Il naturale da ritrovare

UCTAT Newsletter n.25 – luglio 2020

di Eleonora Fiorani

I problemi che stanno diventando drammatici e improrogabili dal mutamento climatico all’inquinamento delle acque e dell’aria, allo smaltimento dei rifiuti, alla caoticità del traffico pongono in primo piano il nostro rapporto con la natura e il nostro posto in essa e pongono in questione la centralità antropocentrica che caratterizza la nostra cultura. Il naturale da ritrovare è la complessa relazione tra ambiente naturale e sociale-storico e il vivente, pensando se stessi come parte tra gli altri di una comunità biotica e dunque come soggetti di esperienza sul piano empirico e come “cittadini del mondo” nell’ambito della biosfera, assumendo in tutta la loro complessità le relazioni tra il vivente e il territorio, nella consapevolezza che vita e ambiente sono un solo indivisibile processo.

E ciò ci chiede di fermarci ad osservare il visibile e di porci in ascolto di tutto ciò che ci circonda e di cui facciamo parte. E comporta una visione del mondo e delle altre creature che non proietti più su di loro il nostro modo d’essere e la cessazione della visione di noi stessi come unica o superiore forma di intelligenza in un mondo senza senso. E apre a ritrovare la trama vegetale e animale della storia umana per ritrovare il dialogo con le altre creature con cui condividiamo il nostro abitare nella consapevolezza che noi viviamo nel respiro dei vegetali, nell’impollinazione delle api così come le rane asiatiche vivono nell’impronta-mondo delle zampe degli elefanti. Così che dobbiamo cominciare a considerarci cittadini e abitanti della biosfera e a tener contro degli altri esseri e dei tanti tempi della natura e della storia.

La dimensione ecologica dell’abitare domanda una città ospitale, una città non solo multietnica ma anche multispecifica, passando da un’ottica antropocentrica a un’ottica biocentrica in cui si è tutti appartenenti alla terra, alla biosfera perché noi tutti abitiamo qui. Si tratta allora anche nelle città di rendere visibili tutti gli altri, ampliando l’alterità a comprendere, oltre che gli altri popoli, tutti gli esseri viventi e non viventi e anzitutto le piante e gli animali, riconoscendo loro il diritto di essere e di essere secondo se stessi. 
Si è così cominciato a interrogarci anche sulla presenza nelle città moderna degli animali, che non sono solo quelli familiarizzati o “maternati”, ma quelli delle libere comunità dei gatti e dei cani randagi, dei piccioni, dei rospi, dei pipistrelli e delle diverse specie di uccelli che popolano le nostre città, a seguito della riduzione degli spazi agrari e di quelli naturali. Non si tratta solo di renderli visibili, ma di superare l’ottica veterinaria tradizionale della prevenzione delle malattie assumendo l’ottica della convivenza, rendendo la città abitabile per loro nelle nostre case, nei parchi e nei giardini. E lo stesso vale per le piante e riguarda anche i fiumi e i laghi, i ruscelli, le colline, gli altopiani, le montagne, i mari che non sono lì per noi, ma sono e basta, nella consapevolezza che è male tutto ciò che distrugge l’ecosistema e bene ciò che lo conserva.

Per questo il naturale da ritrovare ci chiede di valorizzare le risorse di un territorio con l’impiego delle fonti e delle energie rinnovabili nella casa, nella città, nel paesaggio, nel territorio, equilibrando tecnologia e cultura e interessi per l’uomo, per la società e per l’ambiente. Implica un modo di pensare che metta in atto un processo progettuale in modo sistemico, immettendoci nelle dinamiche dell’interrelazione tra locale e globale in cui si innervano i territori e le comunità che le abitano. E apre nuovi orizzonti coniugando l’etico con l’estetico, ridando peso al sociale e al pubblico e facendosi carico delle nuove sensibilità, e anche delle emergenze, della malattia e della morte.

Per questo nella crisi di sistema che stiamo attraversando si punta fortemente sul recupero della relazione con la natura in noi stessi e nei nostri habitat sia nelle sue valenze costitutive e originarie che in quelle dei valori di cui si carica nella contemporaneità. E quindi quelli di luogo, paesaggio, ecosistema sostenibile, in cui iscrivere il nostro abitare e le nostre metropoli e il nostro stesso futuro già da ora. Il che significa riattivare quel “pensiero della terra” che troviamo fin dalle origini della filosofia con Anassimandro e che il Fedro platonico evoca andando alle radici del pensare nei suoi rapporti con lo spazio e con il corpo, in cui si dà il carattere costitutivo del comportamento dell’uomo e della società nelle diverse forme dell’abitare nella cui trama si tracciano e si strutturano le relazioni tra il territorio, l’ambiente e il mondo.

Nel “pensiero della terra” luogo e spazio si intrecciano e si richiamano e ci fanno intravvedere che è a partire dalla territorialità, quindi dalle forme dell’abitare, che si delineano, insieme alle strutture dell’identità e dell’alterità, le mappe dei saperi e delle azioni tornando a pensare la territorializzazione in rapporto con la natura. Non si tratta di un ritorno al sacro, ma di una nuova visione della terra come Biosfera e dell’uomo come parte della comunità biotica, rovesciando la tradizionale etica del dominio. Altrettanto importante è riallacciare i nodi del percorso storico e culturale che si è sedimentato nei processi di territorializzazione, nelle forme e nei colori del paesaggio e dei moduli costruttivi, nelle forme di vita e dell’abitare, nelle progettualità che li disegnano e danno loro forma e anima, nelle estetiche del quotidiano. Ė in quest’ottica che essi possono contribuire a ripensare la città. Non è del resto la prima volta che una trasformazione radicale riconduce a un contatto con un’“origine”, che certo è inventata o immaginata come connessa all’identità e perciò ripensabile per una nuova cosmopoli nei valori di cui è carica.

Per questo la città dovrebbe essere un luogo dalle molte appartenenze e un luogo dell’incontro con l’altro e trasmettere un senso comunitario di partecipazione e di un dimorare collettivo ai fini dell’integrazione con l’ambiente e con gli altri. Solo la costituzione dell’altro dentro di noi, ospitando l’alterità e l’altrove, accogliendolo e apprezzandolo nei sui valori, ci consente di scoprire ciò che a noi manca o ciò che abbiamo perso e di far nostri i valori di altri popoli e di altre specie e di ritrovare la nostra umanità, natura, storia.

E sempre per questo il giardino torna ad essere un luogo privilegiato in cui reimparare a vivere con la natura e a sperimentare il tempo rotondo e ciclico del sempre ritornante-del sempre diverso. Non solo gli orti botanici acquisiscono i nuovi valori della conservazione della biodiversità ma è tutto il giardino che ritorna ad essere irrinunciabile esperienza in tutti i suoi valori terrestri, etici ed estetici insieme.

Il giardino proprio per il suo essere un’utopia di un altro luogo diventa oggi valorizzazione del paesaggio e insieme anche uno spazio autonomo, un ecosistema e un microcosmo. Ė il naturale in cui non si imita la natura, ma la si ricerca e la si trasfigura. Può frantumarsi anche in tante occasioni e possibilità della natura di ritornare ad essere presenza quotidiana nelle nostre città moltiplicandosi e incuneandosi in frammenti che alludono alla totalità. E ciò avviene quando l’elemento visionario e l’invenzione artistica ritornano a coniugare insieme il genio del luogo con l’arte mettendo in gioco nel giardino l’elemento terrestre e “carnale” e per ciò stesso quello simbolico e formale in un’unità strutturale. Ė un giardino che non vuole essere solo visto, ma vuole essere abitato e che non è solo progetto di se stesso ma quello di un modo di abitare e di tessere le relazioni con l’altro. E il giardino è sempre ospitale. 

Inoltre la ricostruzione a frammenti del paesaggio-giardino dentro le città, che sono il nostro habitat e il nostro ambiente sui terrazzi, nelle case, nei parchi, apre a nuove forme dell’abitare e a ritrovare l’unità fisico-culturale del paesaggio, la sua forma estetica, le sue proprietà, il suo contenuto emozionale, la sua dimensione etica. Possiamo allora di nuovo ritornare alla Terra e togliere nella cura e nel riconoscimento dello sguardo dell’altro ogni estraneità.