Il terzo paesaggio

UCTAT Newsletter n.82 – ottobre 2025

di Angelo Rabuffetti

Il primo paesaggio è rappresentato dalla natura incontaminata. Esiste in natura una varietà straordinaria di ecosistemi. C’è la natura rigogliosa dei boschi e delle foreste, il verde di un altopiano, la vita perenne di un ruscello in montagna, le savane, la taiga, i secchi deserti e le zone umide, le tundre, i poli ghiacciati e i meravigliosi scorci dell’arco alpino.

Al secondo paesaggio, all’estremo opposto, appartiene la natura programmata, curata, gestita e controllata, il cosiddetto verde pubblico piegato dall’ordine e dalla pulizia, costretto dal volere dell’intelletto umano dove i prati sono verdi, umidi, ben rasati all’inglese e le erbacce sono eliminate in maniera selettiva, le siepi sono pareggiate meccanicamente e nessuna risulta fuori luogo e gli alberi sono potati regolarmente, i rami secchi strappati crudelmente e sono ben allineati in una perfetta ricercata geometria euclidea. Inoltre specchi d’acqua artificiali con ricambio di acqua e relativa ossigenazione al punto giusto e dove guizzano felici pesci quasi addomesticati e in cielo volano uccellini cinguettanti a completare l’immagine.

Ma c’è un’altra natura altrettanto frequente con cui quotidianamente abbiamo a che fare. È il verde più discreto e dimenticato: il terzo paesaggio.

Con questa espressione Gilles Clement intendeva definire tutti quei luoghi abbandonati dagli esseri umani. Quei residui di territori antropizzati come ad esempio le aiuole spartitraffico, le aree degli argini dei fiumi cittadini, le aree industriali abbandonate o i ruderi delle zone archeologiche a cui è vietato l’accesso dalla Sovrintendenza.

Recentemente ho riletto con interesse il libro di Gilles Clement: MANIFESTO DEL TERZO PAESAGGIO scritto nel 2004. Clement è un architetto, paesaggista, biologo e scrittore famoso per aver ideato e creato il parco Andrè Citroen a Parigi sorto sulle rovine dello stabilimento di autoveicoli Citroen negli anni ’70 del secolo scorso.

Il libro non è impostato come narrazione o racconto ma è composto da molti brevi paragrafi numerati che esprimono ognuno un concetto. Una sintesi condensata che lascia spazio al lettore per profonde riflessioni. Qui di seguito cerco di proporre alcune mie considerazioni.

Il terzo paesaggio sono luoghi indefiniti sui quali è difficile perfino assegnare anche un nome. Le nostre città ne sono colme. Basta semplicemente passeggiare per vederne molte e conoscere i suoi abitanti. Le origini del terzo paesaggio sono molteplici e la loro vita e sopravvivenza è legata al caso o all’abbandono o, ancora, alla preclusione di accesso per motivi di sicurezza o proprietà privata. Questi luoghi diventano luoghi dell’incertezza e inaccessibili a chi li vuole studiare, frequentare o apprezzare.

Parte integrante del terzo paesaggio è il confine perché è proprio il divieto o la difficoltà di accesso, dove le automobili non possono accedere e dove il calpestio umano non è permesso. Ed è là che esplode la vita: gli scali ferroviari sia in stato di abbandono che attivi, le zone di rispetto degli aeroporti siano esse rumorose o no, la zona recintata degli svincoli autostradali e tangenziali, ma soprattutto le molte ed estese zone ex industriali in stato di completo abbandono e disinteresse e queste aree lambiscono perfino il centro caotico delle città. Nessuno rischierebbe la propria vita (a parte gli addetti ai lavori) a passeggiare in questi luoghi.

Così, piano piano, si formano piccoli boschi con arbusti selvatici che con il tempo diventano alberi di alto fusto e folta chioma. E poi arrivano gli insetti sia quelli impollinatori che gli altri i quali permettono la nascita di altre forme vegetali, quindi arrivano animali di piccolo taglio come arvicole, uccelli, ricci, topi, piccoli serpenti, scoiattoli, conigli selvatici e lepri fino a richiamare volpi, cinghiali e lupi. Questi si sono abituati a convivere con treni sfreccianti, automobili e grandi uccelli metallici che decollano e atterrano in un fragore assordante. Hanno messo su casa, formano famiglie e si riproducono. La natura si riappropria di ciò che l’uomo ha abbandonato creando cose che sono a metà tra il naturale e l’artificiale.

I siti ex industriali sono oggi occupati da altre forme di vita. Un tempo c’erano macchinari e umani intenti a farli funzionare, impiegati alle scrivanie con i cassetti pieni di cancelleria. Oggi ci sono gli stessi macchinari e gli stessi cassetti delle scrivanie ma sono diventati le case e le tane di animaletti che trovano riposo e rifugio contro feroci predatori. Tra le fessure di muri ormai sconnessi possiamo osservare scoiattoli e ghiri. Nei mattoni forati messi a nudo dal tempo ci sono nidi di api, vespe e calabroni che a loro volta impollinano fiori che si sviluppano rapidamente e senza ostacoli. I soffitti e le travi di vecchi capannoni sono diventati il rifugio di pipistrelli e le sommità di ciminiere e di alte colonne sono il punto preferito dai rapaci per osservare e fare le loro naturali incursioni micidiali.

A differenza di un parco pubblico dove l’uomo riduce al minimo la diversità biologica e salva e sviluppa solo quella parte più bella e ricercata, nel terzo paesaggio pullula la vita sotto ogni forma, aspetto, colore e profumo. In un prato cittadino ci sono mediamente venti specie vegetali e animali mentre nel terzo paesaggio sono cinque volte di più. È il rifugio e il risveglio della vita selvatica vegetale e faunistica.

In Italia e in Europa sono numerosi gli esempi di siti ex industriali in stato di abbandono e ormai considerati terzo paesaggio. Ma non solo siti ex industriali. A Milano, per esempio, c’è la piazza d’armi di Via Forze Armate e la foresta della goccia della Bovisa. Impenetrabili dagli esseri umani. La natura più selvaggia in poco tempo si è impadronita di questa parte di città ed è decisa a mantenerla e cederla solo a caro prezzo.

Come siti ex industriali con maggior risonanza mediatica ricordo Bagnoli a Napoli e Falck a Sesto San Giovanni ma sono solo due di innumerevoli esempi. Dagli anni ’90 in completo stato di abbandono e dove regna un silenzio incombente rotto solo dai versi di animali e dai grilli d’estate. L’enorme area, tra progetti naufragati, lungaggini burocratiche, promesse non mantenute, imbrogli e politica indefinita sta aspettando di avere una nuova destinazione. Inoltre diverse opinioni tra loro contrastanti da addetti ai lavori, politici, residenti e non, comitati spontanei per il sì e comitati spontanei per il no. Infine il Tar che viene tirato per la giacchetta e costretto a deliberare. C’è chi vorrebbe una vocazione turistico – commerciale con alberghi e centri commerciali e un po’ di residenza che non guasta mai e chi, invece, vorrebbe un parco pubblico aperto e ben curato.

Per il momento, come per il passato e il prossimo futuro, il terzo paesaggio è un luogo di attesa senza una destinazione o in attesa di una esecuzione di progetti sospesi per ragioni finanziarie o politiche.

Gilles Clement non ha mai usato parole fin troppo abusate ai giorni nostri quali: ecologia, ambiente, sostenibilità, biodiversità: non ce né mai stata la necessità. È colui che meglio di tutti ha approfondito questo argomento dando un nome, una dignità e una fisionomia inequivocabile al terzo paesaggio; anzi afferma con vigore ed entusiasmo che “uno spazio privo di terzo paesaggio sarebbe come uno spirito privo di inconscio”. Sono luoghi in cui la natura esprime tutta la sua fantasia, la sua inventiva, libera di evolvere senza schemi prefissati o costrizioni. La contemplazione di tanta potenza e desolazione diventa un punto fermo di insegnamento come la transitorietà dell’essere umano e del mutamento inesorabile delle cose terrene e noi che ci aggrappiamo freneticamente a quello che possediamo oggi. Quel che è certo è che il terzo paesaggio offre un motivo di riflessione. Ci ricorda che la natura esiste anche se non la comprendiamo o non la accettiamo se non la controlliamo a “nostro piacimento”. Ci ricorda che l’uomo non domina il mondo e la vita continua spontanea e dinamica.

Terzo paesaggio sono quei luoghi nati per caso, per incuria o per rifiuto dell’uomo. Non va protetto perché è capace di proteggersi da solo e perché si modifica, si trasforma ed evolve in maniera del tutto naturale e va rispettato per quello che è. Infine per rispettare il terzo paesaggio l’uomo deve imporsi di NON FARE!

P.S.:

Terzo paesaggio rinvia a Terzo Stato, al pamphet di Seyes del 1789:

“Cos’è il Terzo Stato? – Tutto!

Cosa ha fatto finora? – Niente!

Cosa aspira a diventare? – Qualcosa!”

(tratto da Manifesto del terzo paesaggio di Gilles Clement)  

Parco André Citroën, Patrick Berger e Gilles Clement, Parigi, 1992.
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