UCTAT Newsletter n.15 – settembre 2019
di Andrea Tartaglia
Il PGT recentemente adottato dall’Amministrazione comunale di Milano contiene il seguente articolo 11:
“1. Il recupero di edifici abbandonati e degradati, che comportano pericolo per la salute e la sicurezza urbana, situazioni di degrado ambientale e sociale, costituisce attività di pubblica utilità ed interesse generale, perseguibile secondo le modalità di cui al presente articolo.
2. Le disposizioni del presente articolo si applicano a tutte le aree e gli edifici, indipendentemente dalla destinazione funzionale, individuati nella Tav. R.10, periodicamente aggiornata, per questo aspetto”.
L’articolo si completa con l’individuazione di un sistema di incentivi e disincentivi finalizzati a favorire un rapido intervento da parte dei proprietari dei beni. Il mancato avvio dei lavori di recupero degli edifici abbandonati e degradati entro 18 mesi dall’approvazione del PGT, produrrebbe una netta riduzione della capacità edificatoria, da riferirsi all’indice territoriale del PGT, e non alla volumetria del costruito esistente.
La demolizione e la bonifica delle aree sono, infatti, un’alternativa interessante anche per l’Amministrazione comunale, che in tal caso consente di mantenere il diritto edificatorio con volumetrie pari a quelle degli edifici degradati demoliti.
L’obiettivo dell’articolo 11 rispetto all’urgenza di contenere i fenomeni di degrado e abbandono degli immobili favorendo la riqualificazione o la liberazione dei suoli è totalmente condivisibile. Rappresenta una importante e concreta presa di coscienza del pubblico rispetto ad una emblematica criticità che coinvolge il contesto milanese.
Diverso invece è il tema della reale applicabilità dell’articolo 11 così come ad oggi configurato. Infatti, come osservato da alcuni avvocati amministrativisti, la sua applicazione comporterebbe un elevato rischio di contenzioso legale dall’esito non scontato.
Certamente la dinamicità del mercato immobiliare, la presenza di operatori e investitori con grandi capitali, la ritrovata visibilità internazionale della città e la sua attrattività non sembrano comunque ad oggi in grado di evitare diffusi fenomeni di degrado e di abbandono di volumetrie che si concentrano principalmente lungo la fascia esterna del sistema urbano.
Al momento l’Amministrazione ha identificato 180 immobili su cui si ritiene necessario intervenire.
Anche se l’articolo 11 dovesse essere modificato o eliminato secondo i desideri di chi ne ravvisa elementi di illegittimità (anche a seguito delle osservazioni sulle quali il Consiglio comunale dovrà esprimersi), ciò non cambierebbe la realtà di un fenomeno di ampia portata che deve comunque essere affrontato con urgenza.
Situazioni di abbandono di immobili per esigenze di rifunzionalizzazione, adeguamento o sostituzione sono naturalmente fisiologiche. Ciò che le rende patologiche sono i tempi di inutilizzo e il correlato degrado.
In alcune zone della città è evidente come al momento la “domanda” non supera l'”offerta”. Altrimenti non si spiegherebbe una tale numerosità di proprietà che rimangono inutilizzate per lungo tempo.
I problemi nascosti dietro al degrado di ciascun immobile possono essere diversi (passaggi di proprietà/eredità, fallimenti, costi di bonifica, limiti infrastrutturali, etc.) ma certamente un ruolo importante è giocato dalla “finanziarizzazione” dei processi edilizi che ha ancor più accentuato le problematiche derivanti dal tema della rendita.
Con riferimento a questa problematica, l’ambito di Rogoredo presenta più di dieci realtà mappate come soggette a degrado, molte delle quali concentrate lungo via Medici del Vascello e via Bonfadini, fino all’ampio complesso di carattere industriale di via Dione Cassio. Realtà che da molti anni non hanno trovato nuovi usi.
A tali immobili si aggiungono aree non costruite ma sostanzialmente abbandonate o caratterizzate da utilizzi che ostacolano la rigenerazione anche delle proprietà ad esse limitrofe.
Tuttavia l’ambito territoriale di Rogoredo-Santa Giulia-Taliedo-Mecenate rappresenta una anomalia. Si tratta infatti di un contesto in grande trasformazione con significativi interventi che di recente hanno subito un’accelerazione.
Per tale ragione è giustificato chiedersi il senso del mantenimento di strutture edilizie anche di grandi dimensioni mancanti però di qualsiasi contenuto prestazionale minimo che le renda attrattive per una loro rifunzionalizzazione. L’attuale condizione di immobili come quelli in via Medici del Vascello dovrebbe spingere a riflettere sulla evidente correttezza di incentivare la demolizione e la liberazione delle aree per rendere più agevole o il trasferimento delle volumetrie o l’attivazione di processi di rigenerazione in loco.
L’anticipazione degli interventi di demolizione ed eventuale bonifica significherebbe anche contenere i rischi e i tempi delle successive fasi di trasformazione con un conseguente aumento del valore all’area e della sua attrattività.
Naturalmente permane sempre il problema di governare le trasformazioni all’interno di un contesto più ampio che garantisca la qualità anche alla scala urbana.
Fino ad ora si è assistito a interventi con logiche episodiche, a partire a nord dalla riqualificazione di alcuni edifici di carattere industriale lungo via Mecenate ma anche a sud con riferimento allo sviluppo di Santa Giulia la cui qualità si declina nei singoli manufatti ma evidenzia criticità rispetto allo spazio pubblico e alle relazioni/interferenze che si vengono a creare rispetto al sistema infrastrutturale e dei servizi.
Il tema del patrimonio edilizio degradato non dovrebbe essere affrontato come sommatoria di singolarità. Un edificio può assumere con maggior facilità un nuovo significato e ruolo che giustifichi investimenti importanti se si colloca all’interno di una visione più ampia e in un sistema di spazi e infrastrutture pubbliche che sono il vero elemento di attrattività di una città.
