UCTAT Newsletter n.56 – maggio 2023
di Carlo Lolla
“….è stato lì che gli è apparsa l’ombra eternamente gloriosa di Omero, il quale tra le lacrime cominciò a rivelargli la natura delle cose…” (Lucrezio).
Una bella o brutta architettura da dove nasce?
Si può dire che è dall’arte che nasce l’architettura, e la bellezza e l’armonia ne fanno parte. Per questo l’arte deve essere una ispirazione continua. L’arte come concetto di fede e il passato, come elemento fondante è imprescindibile, per proiettarsi lontano. Non c’è futuro se non c’è storia.
La bellezza e la bruttezza in architettura sono concetti soggettivi e complessi che si intrecciano con l’estetica, la funzionalità e l’esperienza umana. Ciò che può essere considerato bello da una persona potrebbe non essere apprezzato da un’altra. L’architettura, come tutte le forme d’arte, è soggetta a interpretazione e dipende dall’esperienza individuale, dalle preferenze personali e dai contesti culturali.
In definitiva, la bellezza e la bruttezza in architettura sono concetti complessi e sfaccettati. Mentre alcuni principi di base possono guidare l’apprezzamento estetico, è similmente importante riconoscere che l’architettura può ispirare emozioni e reazioni diverse in ogni individuo.
La bellezza in architettura può essere associata a una serie di elementi. Ad esempio l’armonia delle proporzioni, fattore chiave, per la percezione di bellezza, così come la simmetria, l’equilibrio e l’ordine devono tenere in considerazione il rispetto delle caratteristiche storiche e culturali del luogo, nonché valutare gli aspetti ambientali.
Nel tempo moderno in architettura è in uso il genius loci, come approccio fenomenologico allo studio dell’ambiente, interazione di luogo e identità. È un termine trasversale che riguarda varie caratteristiche, tra le quali indicare il “carattere” di un luogo, con tutti i suoi annessi e connessi (siano essi materiali o immateriali) e che abbiano un particolare legame storico-culturale che rende unico e immediatamente tal luogo.
Riassumendo mi rendo conto, guardando in giro, che molti nobili architetti desiderosi di esprimere la loro libertà espressiva, nella ricerca del nuovo, di scelte progettuali, a volte discutibili per una esternazione creativa, incappano in programmi ove la bruttezza appare intenzionale, come un’architettura deconstructivista. In sostanza un caos sguaiato, rozzo, incivile.
Ma a fronte di questi obbrobri chi dovrebbe porre attenzione, diligenza e zelo? Innanzi tutto la strutturaamministrativa: l’assessorato all’Urbanistica, a seguire, ma non per questo meno importante, la Commissione del Paesaggio.
Quest’ultima, alla quale deleghiamo la capacità interpretativa, dovrebbe comprendere e interpretare il significato e i valori di un paesaggio. Il suo impegno implica molteplici aspetti fisici, culturali, storici, ecologici e sociali che contribuiscono alla formazione del territorio. Le capacità interpretative sono fondamentali per valutare e comprendere l’impatto delle attività umane sull’ambiente, nonché per guidare la sua gestione e pianificazione in modo sostenibile. La comprensione del paesaggio come risorsa fondamentale per il benessere delle persone e come parte integrante del patrimonio culturale non solo italiano, ma europeo. Questi sono i parametri ai quali attenersi.
I componenti della Commissione quali competenze devono avere, oltre alla sensibilità, l’attenzione e il sentimento? Io dico la formazione, l’educazione, la ricerca di buone pratiche e il buon senso, tutto ciò al fine di favorire una conduzione sostenibile e consapevole del territorio, promuovendo al contempo la valorizzazione e la salvaguardia del patrimonio paesaggistico.
Ma pare invece che riusciamo ad incattivire le periferie di Milano con progetti, degli ultimi anni, contestabili sia per la morfologia e sia per lo scenario, per i colori, per le consistenze (mal distribuite), per la realizzazione di piani parcheggi in soprassuolo (via Vignati/Pastro-Calchi Taeggi/Bisceglie), architetture opinabili e di dubbia raffinatezza estetica, demolizioni senza criterio come la palazzina storica (via Crema).
Per ultimo mi faccio una domanda? Cos’è venuto in mente all’ex–assessore Pierfrancesco Maran di includere Piazzale Loreto nel del programma internazionale “Reinventing Cities” indetto da “C40 – Cities Climate Leadership Group”,
Secondo me con il termine di rigenerazione urbana, ha sfruttato piazzale Loreto come ‘cerniera’ tra C.so Buenos Aires, viale Monza e via Padova, riorganizzando la viabilità per generare spazi pubblici di qualità e speculazione edilizia.
La piazza è luogo di incontri, di democrazia della civitas, ha una propria personalità, una sua riconoscibilità, è la bellezza dell’urbs.


