Green e greenwashing a Milano e nelle città europee

UCTAT Newsletter n.80 – luglio 2025

di Elena Mussinelli

Nel settembre 2022, Paolo Pileri ha lucidamente descritto le recenti dinamiche del consumo di suolo che hanno investito la città di Milano (https://altreconomia.it/il-suolo-non-mente-il-verde-cancellato-di-milano-e-le-promesse-della-politica/), documentate anche dai perodici Report Ambientali SNPA su “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” (qui il più recente, Edizione 2024, n. 43/2024).

Tra le molte osservazioni di Pileri, trovo rilevantissima questa: «Ultimissima considerazione va al fatto che nessun “medico urbanista” prescrive obbligatoriamente di trasformare aree dismesse o abbandonate, e nel frattempo spontaneamente naturalizzate o riforestate, in aree urbanizzate. Milano non è una capitale europea che può vantare una percentuale di aree verdi da far tremare la classifica delle città green del mondo. Lasciare completamente o in larga parte a verde queste aree (come gli scali ferroviari o nel quartiere Bovisa che invece vengono dichiarate già urbanizzate, quando invece non lo sono) vorrebbe dire far respirare una città che rimane una tra le più inquinate d’Europa. Invece si decide di riempirle di cemento, spesso per abitazioni economicamente non accessibili alla popolazione e a chi ne avrebbe bisogno».

Non una delle numerosissime aree dismesse presenti sul territorio urbano è stata colta come occasione per invertire il segno della pianificazione nella direzione, ad esempio, di quanto prospettato dalla Nature Restoration Law[1], elemento chiave della Strategia Europea per la Biodiversità, che stabilisce obiettivi vincolanti per il ripristino degli ecosistemi degradati, in particolare di quelli caratterizzati da un elevato potenziale di cattura e stoccaggio del carbonio; ma anche per prevenire e ridurre l’impatto delle catastrofi naturali. Un regolamento ambizioso che prevede, ad esempio, interventi per «aumentare gli spazi verdi urbani con caratteristiche ecologiche, come parchi, alberi e zone boschive, tetti verdi, praterie di fiori selvatici, giardini, orticoltura urbana, strade alberate, prati e siepi urbani, stagni e corsi d’acqua, tenendo in considerazione, tra l’altro, la diversità delle specie, le specie autoctone, le condizioni locali e la resilienza ai cambiamenti climatici»; e anche per «convertire le aree dismesse, le ex aree industriali e le cave in siti naturali».

La trasformazione di infrastrutture e spazi urbani degradati, artificiali o dismessi in ambiti a rilevante connotazione naturale può essere operata con diverse modalità, sia attraverso approcci passivi “senza intervento” (lasciando ricrescere spontaneamente la vegentazione, un po’ come avvenuto – senza intenzionalità alcuna – nella “goccia” di Bovisa), sia con interventi più attivi e strutturati (attraverso la piantumazione di specie autoctone, la creazione di zone umide o il ripristino delle funzioni idrologiche).

Una missione impossibile per Milano?

Eppure diverse città europee negli ultimi decenni si sono mosse in questa direzione, con realizzazioni anche molto significative.

Recentemente, con Giovanni Castaldo, ho avuto l’opportunità di visitare Madrid Rio, una vasta area a parco lungo il fiume Manzanares,ricavata attraverso l’interramento di un tratto di 10 chilometri dell’autostrada M-30. Un’opera ingegneristica monumentale avviata nel 2004 che ha portato al recupero di quasi 3.000 ettari di terreno, con il ripristino del flusso naturale del Manzanares e la riconnessione del centro città con i quartieri meridionali/occidentali, prima separati dall’autostrada. Un parco lineare dall’ampia sezione, ricco di piantumazioni in terra profonda, che offre alla città nuovi spazi per il relax, lo sport e le attività culturali.

Nulla a che vedere con la “foresta sospesa” e il “parco” a scavalco della ferrovia allo Scalo Romana; un sito che – data la sua originaria proprietà pubblica e la rilevanza della rendita generata dalla trasformazione immobiliare – ben si sarebbe prestato a scelte di grande respiro.

Madrid Rio.

Persa anche l’occasione di un grande progetto strategico di riconnessione ecologica lungo il sistema degli scali ferroviari milanesi dismessi (sparita la greenway, tutti sostanzialmente urbanizzati, vedremo cosa resterà del previsto parco a San Cristoforo…). Diversamente ad esempio da quanto avviato nel 2025 e già in corso di realizzazione a Rotterdam, con la formazione di nuovi parchi attrezzati lungo e sopra l’ex viadotto ferroviario Hofbogen (2 chilometri di verde vensile attraverso 4 quartieri) e nelle aree portuali di Maashaven e Rijnhaven. Un’idea già collaudata con la High Line di New York, che avrebbe potuto ispirare anche la rigenerazione del cavalcavia Corvetto, dato che l’ipotesi della sua demolizione – discussa da anni – pare ormai irrealizzabile (se non si sono trovate le risorse con l’occasione delle volumetrie sullo scalo Romana, difficile che si possano trovare in futuro…).

Hofbogenpark a Rotterdam.

Si può citare poi anche il noto Tempelhofer Feld di Berlino, i 386 ettari della piazza d’armi ed esercitazioni già da tempo utilizzatati dai berlinesi nei fine settimana, in alternanza alle attività dei militari, e poi – con la chiusura dell’aeroporto nel 2008 – recuperati e attrezzati per la fruizione pubblica. Inizialmente era stato previsto uno sviluppo immobiliare, ma la forte opposizione dell’iniziativa popolare “100% Tempelhofer Feld” e il Referendum cittadino del 2014 hanno sancito in modo schiacciante il blocco dei piani di edificazione e l’istituzione del vasto parco pubblico non edificato. Con un consistente investimento pubblico per la realizzazione e la manutenzione (oltre 2,6 milioni di euro). Operazione imparagonabile, per scala, metodo partecipativo e deliberativo, e per fruibilità, con quella realizzata sul sedime dell’antica piazza d’armi milanese, poi divenuta sede della Fiera Campionaria, oggi trasformata dai lussuosi grattacieli ed edifici terziari e residenziali a firna delle più note archistar internazionali.

Tempelhofer Feld, Berlino.
Tempelhofer Feld, Berlino VERSUS ex Piazza d’Armi-Fiera Milano-City Life, Milano (comparazione in scala).

Né, ancora, mi risulta sia stata attuata anche una sola azione di “liberazione/restituzione di suolo consumato” analoga, ad esempio, a quella che ha caratterizzato il recupero dell’isolato Mazagran e Jardin D’amaranthes a Lione, dove un’area di circa 5.000 mq occupata da manufatti dismessi è stata oggetto di interventi di demolizione (edifici degradati e fatiscenti) e desealing (area di parcheggio) che l’hanno trasformata un una nuova piazza corredata da giardini pubblici di comunità.

Tutto all’opposto, in questi ultimi anni, hanno proliferato a Milano interventi di saturazione che, al di là delle inchieste circa la loro di conformità regolamentare, sembrano negare programmaticamente ogni possibilità di incremento degli spazi pubblici e verdi della città. Come nel caso del “giardino nascosto”: un condominio con 45 appartamenti di lusso, alto 7 piani (27 metri), che occupa 3.530 mq interclusi all’interno di un cortile, realizzato in sostituzione di un volume preesistente alto 12 metri circa. Certamente il giardino è davvero be nascosto… sempre che non si intenda come tale il verde pensile che compare sulle terrazze nei render delle abitazioni private.

Jardin D’amaranthes a Lione.
Hidden Garden a Milano.

Molti altri esempi si potrebbero fare, anche con casi di rigenerazione ambientale di interi quartieri della periferia storica e/o più recente, con azioni sistematiche e organiche volte a un progressivo innalzamento della qualità urbana e della fruibilità degli spazi pertinenziali, pubblici e di uso collettivo, anche per mettere in valore sistemi insediativi connotati di elevato valore architettonico testimoniale (già nel 2008 a Berlino sei quarieri residenziali rappresentativi della modernità sono stati inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO, tra i quali ad esempio il Großsiedlung Britz Hufeisensiedlung costruito nel 1925-31 da Bruno Taut e Martin Wagner, perfettamente conservato e manutenuto e oggetto di notevole interesse anche turistico). Perché non riservare simili attenzioni e cura a realtà analoghe del contesto milanese? Gli esempi di pregio non mancano… (si veda il volume “Quindici  quarieri milanesi”, scaricanile a questo link: https://www.theplan.it/politecnica-university-press/dallina-casa-alla-gescal-15-quartieri-milanesi).

Il Großsiedlung Britz Hufeisensiedlung di Taut e Wagner a Berlino e una immagine del quartiere Feltre a Milano (foto di Stefano Topuntoli).

Peraltro non manca qualche esempio della capacità e delle competenze tecniche presenti nell’amministrazione comunale milanese nel progettare e attuare interventi ad elevata valenza ambientale. Come nel caso della realizzazione in via di completamento per la protezione idraulica e la riqualificazione paesaggistica dell’ambito golenale del fiume Lambro nel tratto urbano compreso tra via Idro e il Naviglio Martesana, un investimento di oltre 8,5 milioni di euro finanziato dal PNRR, che in prospettiva dovrebbe recuperare anche il piccolo intorno di Cascina Lambro e che prevede anche la realizzazione di un nuovo percorso ciclopedonale connesso alla ciclovia della Martesana.

Piano di interventi per la protezione idraulica del territorio nelle aree golenali del fiume Lambro a Milano.

Con una prospettiva non dissimile sono in corso di elaborazione alcune proposte per l’ambito territoriale del Quartiere Ponte Lambro, nel contesto del progetto europeo UTOPIZE- Urban Transformation through Open Participation and Inclusivity for Citizen Empowerment (HORIZON-MISS-2024-NEB-01-02 New governance models for the co-design and co-construction of public spaces in neighbourhoods by communities), che prevede un intervento pilota dimostratore riferito a tre aree ritenute importanti per migliorare la qualità ambientale e sociale di questo quartiere periferico. In particolare, per le aree 1 e 2 sono allo studio interventi ambientali, quali la forestazione urbana e la creazione di bacini di ritenzione delle acque piovane per una gestione sostenibile delle acque meteoriche e del rischio alluvionale, anche con la proposta – a medio termine – di realizzare un ponte ciclopedonale che ricolleghi il quartiere alle aree di Santa Giulia (Arena olimpica e parco), mentre per l’area 3 l’obiettivo è quello di potenziare i servizi pubblici e migliorare l’accessibilità.

Con l’auspicio di riuscire a dimostrare che anche a Milano si può fare vera rigenerazione ambientale.

Schema di massima delle aree interessate dal progetto dimostratore Horizon UTOPIZE per l’ambito di Ponte Lambro a Milano.

[1] Regolamento (UE) 2024/1991 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2024, sul ripristino della natura e che modifica il regolamento (UE) 2022/869 – https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A32024R1991&qid=1722240349976

Torna all’Indice della Newsletter