I paradigmi dell’innovazione nel progetto urbano

UCTAT Newsletter n.16 – ottobre 2019

di Daniele Fanzini

L’enciclopedia Treccani definisce innovazioneogni novità, mutamento, trasformazione che modifichi radicalmente o provochi comunque un efficace svecchiamento in un ordinamento politico o sociale, in un metodo di produzione, in una tecnica, ecc.”. 

In questo senso la parola innovazione si contrappone al consueto, al presente, al tradizionale, al già conosciuto, come se queste condizioni fossero sempre e comunque portatrici di negatività. La stessa parola “svecchiamento” usata dall’Enciclopedia Treccani pare consolidare questa interpretazione. Non a caso l’innovazione è da sempre sinonimo di sfida, di superamento del presente, di competizione spinta tra idee, generazioni, stili di vita, che chi opera in questo mondo vive quotidianamente sulla propria pelle. 

Chi innova deve prima di tutto proteggere le proprie idee e risultati dagli altri. Ma ancor prima deve collocarsi in una specifica dimensione del sapere, che gli fornirà “i giusti” paradigmi per leggere la realtà e scoprire nuove verità. Scrive E. G. Parini in Sapere scientifico e modernità nel 2006: “Il sapere scientifico è uno degli aspetti costitutivi della modernità. Nell’epoca attuale, tuttavia, le condizioni in cui esso è prodotto sono profondamente cambiate. I suoi ambiti diventano sempre più specialistici e gli strumenti della ricerca sempre più complessi. Inoltre gli scienziati, da depositari di verità incontestabili, sono diventati portatori di un sapere più problematico rispetto al passato, e l’opinione pubblica non è più disposta ad affidarsi a loro ciecamente”.  

La grande recessione mondiale del 2008 permetterà di toccare con mano il presagio contenuto in questa affermazione. L’epoca odierna è infatti caratterizzata da precarietà, fluidità, incertezza e a fatica è possibile immaginare nuovi orizzonti di stabilità. Citando nuovamente Parini, gli individui “sono attraversati dal sospetto che si tratti di un traguardo non più raggiungibile”, così come non più raggiungibile è un futuro di innovazione basato su punti di vista parziali e approcci deterministici.


Se ancora oggi ha senso parlare di paradigmi dell’innovazione, il primo di essi fa certamente riferimento al concetto di mutazione, ed è particolarmente evidente nel campo degli studi urbani. Le città europee contemporanee sono diventate così grandi e complesse, che le metodiche di pianificazione settoriali e normodirette non sono più efficaci. Un modo nuovo di agire è assecondarle sul piano del mutamento, mischiando approcci top down e bottom up in un processo di consapevolezza collettiva che si attui in tempo reale.
Nella “città mutante continua” la singola dinamica di mutazione diventa parte di un più ampio sistema in evoluzione. Negli studi urbani non è più solo la struttura della città ad essere indagata, ma la sovrastruttura fatta di persone, relazioni, nuovi usi.

La JPI (Joint Programming Initiative) Urban Europe usa la parola “dilemma” per rappresentare la complessità delle decisioni relative ai cambiamenti urbani: i dilemmi si verificano dove il livello di incertezza è troppo elevato per fare affidamento ad un piano d’azione pre-calcolato e, allo stesso tempo, i dilemmi forniscono validi argomenti di ricerca e innovazione per sviluppare nuove intuizioni e trovare risposte efficaci al cambiamento.
Temporaneità co-progettata, riutilizzabile, collettiva, replicabile, scalabile dimensionalmente, tecnologicamente abilitata, sono i termini che potremmo usare per qualificare il campo di indagine della futura innovazione in campo urbano. Queste parole sono progressivamente entrate nell’uso comune dopo la crisi globale del 2008 a partire da alcuni studi pioneristici come quelli di Charles Landry (2006), a seguito dei quali le città stesse sono diventate luoghi di sperimentazione dell’innovazione inclusive, accessibili, co-esistenti. 

Nel paradigma mutante la città si autoanalizza continuamente attraverso la rappresentazione e la condivisione sociale degli elementi di trasformazione, pianifica in tempo reale possibili soluzioni basate sulla consapevolezza e la partecipazione, alimenta costantemente quel rapporto di interdipendenza tra ambiente costruito e stato mentale delle persone – space-feeling-action – (Fanzini, Rotaru, Bergamini, 2018), che spinge l’innovazione attraverso atti anticipatori condivisi e partecipati.

La città mutante è un “Living Lab” unico. Un luogo di vita perché composto da componenti e comportamenti interagenti, che grazie alle tecnologie abilitanti è in grado di monitorare in tempo reale il proprio stato, le possibili soluzioni ed i risultati raggiunti. L’interazione parametrica e geolocalizzata tra i cittadini e il loro ambiente rende i primi maggiormente responsabili nel contribuire, anche a livello progettuale, alla soluzione di specifici problemi.

Progettazione partecipata a Piacenza, Quartiere Ciano (New Generations, Acer e UCTAT)