Gli assurdi delle pratiche edilizie

UCTAT Newsletter n.22 – aprile 2020

di Arturo Majocchi

Appare utile ricordare che la semplificazione edilizia prevista nell’ultimo triennio ha avuto come principale obiettivo quello di “scaricare” sul professionista le responsabilità che prima gravavano solo in capo agli sportelli unici dell’edilizia, apportando – soprattutto attraverso i due decreti, il n.126 e il n. 222 – rilevanti modifiche al Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001). In tal senso hanno operato, nello stesso periodo, alcune delle più recenti norme fondamentali e in particolare:

In precedenza, la cosiddetta “Riforma Madia” n. 124 del 2015, aveva già introdotto alcuni aspetti per la semplificazione amministrativa delle procedure per gli interventi edilizi. Comunque i due decreti 126 e 222 evidenziati, chiamati per semplicità SCIA 1 e SCIA 2, introducono modifiche rilevanti quali ad esempio l’obbligo di modulistiche unificate per i Comuni e l’inizio immediato dei lavori nei casi in cui non siano necessari altri assentimenti, l’aumento delle tipologie di intervento che non richiedono alcun titolo abilitativo (“attività di edilizia libera”), per le quali viene abolita la presentazione di alcuna dichiarazione/comunicazione. A queste modifiche se ne aggiungono altre di tipo sanzionatorio nei confronti di dipendenti pubblici inadempienti. Altrettanto dicasi per il DM del 2018.

Ma più in particolare nella Tabella A del D.lgs. 222/2016 (SCIA 2), che definisce i regimi amministrativi da applicarsi (Comunicazione; SCIA; SCIA unica; SCIA condizionata; Autorizzazione; Autorizzazione più SCIA, SCIA unica o Comunicazione), ha tre sezioni di intervento, rispettivamente: attività commerciali e assimilabili con 107 attività; edilizia 105 attività; ambiente 34 attività; si rimanda per la definizione delle procedure a ben 20 provvedimenti legislativi dal 1904 ad oggi oltre al cosiddetto D.Lgs 380/2001 chiamato (forse ironicamente Testo Unico dell’Edilizia). Non è finito, in quanto nel successivo DM 2/2018 nel Glossario allegato si definisce l’edilizia libera attraverso quattro elementi: regime giuridico, categoria d’intervento, elenco principali opere, elenco principali elementi costruttivi riferiti a ben 58 tipologie di opere.

È stato riportato l’elenco dei principali provvedimenti assunti a livello nazionale e alcuni dei principali contenuti procedurali, ricordando però che altrettanti sono stati presi anche a livello regionale e comunale, con l’obiettivo di mettere in evidenza che è stata avviata una attività di semplificazione delle procedure in materia di edilizia, sottolineando come ci sia stata indubbiamente una consistente attenzione al problema. Ma purtroppo, nei risvolti interpretativi, applicativi e operativi a livello comunale il risultato non s’è visto, o per lo meno è stato limitato. Quali possono essere i motivi?

È infatti innegabile che vi sia stato uno sforzo diretto alla semplificazione, introducendo, a livello legislativo nazionale, alcuni provvedimenti efficaci quali l’edilizia libera, la SCIA, la modulistica unica, la conferenza dei servizi, ecc., ma in termini operativi con il sovrapporsi di altre norme e procedure a livello regionale e locale il beneficio è stato annullato. Ciò è avvenuto, ad esempio, in minima parte definendo gli interventi non più soggetti a comunicazione (abolizione della CIL), e concedendo l’inizio dei lavori immediato alle CILA e a quelle SCIA che non comportano assentimenti di altri enti.

Soprattutto a livello locale, per poter operare una vera ed efficace semplificazione delle procedure in materia edilizia, essa deve essere necessariamente accompagnata da una pesante e organica riforma della burocrazia amministrativa, a livello regionale ma ancor più a livello locale. Infatti, si tratta di governare un processo (l’assentimento di un titolo edilizio), che fondamentalmente vede due soggetti protagonisti contrapposti: l’operatore privato e il responsabile/i pubblico. La semplificazione può avvenire solo trasferendo all’operatore le responsabilità che prima competevano all’interlocutore pubblico, al quale deve rimanere la competenza del controllo. Pertanto il primo nodo da superare in questo passaggio è, purtroppo il pregiudizio da parte della pubblica amministrazione, che considera con “sospetto” e quale nemico l’operatore privato, al quale impone spesso vincoli, norme e procedure con interpretazioni che comportano spesso molti margini di discrezionalità, proprio per la pletora dei riferimenti legislativi e normativi. Inoltre in questa situazione, quando a livello locale più enti devono esprimersi, si verifica inevitabilmente un vortice perverso di deresponsabilizzazione, che annulla anche quei pochi riferimenti temporali previsti dalla normativa stessa, eliminando così i pochi limiti temporali in grado di definire certezze sulla operatività. È il caso del RUP, il Responsabile Unico del Procedimento, figura creata dalla pubblica amministrazione per governare l’intero processo dell’assentimento di un titolo edilizio quale il PdC, che svolge solo un ruolo burocratico di assemblaggio dei documenti, senza esercitare un vero e proprio ruolo di Project Manager, come era nelle prime intenzioni, ovvero di gestore, coordinatore, integratore e di competenze e unico referente nei confronti dell’operatore privato.  Manca totalmente il rapporto fiduciario e collaborativo fra i due soggetti: pubblico e privato, ovvero amministrazione pubblica e operatore privato.  All’operatore privato dovrebbe essere demandata la responsabilità della correttezza del proprio intervento, al pubblico l’accompagnamento dell’operazione e il controllo finale con tempi certi.

Una drastica riforma organica della legislazione e della normativa, impostata attraverso un salto culturale nella definizione e nell’attribuzione di nuove responsabilità fra pubblico e privato, comporterebbe l’esubero e l’inutilità di molto personale amministrativo, che bloccherebbe qualunque innovazione in quanto indebolirebbe ruoli e posizioni di potere. Infatti la sempre crescente complessità delle norme ha prodotto lo elefantiaco della pubblica amministrazione.

Quale è stata la drammatica conseguenza di questa situazione? Una bassa e diffusa qualità del prodotto architettonico e del suo inserimento nel contesto urbano esistente.

Fotografia di Gabriele Basilico del 1978. Uffici Comunali di Milano, progettista Vittorio Gandolfi (1919-1999). Architetto razionalista della seconda generazione, molto attivo a Milano. Progettista, tra gli altri, della Chiesa di S. Francesco di Sales in via della Commenda, dell’edificio residenziale Incis in via Negroli con Giuseppe Ciribini e dell’Aerostazione di Linate. È stato anche professore di Composizione architettonica al Politecnico di Milano e Membro della Commissione urbanistica del Comune di Milano.