanda abitativa fragile. La mercificazione dell’offerta di residenza temporanea ha sviluppato un vero nuovo tipo edilizio con un linguaggio riconoscibile e ricorrente, molto simile alle catene alberghiere di medio bassa categoria, dove la funzione seppure aumentata, supera la dimensione rappresentativa collettiva, la generazione di senso, dimostrandone l’inessenzialità. Architettura come bene di consumo del capitale finanziario con la linea griffata dei grattacieli iconici e la produzione da mass market economica ma accompagnata da una sapiente narrativa pubblicitaria.

Villaggio Olimpico/ Residenza universitaria, Scalo Romana (fotografie dell’arch. Paolo Talso)

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