UCTAT Newsletter n.56 – maggio 2023
di Elena Mussinelli
Il verde urbano è un elemento significativo dell’identità di una città? Certamente sì: quella di Milano è nei suoi grandi rondò e viali alberati (da Corso Indipendenza ai viali delle Regioni), nei suoi parchi (dai Giardini del Piermarini al Parco Sempione, al Parco Ravizza), nel verde di vicinato disseminato nei suoi quartieri (dal Feltre al Forlanini), solo per fare qualche esempio. Ma anche nella dimensione vasta del paesaggio periurbano e metropolitano (da Porto di Mare all’estensione agricola del Parco Sud).
Il verde è parte di una identità mutevole nel tempo, e anch’esso muta le sue forme, anche in ragione della sua importanza crescente per le ben note criticità climatiche e ambientali che connotano, anche drammaticamente, le città e i territori italiani. Ma i tempi della natura sono irriducibilmente più lunghi di quelli dell’uomo, come ben sa chi si occupa di valutazione ambientale e deve affrontare i temi della mitigazione e della compensazione degli impatti generati dall’attività antropica. Anche i tempi della città e dell’architettura sono stati per molti secoli tempi lunghi, e solo negli ultimi 200 anni il potere di disposizione tecnica degli uomini ha determinato una progressiva accelerazione dei processi di trasformazione dell’ambiente. I primi hanno generato un immenso patrimonio culturale di cui ancor oggi godiamo, la dimensione veloce ed effimera del presente temo non saprà fare altrettanto.
Il verde che ancora persiste a Milano è prevalentemente quello che abbiamo ereditato dal passato, dalla lungimiranza delle poche amministrazioni che hanno saputo integrarlo nel disegno della città (il piano haussmaniano di Beruto) o che, pur in una fase di rilevante pressione insediativa, sono stati capaci di immaginare la permanenza di grandi parchi urbani attraverso opportuni vincoli (PGT 1953). Un’eredità rilevante e preziosa, che andrebbe curata e costantemente reintegrata, e anche arricchita attraverso nuovi interventi.
Non mi pare così avvenga oggi a Milano, per lo stato di abbandono e incuria di tanti spazi urbani verdi, per le mancate sostituzioni e compensazioni del patrimonio arboreo perduto, e per l’assenza di concrete progettualità per la restituzione alla natura di suolo consumato. Mentre sempre più diffusa è la tendenza a privilegiare le forme di un verde artificiale, sia “costruito su soletta”, sia disegnato secondo criteri astratti e formalistici, indifferenti alle preesistenze ambientali e sostanzialmente disattenti alle effettive valenza di fruibilità collettiva.
In una recente conferenza organizzata da AIM-Osservatorio Metropolitano dedicato a “Spazi aperti e cambiamento climatico”, l’architetto paesaggista Carlo Masera ha illustrato alcune esperienze di rigenerazione naturalistica realizzate e in corso nel contesto milanese (Parco Nord, Boscoincittà-Parco delle Cave e altri). La metodologia descritta, definita “dei piccoli passi”, pone al centro il ruolo climatico-ambientale e sociale del verde estensivo, connotato da notevole rilevanza ecologica e da costi contenuti di realizzazione e gestione. Per l’avvio di processi di rigenerazione urbana e territoriale fondati in primis sul recupero e la valorizzazione delle risorse già esistenti, come già sperimentato da Michel Desvigne: il “paesaggio come punto di partenza” (Lotus n.150, 2012).
Al di là dell’interesse tecnico scientifico per il metodo e per i suoi risultati, improntati a grande concretezza, mi ha colpito l’approccio progettuale adottato, che opera programmaticamente con tempi medio-lunghi e che si fonda soprattutto su una profonda conoscenza dei luoghi e delle loro caratteristiche strutturali (storiche, morfologiche, idro-geologiche, botaniche, faunistiche, ecc.). Le caratteristiche e le risorse ambientali delle preesistenze sono così considerate la risorsa fondamentale a partire dalla quale fondare un’azione progettuale graduale, con interventi di valorizzazione e di lenta implementazione incrementale. Un approccio che si allarga anche alla dimensione sociale, con l’adozione di forme partecipative strutturate che mi hanno fatto ricordare l’idea di “appropriazione progettuale” cara a Marco Zanuso.
Con un vero ribaltamento delle logiche oggi prevalenti della costruzione di aree verdi “a pronto effetto”, che generano luoghi omologati quando non estranianti. Ho compreso così molto bene come mai è per me così più gradevole accomodarmi a leggere su una comoda panchina “Milano” all’ombra dei grandi alberi di Parco Sempione o passeggiare parlando con un amico nei giardini del Feltre, piuttosto che sedermi su un inospitale blocco di marmo davanti ai rospi di bronzo di Piazza Piola, o partecipare a uno Yoga Monday Openair alla BAM, senza peraltro avere nulla contro lo yoga in sé…
Come per il territorio e per la città, così avviene per le abitazioni, con gli interni delle case che si creano e si trasformano negli anni, sedimentando le tracce delle vicende, delle esperienze e delle passioni di chi le abita. Ben diversamente dalle case pronte all’uso proposte dal real estate milanese di questi ultimi anni, che offre serviced apartment arredati e corredati secondo stili e modi di vita preconfezionati. Come recita la comunicazione commerciale: per una living experience inebriante…, interni di charme…, valorizzati da un capitolato di pregiate forniture Made in Italy…, stile essenziale e graffiante…, un esclusivo lifestyle urban chic…, secondo un concept evoluto…, un’esperienza abitativa indimenticabile…, dove si respira un’aria internazionale…. Un modello di abitare che va estendendosi anche oltre il mercato del lusso, con le forme del mero consumo dentro al catalogo di immagini stereotipate prodotte degli home interior design contractors. Anche perché, alla fine, case così sono senz’anima e senza alcuna identità, tutte uguali, sia dentro che fuori, e di unico ed esclusivo hanno solo il prezzo.
Non è quindi forse un caso che nella descrizione della Biblioteca degli alberi risuonino analoghi echi, seppur con l’immancabile marketing green: un giardino botanico contemporaneo…, in un contesto metropolitano, innovativo e internazionale…, dove vivere esperienze culturali a contatto con la natura… (https://bam.milano.it/mission/).
La partnership tra il Comune di Milano, COIMA e la Fondazione Riccardo Catella garantirà la manutenzione, la sicurezza e la vitalità culturale del parco fino al 2029. I costi di manutenzione sono pari a 6 euro/mq, che diventano 10 se si include la sicurezza. C’è da augurarsi che i privati continuino a considerare importante il plusvalore immobiliare generato dalla cura di questo parco e che l’accordo venga prorogato all’infinto, visto che l’amministrazione impegna oggi per la cura del verde pubblico circa 1 euro/mq. E sperare che il tempo trasformi un domani questo in un vero parco, magari con l’aiuto di un uomo che pianti qualche albero in più…
Il Boscoincittà è sostenuto dal Comune con 0,50 euro/mq, che consentono di garantire– grazie anche all’impegno dei volontari e ad alcuni fondi aggiuntivi (30%) da privati e progetti finanziati – non solo la cura, ma anche gli ampliamenti in progetto.
Sarebbe interessante chiedere agli abitanti dell’area metropolitana milanese quale soluzione considerano più efficace in termini di rigenerazione della città e della sua identità.


