UCTAT Newsletter n.24 – giugno 2020
di Paolo Aina
Ogni volta che le cose si ritardano, hanno degli intoppi o difficoltà viene incolpata la burocrazia, il governo dei funzionari che si nascondono nella selva di leggi e regolamenti da loro stessi prodotti o da loro incentivati che hanno due scopi: l’uno aumentare il potere della Amministrazione statale, regionale e comunale l’altro sottrarre i funzionari stessi al principio di responsabilità delle scelte.
L’urbanistica e l’attività edilizia sono uno dei campi in cui il “latinorum burocratico” come avrebbe potuto dire Renzo abbonda.
Occorre dire che l’apparato burocratico nonostante sia nato per spersonalizzare le scelte e renderle “oggettive” cioè rispondenti a criteri di neutralità rispetto al portatore dell’istanza, chiunque esso fosse, non si comporta in modo neutrale perché mentre il potere economico è in grado influenzare la scrittura piegando la regola attraverso la dizione stessa della norma che prevede al suo interno una procedura che la cassa, si pensi ad es. alla “Conferenza dei servizi” il comune cittadino invece per interventi di poco conto si trova impaniato e non riesce neppure a modificare l’interno della propria abitazione: pensiamo ad es. alla costruzione di soppalchi.
Come al solito la pletora di regole complicate e contraddittorie è una delle ragioni per cui le opere minori vengono eseguite senza badare ai regolamenti, verranno messe in regola successivamente, raramente demolite, attraverso altre regole: i famosi condoni, le famose sanatorie. L’universo burocratico assume la forma inquietante dell’ouroburos, il serpente o drago che si morde la coda che dalla notte dei tempi sta a significare il potere che si divora e si rigenera.
Le normative che riguardano il settore delle costruzioni hanno una matrice che risiede nel concetto di pianificazione declinato con l’intento di evitare o ridurre al minimo lo sfruttamento di quel bene collettivo, anche se di proprietà privata, che è il territorio.
Vi sono poi anche delle derive di tipo estetico: eredi delle Commissioni di Ornato che tendono ad ossificare e museificare l’esistente nei piccoli interventi e poi i regolamenti riguardanti le questioni di igiene abitativa e della sicurezza degli edifici.
La pianificazione, nella fattispecie la pianificazione urbanistica, che dapprima riguarda solo lo sviluppo della città il PRG, il Piano Regolatore Generale che da progetto del reticolo stradale si amplia sempre più e si trasforma in PGT, Piano di Governo del Territorio, che stabilisce regole spesso incomprensibili per ogni dove che si inserisce nei piani di ordine superiore: i piani regionali e va a contatto con i piani dei comuni limitrofi.
Tutto ciò genera sovrapposizioni, non eliminazioni, vale a dire che una norma analoga a un’altra non la elimina ma convive ma mi pare importante sottolineare che che la visione di un piano generale e onnicomprensivo risalga al secolo scorso dove le contraddizioni che nella città si generavano erano meno numerose di quelle attuali e la nozione di progetto aveva anche delle connotazioni non propriamente democratiche anche se portava in sé un principio di speranza.
Il mondo professionale interessato alla progettazione edilizia è nettamente diviso: da una parte coloro che vorrebbero la mancanza di regole dall’altra i produttori delle regole che spesso hanno lo stesso titolo accademico.
Sono schiavi di due linguaggi autoreferenziali: uno scritto che solo il burocrate sa intendere e interpretare e uno formale che si è ossificato in una modernità anonima che non fa nessun conto delle differenze.
È interessante notare comunque che il rispetto delle norme e delle procedure non garantisce la qualità del costruito.
Ora siamo in una fase complicata, la città non ha più solo abitanti afferenti agli stessi usi e alla stessa cultura, il tessuto edilizio, sempre lo stesso, ospita usi e culture differenti con abitudini di vita diverse che forse vorrebbero abitare in edifici concepiti in un altro modo.
La città può dire di sé come ognuno di noi e come Bob Dylan “I contains multitudes”.
L’identità cittadina che assieme alla lotta contro la speculazione edilizia le regole vorrebbero normare non è più univoca e sarebbe opportuno tenerne conto.
Che fare?
Un primo passo è fare luce nell’oscurità delle norme che ricordano l’Idra di Lerna (cit. D. Zorzi): ”…in attuazione dell’articolo 52, commi 1, lettere a) e f bis) e 3, nonché dell’art. 55, comma 20, della legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26…”, e poi valutando progetto per progetto, caso per caso, dal più grande al più piccolo (fatte salve le norme igieniche e di sicurezza) chiamando il funzionario preposto, la famosa e vaga Sibilla “Responsabile del procedimento”, ad assumersi la responsabilità di una risposta certa trasformando questo apparato da burocratico difensivo in un apparato burocratico collaborativo.
Le varie Commissioni poi, lì dove la cultura formale è massimamente rappresentata, ricordino che il tempo presente ricerca sempre la libertà e odia le catene di cui non capisce l’utilità e il motivo anche se sono proposte da esperti.
Non si tratta qui di demonizzare né la sapienza né la professionalità.
Questo è semplicemente un invito ad aprirsi, in un campo così instabile e indefinito come è quello dell’estetica, alla “tenerezza del mondo”.
