UCTAT Newsletter n.56 – maggio 2023
di Fabrizio Schiaffonati
Sul confine di Milano, dopo Rogoredo, si incontra Metanopoli a San Donato Milanese. La company town dell’ENI, sorta dal dopoguerra per volere di Enrico Mattei. Un insediamento di grande significato per concezione, qualità urbanistica ed eccezionalità architettoniche. Un quartiere ricco di verde, di servizi e spazi pubblici, con edifici d’autori di primo piano. Appena usciti quindi da Milano ci si offre la possibilità di una promenade unica, che dovrebbe essere d’insegnamento per l’urbanistica e l’architettura anche di oggi: un razionale town design di basse densità, edifici distanziati nel verde, tipologie che richiamano una vera e propria garden city.
Una iniziativa proseguita nel tempo, con PALAZZI UFFICI simbolo della crescente importanza della holding nelle diverse fasi di sviluppo. Il PRIMO degli anni Cinquanta di Nizzoli-Oliveri, con all’ultimo piano la direzione di Mattei, un esempio di rigore e creatività; il SECONDO con pianta a Ypsilon di Bacigalupo-Ratti, dalle stereometriche facciate in curtain wall. Due edifici all’ingresso di Metanopoli dalla via Emilia, che hanno rappresentato l’icona della Società. Poi negli anni Settanta, immerso nel verde, il TERZO di Albini-Helg, dall’inconfondibile cifra espressiva e tecnologica; e lì vicino il QUARTO a corte ancora di Bacigalupo-Ratti. E negli anni Ottanta di fronte ai primi due il QUINTO di Gabetti-Isola, un edificio green ante litteram con la doppia facciata a serra e lo specchio d’acqua intercluso nell’organica planimetria.
Ma anche altri importanti architetti hanno operato in questo contesto. Tra cui Baciocchi a cui si deve la concezione urbanistica di Metanopoli, progettista anche degli edifici per laboratori di ricerca collocati sul viale d’ingresso, di diverse residenze di matrice razionalista e della chiesa di San Barnaba con il grandioso mosaico della crocefissione del Tomea, la Madonna del melograno di Cassinari, i dipinti del Gentilini e le opere dei Cascella. A San Donato Milanese troviamo inoltre la chiesa di Sant’Enrico di Gardella, le residenze dei fratelli Monti, quella di Aina-Raboni, il Municipio di Scarcella, l’edificio di Kenzo Tange e le Torri Lombarde dei G14.
Un Comune esempio positivo di concertazione tra amministrazione pubblica e iniziativa privata, secondo gli indirizzi urbanistici di Bosio, Baccalini, Tutino, col declassamento della Via Emilia ad asse urbano che ha ridato vivibilità all’intero territorio, non conurbazione e frangia di Milano. Una vicenda urbanistica importante, spesso sottovalutata, che ha consentito di mantenere una identità a questa zona del sud-est milanese, nonostante i vincoli del nodo infrastrutturale ferroviario, della Tangenziale e della Autostrada del Sole. Accesso, quindi, a Milano non caratterizzato da una disordinata edificazione.
In questo contesto ambientale è comparso ora il SESTO PALAZZO UFFICI dell’Eni, proprio di fronte all’edificio di Gabetti-Isola e all’ingresso di Metanopoli. Un intervento in fase di ultimazione che si affaccia sull’asse urbano dell’Emilia, a seguito di un concorso vinto da Morphosis Architects e Nemesi Studio.
Un’opera di notevole consistenza volumetrica, su un grande lotto dalla demolizione di diversi edifici, tra cui il primo Motel dell’Agip col simbolo del cane a sei zampe diventato il marchio dell’Eni e dello sviluppo dell’Italia, sulle quattro ruote della rivoluzione dell’automobile e sulle due gambe del guidatore. Da lì sarebbe partita l’Autostrada del Sole, “la strada dritta” che avrebbe collegato il Paese.
L’architettura del Sesto Palazzo Uffici nulla ha a che vedere con la misura e l’attenzione per il contesto e l’ambiente degli interventi precedenti. Si presenta con una indefinibile forma, che annichilisce l’equilibrio dell’edificio di Gabetti-Isola. Bizzarra costruzione che a prima vista potrebbe apparire il padiglione di un lunapark, un’astronave o la ferraglia di una dismissione industriale, con passaggi aerei, piani inclinati e forme ameboidi.
È pur vero che molta architettura contemporanea ha imboccato la strada delle dissimmetrie, della casualità delle forme, della trasgressione del rapporto forma-funzione, per stupire e catturare l’attenzione; ma in questo caso tutto appare eccessivo, di difficile giustificazione, di provocatoria espressione. Nessun disegno di facciate o di finestre dove intuire la relazione tra spazio interno e spazio esterno, di un affaccio, d’una cortina che rispecchi il cielo, di una leggerezza aggraziata ma, al contrario, un pesante involucro metallico con tagli casuali di presumibili serramenti, senza alcuna regola e logica geometrica. Un ricercato disordine che non può non apparire gratuito e inquietante.
L’architettura, come l’urbanistica, è misura, rapporto tra spazi costruiti e liberi, sistema di relazioni anche semantiche, distribuzione e organizzazione delle funzioni, disciplina della fruibilità e del benessere degli ambienti. E a ciò dovrebbe tendere, come nelle continue reiterate intenzioni e dichiarazioni delle normative urbanistiche ed edilizie, per la tutela del paesaggio e delle preesistenze, con i crescenti vincoli autorizzativi e di valutazione degli impatti. Nel caso del SESTO Palazzo Uffici tutto ciò non sembra trovar riscontro, e inquieta quindi la palese contraddizione, tanto più oggi con la Commissione del Paesaggio in sostituzione della vecchia Commissione Edilizia, in un contesto di indiscutibile valore per le sue opere e la sua storia.

