Il dialogo del poi

UCTAT Newsletter n.59 – SETTEMBRE 2023

di Vanna de Angelis

Era fermo giusto in mezzo alla strada, quella che taglia in qui dal corso e rasenta il giardinetto devastato dai cani. Una strada a senso unico, passano poche macchine, ma passano.

«E se qualcuno arriva e lo investe?»

«E sta a guardare cosa?»

« … sta guardando il trentadue… fermo immobile»

«Beh, il trentadue merita!»

Eccome se meritava! Famosa per la sua bellezza, se non famosissima. Nota anche – o soprattutto? – per ben altro, ma…

«Lo capisco quello lì, davanti al trentadue uno può starci a guardare per ore»

«Ma chi è?»

«E che ne so?», dissi io. «Ha un bastone… un bastone bianco»

Così i miei mi spedirono subito giù in strada.

Era alto e solido, con non pochi anni addosso, berretto, occhi chiusi, baffi e barbetta. Occhi chiusi. Cioè aveva gli occhi chiusi, capito? Io non sapevo che il bastone bianco è per quelli che non ci vedono. Dall’auricolare infilato in un orecchio pendeva un filo che terminava nel taschino del gilet. Lui ci infilò due dita, «aspetta che spengo», quando gli dissi che passano le macchine e doveva spostarsi,  e attraversammo la strada, mi toccava un braccio ma continuava a sondare il terreno con il suo bastone, «non è che non mi fido, ma spesso non le vedete le buche, voi, io sì, e non badate ai motorini piantati in mezzo al marciapiede, io sì», e fu lui a guidarmi alla panchina in fondo, «l’ho scoperta venendo in su, questa panchina, non hai idea di quante cose riesco a scovare con il mio bastone»

«Scusa, ma sembrava tu stessi lì a guardarti il trentadue… »

«Infatti. È una casa straordinaria e l’hanno anche restaurata con il dovuto rispetto.

«Ma come! Ma perché dici  infatti?  Scusa… tu come diavolo fai…»

«… ti stupisci, eh, ragazzo!», sorrise.

«Come fai a sapere che sono un ragazzo?»

«Sedici anni»

«Esatto!»

«Dalla voce»

«Ma chi sei?»

Ci aveva messo un’ora di autobus per arrivare fino qui… mi raccontò anche che il nostro quartiere era la prima tappa del suo terzo viaggio alla scoperta della città, un progetto iniziato un anno fa, perché lui non è uno che sta in casa a far nulla, prima aveva esplorato il mare, adesso la città… a caccia di verità se non di bellezza, dice, e sghignazza come per una battuta.   

«Ma scusa, tu eri già… insomma non…»

«Che cosa credi? Sono cieco da sempre», e l’orgoglio che sentii in quella frase mi spaesò del tutto… e mi raccontò che sulla carta – come facesse a vederla non so – aveva diviso la città in quattro grandi triangoli con il vertice nel cuore del centro e la base che si espande fin nelle periferie, «così passo dalle stelle alle stalle, mi spiego? Dagli attici ai casermoni. Comincio dal vertice del triangolo e mi deliziano la cattedrale gotica  e i quartieri di lusso tirati a lucido e ho visto anche dei pavoni in giardino,  poi proseguo verso la base del triangolo  e sguazzo nel fango della periferia che puzza di fogna nei quartieri dormitorio…», sghignazzava di nuovo, «… però ti dicono che è la bellezza che salverà il mondo». Indicò il taschino del gilet, «e qui dentro ho la mia guida, un audio che mi pilota in giro e mi racconta tutto di tutto. Tutte le bellezze della città.  Anche del trentadue…»

«Ma se  non la vedevi, la casa!»

«La immaginavo. È l’immaginazione che ti salva. Con l’immaginazione vedi molto meglio che con gli occhi, credimi… io riesco a vedere le crepe nei quartieri del lusso, e le voragini in quelli dormitorio»

«Beh, la tua egregia guida audio ti ha raccontato anche che cosa è successo al trentadue? In questa bellissima casa, visto che come dici la bellezza salverà il mondo?», e tutto d’un fiato, inarrestabile – non so perché avevo addosso una certa  rabbia – «… in quella casa ci viveva uno che ha ammazzato la moglie»

«No, questo la mia guida audio non me lo ha raccontato»

«Ci avrei giurato. L’ha ammazzata sul balconcino,  al primo piano, quello ornato tutti riccioli e foglie di acanto, gigli e testine d’angelo scolpiti nella pietra… e certe volte quando passo sotto rivedo ancora sul marciapiede le chiazze del sangue colato giù, e mi faccio da parte per non metterci i piedi. Pensa che qui la gente quando due litigano… beh, c’è chi dice: vogliamo mica far trentadue, eh?». Ripresi fiato: «ma la tua guida sulla bellezza della città queste cosacce della gente che ci vive mica te le racconta!»

«Non ti scaldare», lui sorride, «sono sicuro che però anche per te il trentadue vuol dire altro, cioè che merita essere guardato, no?»

«Beh, il trentadue è l’unica casa che si è salvata tra tante altre decrepite… erano affollate da povericristi… sono state demolite e poi ricostruite piatte piatte con la loro brava facciata da gente per bene, talmente brutte che a starci potremmo essere a ragione una città di facinorosi, perché qualcuno ha detto che solo la bellezza salva la città dalla crisi sociale. Dalla crisi sociale, capito? Però magari potremmo essere una città, di gente pacifica e contenta pur facendo una vita di merda, se tutte le case fossero come il trentadue, che solo a guardarla ti viene da star lì a bocca aperta,  e con emozione!»

«Complimenti! Come fai a parlare così, alla tua età? A esprimerti in questo modo? Che cos’hai per la testa?»

         «Mio papà dice che siamo marxisti-mandrakisti»,  gli lancio un’occhiata storta, sono sicuro che,  anche se non la vede, se la immagina. «Qualcosa da ridire che siamo marxisti-mandrakisti?»

         «Niente da ridire, anzi… fortuna che ce ne sono ancora!»

Fine

Dal film “Mon oncle” di Jacques Tati, 1958.
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