UCTAT Newsletter n.82 – ottobre 2025
di Paolo Aina
Poiché sono vecchio ho guardato molte vedute: vedute cittadine, viste del mare, viste di montagne e molte delle azioni che, nel tempo, le hanno trasformate.
Questi paesaggi apparentemente immobili nel momento in cui si guardano con il tempo cambiano e mi mettono nella condizione di prendere una posizione sui cambiamenti che si verificano.
Ma che cos’è il paesaggio?
L’Enciclopedia Treccani lo definisce parte di territorio che si abbraccia con lo sguardo da un punto determinato.
Questa definizione presuppone che qualcuno osservi e mi porta ad un ulteriore dubbio: il paesaggio esisterebbe senza un osservatore?
Chi lo sa?
Certamente non potremmo vederlo.
Eppure ci pare naturale solo quel paesaggio in cui non ci sembra di scorgere interventi umani o quello dove non se ne scorgono nascosti dietro qualcosa o alle nostre spalle come quando guardiamo da un terrazzo.
È solo dopo avere soggiogato “il mostro” che riusciamo a contemplarlo e ci illudiamo che non possa più nuocerci.
Vedere questo “fuori da noi” sottomesso contribuisce non poco al nostro benessere, alla nostra calma, alla nostra serenità e alla nostra vita.
Non è solo ciò che si squaderna davanti ai nostri occhi ma sono anche la luce, l’aria, la temperatura dell’ambiente e la forma del luogo a far sì che quello stare sia gradevole.
Siamo immersi in un paesaggio fin dalla nascita ed è quello che determina ciò che siamo ancora prima delle costrizioni sociali, forse si può addirittura dire che alcune di queste derivino dall’ambiente circostante.
Le stesse case sono costruite con materiali ricavati dalla natura per proteggerci da essa e formano un altro paesaggio del tutto artificiale, questo sì non esisterebbe se non fosse stato messo in opera da noi, se non fosse stato edificato.
Paesaggio naturale, paesaggio edificato, paesaggio domestico, paesaggio sentimentale, paesaggio culturale…
Tutti questi contribuiscono a far sì che si diventi ciò che siamo dove siamo; siamo diversi ma accomunati dal fatto di essere qui su questo unico pianeta che ci accoglie e ci ospita.
Riconoscere le diversità degli “essere qui” è divenuto un’imprescindibile necessità sia nella modificazione dello spazio per la vita in genere che dal punto di vista della forma adatta al qui che si occupa.
Ci dovrebbe aiutare il sapere e l’esperienza collettiva che si sono accumulate nel corso del tempo, penso agli esperimenti di Hassan Fathy in Egitto o alle indagini di B. Rudofsky con la mostra al Museo di Arte moderna a New York e ancora prima da G. Pagano e G. Daniel alla Triennale milanese e poi alle indagini sull’architettura mediterranea di Le Corbusier, G. Ponti con B. Rudofsky e più di recente la casa di J. Utzon a Maiorca che dal mare ha l’aspetto delle rovine di un tempio greco, le stesse che Le Corbusier aveva disegnato sui taccuini del suo “Viaggio in oriente” e e da cui M. Heidegger pensava fossero fuggiti gli Dei.
Gli stessi che sono approdati all’Isola di Pasqua dove la luce è diversa, dove lo sciabordio dell’Oceano Pacifico è più violento e assordante e dove, ieratici, con un cappello rosso e gli occhi bianchi contemplano la Terra e chi vi si aggira.
Del Mar Mediterraneo invece mi ricordo che vidi un film in cui gli attori, sbarcati su una piccola isola che credevano disabitata, scostano delle lenzuola stese al sole e si trovano davanti un nuovo paesaggio: la calma di uno slargo, dove all’ombra di un albero, seduto ad un tavolino, qualcuno aspettava di bere da un bicchiere bambini che giocano, donne che passano e la grazia di una piccola casa azzurra affacciata sul mare.
Le differenze dell’ambiente terrestre formano un paesaggio che influisce sul nostro modo di stare e di abitare il mondo.
Se lo splendore della luce solare illumina,abbagliandoci, tutte le cose non dimentichiamo che vedere nel primo pomeriggio il tutto (Pan) ci fa preda di una pazzia attraverso cui crediamo di poter avere ragione e padroneggiare quel tutto che termina all’orizzonte senza pensare che al di là altri paesaggi ignoti si dispiegano.
Un antidoto a questa luminosa follia è la nebbia che vela le cose per svelarle quando ci si avvicina e permette di perderci e riflettere sulle conseguenze del nostro agire.
Chi ha potere di cambiare il paesaggio è qualcuno che ha visto il dio Pan e non percepisce appieno le conseguenze delle proprie azioni.
È questo il paesaggio che ci tramanda il secolo scorso.
Nell’Occidente è quello opprimente della produzione, dello sviluppo, dell’aumento all’infinito del PIL, dello sfruttamento fino ad esaurire le risorse dei territori.
Non pare che in questo nuovo secolo la rotta sia cambiata, lo stile di vita richiede sempre nuova energia e la sua produzione genera nuove forme: penso ad esempio all’installazione delle pale eoliche o delle distese di pannelli solari.
Si potrebbe dire: “ci risiamo” ma non è vero, siamo ancora nello stesso paesaggio, il rullo compressore dell’umanità continua implacabile ma pare che Gaia abbia perso la pazienza e non sopporti più la violenza che esercitiamo su di lei e su tutto il brulicare di vita che ospita.
Il paesaggio e il relativo ambiente, già modificati dalla tecnica umana, cambiano in modo sempre più rapido: frane e inondazioni ne modificano la forma, l’aumento della temperatura dell’aria favorisce lo stanziarsi di una nuova flora, l’aumento della temperatura dei mari porta all’insediamento di specie che sostituiscono quelle autoctone.
Cambia il paesaggio ma io mi ritrovo ancora in quel W. Allen che detesta i serramenti di alluminio e la campagna piena di mosche, zanzare e ragni, l’oscurità della notte e l’isolamento, le gite a piedi e il sudore che comportano e dopo aver ammirato una catena montuosa e il capo Finisterre dopo aver percorso il Cammino di Santiago sono contento di tornare in città, alle librerie, ai cinema, ai negozi di dischi e alla luce dei lampioni.
Un solo rimpianto: il dispiegarsi del cielo stellato, qualche porzione della Via Lattea oscurata dall’inquinamento luminoso della Pianura Padana.
Non vediamo più le stelle, “Il cielo stellato sopra di noi” forse per questo motivo si è anche affievolita “la legge morale dentro di noi.”





