UCTAT Newsletter n.67 – maggio 2024
di Matteo Gambaro
Negli ultimi anni ho incontrato Alberto Alessi due volte, nella sua azienda di Crusinallo, frazione del Comune di Omegna, luogo privilegiato dall’inizio del Novecento per l’industria del casalingo e sede di importanti realtà aziendali come Alessi, Bialetti, Lagostina, Calderoni, Girmi e Piazza. La sede della Alessi si raggiunge in auto arrivando da Omegna e percorrendo la strada provinciale che costeggia il torrente Strona sul fondo della stretta valle che prende appunto il suo nome. Si tratta di luoghi appartati e un po’ angusti, difficilmente raggiungibili, situati nella zona orientale delle Alpi Pennine tra la Val d’Ossola e la Valsesia.
Il complesso edilizio dell’Alessi è stato costruito negli anni ’60 su progetto di Carlo Mazzeri e poi ampliato da Alessandro Mendini nel 1996: una sorta di grande coronamento verde acqua, con frontone e orologio, appoggiato sui vecchi uffici vetrati e collegato da una passerella aerea all’altra ala destinata alla produzione. Il luogo è inaspettato, caratterizzato dal rumore dell’acqua di un torrente, che scorre a ridosso degli uffici e dalla presenza di enormi manufatti domestici prodotti dall’Azienda. Su tutti svetta un “Merdolino” gigante, progettato da Giovannoni e indubbiamente uno dei simboli del nuovo corso produttivo varato negli anni ’70 da Alberto Alessi.
La sorpresa si ripete, e si amplifica, quando raggiungo il piano primo e vengo accompagnato nell’ufficio di Alberto. Sbarcato dalle scale elicoidali verdi mi trovo al cospetto di un numero sterminato di manufatti di design domestico, posizionati su basamenti singoli o raggruppati per temi: un “esercito di terracotta” del design italiano che attraverso prestando attenzione a non urtare nulla, vista la vicinanza dei basamenti e degli oggetti. È una parte del catalogo Alessi attualmente in produzione che occupa completamente la passerella di collegamento tra la zona uffici e la produzione. L’ufficio di Albero è nel manufatto destinato alla produzione e ne capisco subito le ragioni. Dopo avere attraversato un corridoio ricoperto da librerie su entrambi i lati, arrivo in un ampio spazio dalla forma stretta e allungata con due pareti finestrate sui lati corti, completamente occupato da un enorme scrivania – così grandi non ne ho mai viste – su cui sono appoggiati innumerevoli oggetti di ogni tipo. Decine, centinaia, perlopiù prototipi alternati a libri e lampade tra cui Alberto si è ricavato una nicchia minuta per lavorare. Anche le pareti sono ricoperte da disegni e progetti incorniciati. Un laboratorio di idee e di sperimentazione che racconta la storia dell’azienda.
Alberto è gentile e sorridente, quasi stupito della mia richiesta di una intervista. Il motivo è la prossima pubblicazione, nella serie “Architettura” di Interlinea, del volume dedicato all’architetto novarese Carlo Mazzeri, tra i primi designer ingaggiati da Alessi negli anni ’50 e autore del notissimo shaker “870”, esposto con altri manufatti al Museo di Arte Moderna di New York.
Durante la conversazione mi racconta la storia della sua famiglia, dell’avvio dell’attività imprenditoriale nel 1921, sotto la guida del nonno Giovanni, come officina per la lavorazione delle lastre in ottone e alpaca a moderna azienda che negli anni ’50 avvia le collaborazioni con progettisti esterni come Carlo Mazzeri, Luigi Massoni e Anselmo Vitale e che la porteranno ad affermarsi nella produzione con l’acciaio con alcuni pezzi riconosciuti a livello internazionale. Fino alla svolta anticonformista sotto il suo impulso, negli anni ’70, con l’utilizzo della plastica e il coinvolgimento di designer di fama internazionale.
È proprio sotto la sua direzione che l’azienda si orienta verso un design giocoso e creativo, sintesi tra il rigore della produzione industriare e la ricerca nel campo delle arti applicate.
Due passaggi del racconto biografico sono paradigmatici della sua svolta: il primo che sintetizzerei in “più poesia e meno design”. La scelta di un nuovo prodotto, mi ha raccontato, non è mai passata attraverso l’analisi minuziosa di progetti e proposte di nuovi oggetti da immettere sul mercato, quanto piuttosto da stimoli poetici, da sollecitazioni creative in senso ampio, capaci di catturare il suo interesse e la sua curiosità estetica. La questione costruttiva e poi produttiva era sempre in secondo piano, subordinata allo stimolo sensoriale.
Il secondo passaggio, a conferma del primo, è il racconto di un episodio della sua attività che ha visto protagonista Aldo Rossi. Coinvolto dai tecnici dell’ufficio di progettazione interno all’azienda, a Rossi vengono chieste spiegazioni costruttive su un suo nuovo progetto, indispensabili per avviare la produzione. Rossi, con un certo snobismo, risponde che se vogliono i disegni tecnici li devono chiedere a Zanuso e che lui non ha altro da comunicare se non l’idea. Alberto era molto divertito mentre mi raccontava l’episodio, e ha poi confermato che Rossi non ha inviato ulteriori disegni tecnici e che la progettazione è stata gestita dall’ufficio interno alla Alessi con rapidi e superficiali scambi di idee con Rossi. Questo racconto sintetizza la svolta proposta da Alberto all’azienda di famiglia, la voglia, tramite il design, di stimolare artisticamente e sensorialmente attraverso oggetti d’uso comune che oltre ad assolvere alla funzione precipua per cui sono stati costruiti diventano portatori di un messaggio artistico, di una immagine della società contemporanea. Altrettanto sorprendente è stata la visita all’archivio dei prototipi, un lungo percorso attraverso grandi vetrine completamente stipate di manufatti mai andati in produzione, una fantasmagoria di forme, colori, materiali, inimmaginabili, accostati gli uni agli altri senza soluzione di continuità a comporre il racconto di cento anni di storia Alessi.

