UCTAT Newsletter n.59 – SETTEMBRE 2023
di Angelo Rabuffetti
A Metanopoli nel comune di San Donato Milanese, sta per essere ultimato il Sesto Palazzo Uffici dell’ENI. La memoria torna al Quinto Palazzo…
Il 18 luglio 1985 la SNAM SpA invita a partecipare ad un concorso di idee per la progettazione del Quinto Palazzo Uffici. Undici gruppi di architetti rispondono all’invito. Dopo attento e meticoloso esame, la Commissione giudicante, nominata appositamente, proclama vincitore la proposta di Aimaro Isola e Roberto Gabetti. Tra gli altri “competitor” ci sono: Alberico Barbiano di Belgioioso: classificato secondo, Marco Zanuso: classificato terzo, Paolo Portoghesi (recentemente scomparso): classificato quarto. E poi: Marco Albini, Franca Helg e Antonio Piva; e poi ancora: Afra Bianchin e Tobia Scarpa e infine: Gino Valle. Nomi di tutto rispetto!
Inizia così il percorso per la costruzione del Quinto Palazzo Uffici.
Chiariamo subito: alcuni lo chiamano Palazzo SNAM e altri Palazzi ENI. SNAM Immobili, controllata SNAM a sua volta controllata ENI, era la proprietaria di tutti i beni immobiliari del Gruppo. Nel 2012 ci fu il distacco societario tra ENI e SNAM e tutti gli immobili passarono sotto il controllo diretto di ENI. Inoltre il palazzo è stato sempre occupato dagli uffici di ENI e da allora è consuetudine chiamarlo: QUINTO PALAZZO ENI.
Ho ancora presente nella mia mente l’immagine di Aimaro Isola durante le sue visite in cantiere. Correva l’anno 1990. Mai sorridente: rifletteva l’immagine dei suoi dipinti e dei suoi disegni. Certo è un appassionato di disegno e ama dipingere ad acquerello le tavole dei suoi disegni tecnici. Non per niente è professore emerito al Politecnico di Torino di Composizione architettonica. Meticoloso e attento ai particolari più piccoli e insignificanti.
Teorico del paesaggio: “la costruzione architettonica deve rapportarsi con il paesaggio che sta attorno”. È un postulato a cui non ha mai rinunciato.
Lo sguardo profondo e silenzioso che però al contrario esprimeva tutto: la riflessione in primis, non una parola fuori posto, tutto era meditato, pensato e poi, infine, espresso con poche parole. In una intervista ha affermato che: “l’inquietudine, che è parte della nostra esistenza, è un momento di contraddizione, di non essere sicuri della verità. È l’inquietudine che ci spinge al progetto. Proprio per questo è un atto di gioia, di riflessione e di impegno ma che poi si ricompone e si ritrova la ricchezza, l’architettura, la composizione”. (Rif. Floornature, Architecture & Surface).
Lo ricordo salire sui ponteggi con elmetto in testa e scarpe di sicurezza, andare diretto verso i muratori paramanisti e istruirli dettagliatamente su come doveva essere la composizione e la geometria delle piastrelle di pietra a spacco che tuttora ornano i parapetti delle varie terrazze di copertura.
Ma torniamo al progetto. La composizione architettonica che sta alla base dell’intero palazzo ha come “fil rouge” il modulo, nelle tre dimensioni, di 3.60 metri di lato. Tanti cubi da 3.60 sovrapposti e accostati l’uno all’altro che ha permesso una libertà progettuale nelle tre dimensioni. Quindi un intervallare continuo, e quasi infinito, di alti e bassi, rientranze e sporgenze con la sola eccezione della sala conferenze e ristorante aziendale che è rappresentata dalla stanghetta che riproduce la grande Q di QUINTO PALAZZO UFFICI.


Il progettista delle strutture è stato lo Studio MPS (Ingg. Macchi, Papini, Sangalli) i quali per risolvere il problema del forte peso costituito dagli undici piani dell’edificio si sono avvalsi di pilastri prefabbricati costituiti da una camicia in acciaio calandrato a spirale con all’interno un profilo a doppio T e ulteriore armatura di tondino nervato e getto finale di calcestruzzo ad alta resistenza. Alla base e in cima di ogni pilastro è collegata, mediante saldatura, una flangia metallica assicurata al nodo trave/pilastro per mezzo di tirafondi bullonati. Le travi portanti sono in calcestruzzo armato gettato in opera mentre le solette sono prefabbricate tipo PREDAL.


La copertura è completata con trenta centimetri di materiale impermeabilizzante e coibente. Un tale enorme spessore al fine di permettere e garantire la stesa di 50 cm di terreno da coltivo e la dimora di piante e alberature da giardino pensile. Quest’ultimo strato non è stato attuato. Ci si è limitati a ornare solo i bordi di alcune terrazze con piante rampicanti e alberi di piccolo taglio e a stendere uno strato di dieci cm di ghiaietto al fine di raffreddare lo strato coibente durante la stagione estiva.
Non si è dato corso nemmeno alla realizzazione di un eliporto posto sulla copertura dell’undicesimo piano che prevedeva, tra l’altro, la realizzazione di un ascensore ad uso esclusivo del Presidente, e suoi eventuali ospiti, che dal piano eliporto portava direttamente al piano direzionale e da qui al piano terreno senza ulteriori fermate indesiderate.
Altra nota di sicuro rilievo è rappresentata dalla doppia parete dove il serramento esterno, in doppio vetro temperato antisfondamento e antiproiettile di colore verde, contribuisce a migliorare le performance termiche del fabbricato. Esso è ricavato dalla ulteriore divisione in quattro del modulo strutturale da 3.60 m ed è contornato da profili in alluminio anodizzato. La parete interna è anch’essa in vetro fisso e semplice.
L’intercapedine, che di conseguenza si viene a formare, è larga 90 cm. E’ l’alloggiamento naturale di serre verticali e sistemazione di piante appositamente selezionate dall’Istituto di Coltivazione Arboree dell’Università di Bologna. Doveva essere un esperimento di serra in ambiente artificiale con supporti per le piante, ventilazione forzata e continua di ricambio di aria (mandata e aspirazione), ugelli di irrigazione a goccia e periodica manutenzione.
In una prima fase di attuazione solo il terzo piano è stato dotato delle serre artificiali. Dopo nemmeno un anno ci si è resi conto che le piante erano troppo soggette ai raggi crudeli del sole e, accentuati dal vetro del serramento, queste, purtroppo, non sono sopravvissute (sigh!!). Infine i costi proibitivi di esercizio hanno fatto sì che le serre venissero definitivamente soppresse ed ora l’intercapedine è vuota. Si può solo osservare i pilastri cilindrici nel mezzo dei moduli da 3.60 metri.
Ulteriore nota di rilievo è rappresentata dalla formazione del lago al posto del cortile interno: impermeabilizzazione del fondo e delle pareti accuratamente progettata e stesa, 50 cm di acqua continuamente ossigenata e filtrata, pesci e piante acquatiche completavano l’immagine.
Nell’intenzione di Gabetti & Isola tutto il cortile doveva essere un lago artificiale: il V° Palazzo doveva dare l’impressione di sorgere direttamente dall’acqua ed essere una salus per aquam (spa) anche se solo per la vista. Solo una piccola baia in un angolo avrebbe permesso agli addetti e ai mezzi di poter effettuare la manutenzione periodica.
. La Committenza ha, però, deciso di prevedere un marciapiedi di circa due metri a contornare il cortile snaturando il significato iniziale ed encomiabile. Inoltre, sempre per i costi proibitivi, Il lago non è mai entrato in funzione e adesso risulta asciutto, sprovvisto di flora e fauna e gli impianti di depurazione sono fermi.
Altro dato di rilievo è rappresentato dalla totale incastellatura dell’edificio con elementi tubolari in alluminio anodizzato e termolaccato di colore verde e diametro 80 mm. Questa incastellatura prosegue in copertura, la oltrepassa per una altezza di circa due metri e la cui funzione può essere intesa come supporto delle piante rampicanti.
In facciata, invece, il verde dei profili tubolari si confonde con il verde dei vetri dei serramenti; si nota soltanto il piccolo aggetto che contorna il modulo da 3.60 metri.
Ultimo, ma non meno importante, è l’automazione dell’edificio. È uno dei primi esempi di “fabbricato intelligente”. La cablatura raggiunge il 100 per cento dello spazio calpestabile. Il sistema antincendio, il controllo e l’ottimizzazione degli impianti tecnologici: condizionamento, riscaldamento, impianti ausiliari, illuminazione ideale automatica, accessi e uscite del personale autorizzato, sicurezza attiva e passiva, controllo degli ascensori, procedure di evacuazione, avvisi di scadenza e attivazione manutenzione; tutto collegato ad una sala controllo centralizzata che permette la riduzione al minimo di tempi e costi e massimizzazione del comfort.

Non vi è alcun dubbio riguardo all’innovazione che il V° palazzo ha voluto rappresentare, sia dal punto di vista architettonico (con il modulo da 3.60metri) sia dal punto di vista edile (con la prefabbricazione spinta) sia dal punto di vista ambientale con l’esperimento della serra e del lago centrale, purtroppo falliti ma che hanno aperto la strada ad altri esperimenti di risultato migliore quali per esempio (uno su tutti) il Bosco Verticale di Stefano Boeri e sia, non ultimo, dal punto di vista dell’automazione dell’involucro edilizio.
Non si tratta di una architettura consueta ma di una architettura che è riuscita ad andare oltre. Trentatre anni dopo l’inaugurazione, l’impatto di questa architettura regge bene, anzi, si è rafforzata e assurge al titolo di simbolo. Inserita validamente nel contesto e nel paesaggio circostante la rappresenterà per moltissimi anni ancora. Un semplice passante rimane meravigliato e colpito in maniera positiva. Si ferma e si sofferma e ammira. Non ha sicuramente atteggiamenti di stizza o di stonatura o di inserimento sbagliato in un contesto alieno. In altre parole: apprezza la bellezza e l’audacia che emana!
L’intreccio tra artificiale e naturale, tra biologico e chimico è qui risolto in maniera elegante e la convivenza è pacifica e accettata con garbo e consapevolezza (nei limiti imposti!).
