UCTAT Newsletter n.82 – ottobre 2025
di Carlo Lolla
La parola paesaggio sembra oggi onnipresente: la si incontra nei discorsi politici, nei progetti urbanistici, nei manifesti turistici e persino nei dibattiti sociali. È diventata una parola emblematica, talvolta abusata, capace di evocare tanto la bellezza della natura quanto la qualità della vita urbana. Eppure, dietro questo termine apparentemente semplice, si nasconde un universo complesso, che unisce arte, filosofia, società e memoria. Parlare di paesaggio significa, in fondo, interrogarsi sul nostro modo di abitare il mondo.
Il paesaggio è costruzione culturale. Nel dibattito contemporaneo, il paesaggio non è più una semplice cornice naturale: è un vero e proprio linguaggio attraverso cui l’uomo rappresenta se stesso e il proprio tempo. Come ha osservato Michael Jakob, esso nasce da una visione del mondo, da un modo di organizzare e interpretare la realtà. Ma nel farlo, questa visione coinvolge una rete di discipline: la filosofia, che indaga il senso dell’abitare e il rapporto tra uomo e natura; la geografia, che descrive le forme del territorio e le loro trasformazioni; la psicologia, che studia la percezione e l’emozione di fronte allo spazio; e l’ambiente, che richiama la responsabilità etica dell’uomo verso ciò che lo circonda.
In questo intreccio, il paesaggio passa dall’essere un tema periferico, confinato alle arti figurative o alla descrizione naturalistica, a diventare centrale nella comprensione del mondo contemporaneo. È un concetto che unisce la sensibilità estetica all’impegno civile, la progettazione all’identità collettiva. Guardare un paesaggio, oggi, significa leggere un racconto complesso di storia, cultura e aspirazioni.
Nel contesto urbano, il paesaggio diventa una sfida. Come creare bellezza dentro la densità, come generare poesia tra cemento, traffico e linee architettoniche?
Ogni elemento della città, una panchina, una siepe, una piazza, un lampione, un palazzo, contribuisce alla qualità percettiva dello spazio. Quando questi elementi dialogano tra loro, nasce una sorta di musica visiva, fatta di proporzioni, ritmi, luci e silenzi. La misura dell’armonia.
Un esempio emblematico è quello dei Navigli milanesi. In quel fluire lento dell’acqua si riflette un equilibrio raro tra natura e architettura, tra passato e presente. I ponti, le case dai colori caldi, le botteghe, i riflessi tremolanti sull’acqua creano un paesaggio che non è solo visione, ma esperienza di quiete interiore. Camminare lungo i Navigli al tramonto è un modo di riconciliarsi con la città, di percepirne la bellezza senza che essa debba gridare. È una forma di arte silenziosa, fatta di luce, tempo e memoria condivisa.
Un edificio ben inserito nel contesto, come una nota ben accordata, non è solo un fatto estetico: è un gesto di rispetto verso la collettività. La forma urbana può diventare luogo di serenità, un paesaggio interiore che restituisce equilibrio allo sguardo e alla mente. In questo senso, l’arte e l’architettura hanno il potere di educare alla bellezza, trasformando la città in una composizione armonica, un quadro vivente di cui ciascuno è parte.
Il paesaggio, però, non è solo armonia. È anche tensione, mistero, sorpresa. Davanti a una distesa marina, a un cielo che muta o a una collina silenziosa, proviamo un senso di vastità che supera la percezione dei sensi. La filosofia romantica parlava di “sublime”, quella sensazione che nasce quando l’immaginazione oltrepassa i limiti dello sguardo.
Qualcuno ricordava che il paesaggio non è la natura in sé, ma il modo in cui la natura si fa visione. È la nostra mente che trasforma un frammento del mondo in immagine significativa, capace di emozionarci. Così, il paesaggio non è solo “ciò che si vede”, ma “ciò che accade in noi mentre guardiamo”.
In definitiva, il paesaggio è una forma di relazione. È la sintesi di ciò che la natura offre e di ciò che l’uomo immagina. È un gesto collettivo che unisce sensibilità estetica e responsabilità civile.
Quando riusciamo a guardare il mondo con attenzione e rispetto, quando il costruito dialoga con l’ambiente e la memoria incontra la modernità, allora il paesaggio si fa arte, linguaggio, emozione.
I Navigli, ancora una volta, ce lo insegnano: non serve l’immensità per provare stupore. Talvolta basta l’acqua che scorre lenta, una luce che si riflette, un silenzio che racconta.
L’ambiente e la memoria incontrano la modernità, allora il paesaggio si fa arte, linguaggio, emozione.
Non si tratta solo di salvaguardare ciò che è bello, ma di costruire bellezza nella quotidianità: nei gesti, nelle scelte, negli spazi che abitiamo. Il vero paesaggio, alla fine, è quello che vive dentro di noi, quello che ci insegna a vedere con l’anima, non soltanto con gli occhi.

