Il buon governo e la bellezza della città

UCTAT Newsletter n.59 – SETTEMBRE 2023

di Fabrizio Schiaffonati

“Il buon governo e la bellezza della città” è un ciclo di incontri che si terranno da ottobre 2023 a marzo 2024 al Politecnico di Milano presso l’Educafè. Dieci incontri in forma di seminari/laboratori/conferenze/interviste, promossi dal gruppo ricerca ENVI-Reg del Dipartimento ABC, e da UCTAT, per riflettere sulla trasformazione della società urbana. L’obiettivo è di un confronto tra opinioni, casi studio, testimonianze, ipotesi, per un ragionamento critico attorno agli strumenti di governo della città. Tema che coinvolge questioni politiche, economiche e sociali, ma anche urbanistiche e architettoniche, per la rilevanza delle attuali criticità ambientali.

Gli incontri si focalizzano anche su aspetti disciplinari, per sfuggire a generalizzazioni che rendono difficile individuare responsabilità, politiche, amministrative e professionali. Tendenza sempre più diffusa, dove l’urbanistica e la stessa architettura vanificano le loro basi scientifiche in una narrazione sociologica, col limite quindi di una diagnosi che non propongono attendibili terapie; sempre che la diagnosi sia corretta.

Questa deviazione disciplinare rappresenta oggi una notevole criticità, per un arretramento delle competenze e degli strumenti tecnici e operativi necessari per tracciare contenuti, profili e configurazioni degli spazi di relazione, aperti e confinati, delle funzioni e delle tipologie urbane ed edilizie.

Lo sviluppo del pensiero scientifico, sempre più approfondito e specializzato, per l’architettura e l’urbanistica sembra invece ripiegare su punti di vista astratti, lontani dell’approccio sperimentale che ha sostanziato lo sviluppo della civiltà urbana attraverso una razionale organizzazione degli insediamenti e dei manufatti. Una aporia quindi tra innovazioni e applicazioni tecniche che in molti ambiti si traducono in miglioramenti e, invece, la disgregazione e il disordine della trama spaziale del territorio e della città; anche con acritici compiacimenti, narrazioni e vulgate che sviliscono l’urbanistica e l’architettura; due pratiche che, peraltro, rivestono un carattere strutturale, diversamente da altre forme della produzione artistica.

Il titolo del ciclo degli incontri ambisce così a ribadire il nesso tra governo e bellezza della città, nella inscindibilità dei due termini, per non lasciar spazio ad ambigue connivenze che non mettono al centro la qualità dello spazio. Una qualità misurabile, in economicità, funzionalità, essenzialità. Così è la polis, diversamente da un “medioevo prossimo venturo”, se vengono accantonate acquisizioni, diversamente da quanto continuamente viene affermato, per conservare e tutelare beni ambientali e patrimoni, la cui bellezza si materializza nella storia della città e dell’architettura.

È indubbio il nesso tra urbanistica, architettura e politica, risultato della costruzione dello spazio pubblico e privato. Un valore anche in sé, con una sua autonomia. Come peraltro nella laicità di ogni disciplina, che se viene meno palesa pericolosi arretramenti. Accade quando tra indirizzo politico e interessi settoriali si determina una convergenza e una sovrapposizione di ruoli, a scapito dell’interesse generale. Rischio sempre latente nello sfruttamento delle risorse.

Il rigore delle regole disciplinari consente di contemperare le diverse esigenze. L’urbanistica e l’architettura si traducono in pratiche ed esiti verificabili di idee e teorie, come di ogni disciplina fattuale e sperimentale. In primo luogo quindi è fondamentale la conoscenza degli algoritmi e mezzi tecnici necessari per una loro evoluzione progressiva. La scissione tra le due discipline è foriera degli equivoci attuali: un urbanista non può non essere architetto, e viceversa. Si deve possedere la sensibilità e la capacità di strutturare lo spazio fisico dell’habitat, per rappresentare nel progetto le complesse relazioni che intercorrono tra funzioni, manufatti, luoghi e preesistenze ambientali. Una predisposizione, come di un chirurgo o di uno strumentista musicale, che non si improvvisa. Diversamente non si è in grado proporre soluzioni adeguate. Senza un pervicace approfondimento e affinamento, il progetto è destinato ad assommare errori, tanto più gravi in opere durevoli. L’urbanistica è l’architettura a una diversa scala, il che può richiedere anche diverse attitudini per gli approfondimenti richiesti dal progetto, che rimandano comunque a una visione d’insieme e all’interfaccia con altre discipline. Un arco che mette in campo tematiche economiche e sociologiche, come tecnologiche e ingegneristiche.

Per l’urbanistica-architettura molti elementi sono sostanziali e non derogabili. L’elenco è lungo, emblematicamente: conformazione e dimensione degli spazi e degli edifici, accessibilità, salubrità, sostenibilità, ergonomicità, funzionalità, economicità. Concetti declinati in regole e tassonomie, applicabili, misurabili e verificabili nella sperimentazione delle realizzazioni.

L’approccio attuale sembra sempre più ignorare queste complesse relazioni, per interessi, opportunismi e insipienze che richiamano responsabilità, conoscenze e capacità, anche individuali. A una professione senza una rigorosa consapevolezza del proprio ruolo, anche per inadeguata formazione e preparazione, fa riscontro la marginalizzazione dell’architetto, soprattutto in ambito urbanistico, dove la subalternità va di pari passo con l’ignoranza dei fondamenti disciplinari.

La figura dell’architetto nel secolo scorso ha avuto una notevole emancipazione, rispetto alla funzione esornativa delle Beaux-Arts. Con la cultura politecnica si è affermata una sua funzione propositiva e organica alla rivoluzione industriale. È ora invece in una fase decisamente involutiva, col disarmo delle sue competenze tecniche, che ne determina una progressiva limitazione, ancor più in ambito urbanistico, per l’incapacità di corrispondere con adeguate soluzioni funzionali e morfologiche.

La storia del territorio, della città e dell’architettura ci consegna una stratificazione di significati e di forme anche attraverso la bellezza. Categoria, quella della bellezza, difficile e anche opinabile, ma che trae la sua essenza dalla capacità di tramandare messaggi. Una permanenza oltre la soglia del contingente, che connette la tradizione e la conservazione con lo sviluppo civile. Un rigore e una logica che hanno configurato assetti spaziali riconoscibili e condivisi. Una dimensione etnografica e antropologica che si sviluppa progressivamente in modo non lineare, ma in continuità. Così nella civiltà occidentale, ma non solo. E la storia ci allerta anche su possibili regressioni e imbarbarimenti.

La bellezza, quindi, come rintracciabilità e condivisione della trama territoriale e degli artefatti, è un indicatore significativo del buon governo. La sua assenza palesa una carenza di cultura, con spesso una compiacente vulgata progressista su un’urbanistica e un’architettura lontana invece dai bisogni e dalle aspirazioni delle persone.

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