UCTAT Newsletter n.75 – febbraio 2025
di Matteo Gambaro
La prima volta che sono stato nello studio di Andrea Bruno a Torino era l’inverno del 1999 e stavo preparando la tesi di laurea. Arrivato a Torino in treno ho raggiunto lo studio di via Asti a piedi, dalla stazione di Porta Nuova attraverso il centro fino ad arrivare al termine della via Po e successivamente sbucare nell’immensa piazza Vittorio Veneto, completamente porticata e aperta verso la collina, oltre il fiume Po, ad incorniciare l’imponente sagoma della Gran Madre di Dio. Chiesa cattolica costruita su un massiccio basamento ed esplicitamente ispirata alla forma e alle proporzioni del Pantheon di Roma. L’opera, inaugurata nel 1831, è stata progettata da Ferdinando Bonsignore (1760-1843) affermato architetto della corte sabauda, professore all’Accademia Albertina di Torino e maestro del giovane novarese Alessandro Antonelli, allora architetto in formazione.
Superato il fiume Po inizia la collina e la lunga via Villa della Regina che culmina appunto nella residenza Sabauda inserita nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità UESCO. Più o meno a metà strada, voltando a sinistra, si imbocca la via Asti e dopo pochi minuti si raggiunge il civico 17, ubicato quasi di fronte alla Caserma Alessandro La Marmora, un massiccio ed austero edificio di oltre 20.000 mq rivestito con grandi lastre in pietra scura, abbandonato a sé stesso.
L’edificio dove ha sede lo studio dalla strada appare un anonimo manufatto di inizio Novecento, che si eleva per due piani oltre al piano terra, a cui è stato costruito in aderenza un corpo basso, di un solo piano, ad angolo con via Cardinal Maurizio. La sorpresa inizia a prendere forma quando si varca la soglia d’ingresso e si percorre un lungo e articolato spazio distributivo che non si può chiamare corridoio, che conduce alla porta interna che da accesso al vero studio. Un enorme spazio a tripla altezza completamente libero dal piano interrato al piano secondo, abitato da disegni, modelli, libri, fotografie, tappeti, soppalchi e oggetti vari. Uno spettacolo di colore e creatività difficilmente ripetibile in cui ogni cosa, nell’apparente confusione e disordine, è al suo posto e rappresenta una tappa del percorso della vita da architetto di Andrea Bruno. Si tratta dell’ex laboratorio di Edoardo Rubino – appositamente progettato nei primi anni del 1900 dall’architetto Pietro Fenoglio – scultore torinese piuttosto noto all’inizio del Novecento, autore di monumentali opere dal gusto liberty come, tra le più note, il Monumento nazionale al Carabiniere del 1933 ubicato nei giardini del Palazzo Reale di Torino.
Un luogo in cui si integrano, senza soluzione di continuità, svariate funzioni e in cui le destinazioni d’uso perdono il loro significato primigenio. Nel piano seminterrato tra sale riunioni, biblioteca e spazi di lavoro si articolano la cucina e la sala da pranzo per i collaboratori, così come le zone per riposare e trascorrere la notte. Qualcosa di simile ad una bottega rinascimentale in cui il gruppo di giovani architetti lavorava sotto la rigorosa direzione del maestro.
Dopo quella visita ne seguirono numerose altre, in diversi periodi ed in particolare nell’ultimo decennio. Imparai così a conoscere i frequentatori dello studio e i luoghi attorno alla Gran Madre: da Casa Fedora, piccolo ristorante a gestione femminile pieno di libri e piatti sorprendenti, alla sua abitazione in via Villa della Regina, autodefinita cellula abitativa, più studio privato che abitazione, alla minuscola torrefazione confinante, nonché allo sciagurato, lussuoso e fuori scala intervento postmodernista di via Moncalvo (un intero isolato), che ho visto crescere fino al definitivo completamento, nella totale riprovazione di Andrea Bruno.
E poi, l’inaspettato studio progettato per Ezio Gribaudo, amico ed ex compagno dei corsi alla Facoltà di architettura del Politecnico di Torino. Mi accompagnò a vederlo, a qualche centinaio di metri da via Asti, e mi spiegò l’accuratezza e l’artigianalità della tecnica costruttiva utilizzata per incidere il paramento esterno in cemento armato. Una grande scultura di tre piani costituita dall’assemblaggio di cubi sovrapposti irregolarmente l’uno sull’altro, senza pilastri intermedi e con grandi tagli verticali vetrati: punti di osservazione privilegiata sulla città di Torino. Per chi conosce le opere di Bruno, la configurazione morfologica e le opzioni materiche ricordano l’Ambasciata italiana a Kabul realizzata qualche anno prima. In quell’occasione non siamo potuti accedere all’edificio, ma dalle fotografie, dagli schizzi e dai disegni progettuali, che mi ha poi mostrato, ho appreso della presenza di una grande scala-scultura- libreria in legno, vero cuore del manufatto.
Ogni visita era una scoperta. Venivo a conoscenza di progetti e opere meno note e pubblicizzate, ma altrettanto interessanti, anche perché progressivamente l’attività professionale si era ridotta e Andrea stava iniziando a mettere ordine al suo sterminato archivio. Così comparivano disegni di grande dimensione e plastici di lavoro per me inediti, un incredibile archivio fotografico con riproduzioni su carta in grande dimensione delle “esplorazioni” afgane avviane negli anni Sessanta, nonché numerosi quaderni e album di disegni.
Una mattina d’estate di qualche anno fa, mentre stavamo lavorando alla preparazione di una mostra, poi non realizzata, mi mostrò, condividendoli con cautela, come si fa con le cose private e molto personali a cui si tiene, una decina quaderni di piccola dimensione. Erano i disegni che lo avevano accompagnato lungo la sua vita, dagli esordi come architetto fino alla maturità. Non opere e progetti di architettura ma appunti, sottoforma di disegno, soprattutto della realtà torinese. Alcuni di questi disegni sono stati pubblicati in un libro di limitata diffusione, di cui neanche Andrea possedeva un volume, quasi irreperibile: “Andrea Bruno. Segni e disegni inediti” edito da L’Erma di Bretschneider, casa editrice romana.
È stata l’ultima volta che sono stato nel suo studio. Nel 2019 l’archivio è stato donato all’Università Iuav di Venezia ed è stato costituito il Fondo archivistico Andrea Bruno nell’ambito dell’Archivio Progetti. Da quel momento è iniziata la catalogazione e il lento trasferimento dei documenti e degli elaborati e lo studio progressivamente si è svuotato.
Probabilmente non lo rivedrò più e se lo rivedrò non sarà qual laboratorio progettuale che tanto mi aveva affascinato.



