La sostenibilità urbana

UCTAT Newsletter n.58 – luglio 2023

di Marino Ferrari

Ci siamo. Dopo la produzione biologica, le convinzioni ecologiche, i miraggi green e la resilienza, ma subito dopo il chilometro zero e tutto a sostegno dell’ambiente, ecco dunque la sostenibilità. Appartiene di fatto al linguaggio, alla comunicazione, a questa strana, e neanche tanto, scienza (che non è) che ci dice come trasmettere la realtà a coloro che, pur vivendola non la capiscono o non se ne rendono conto sino in fondo: la consapevolezza, insomma. La comunicazione diffusa mantiene l’impronta originale, ovvero quella che propone sotto le vesti differenti, le regole del mercato che, ovviamente, non è di possesso di coloro che lo “praticano”. È’ semplicemente la perdita della relazione tra coloro che lavorano ed il prodotto del loro lavoro. Pertanto, è corretto utilizzare vocaboli come racconto per raccontare e narrazione per narrare. Tutto all’insegna di che cosa, e per quale fine non viene comunicato. Eppure, è così: questa è una realtà astratta fatta di comunicazioni che non comunicano e di informazioni che non in-formano. Qualcuno sia pure ironicamente e simpaticamente direbbe, perché vi sono i poteri forti. Lasciando perdere questi poteri, sembra invece utile e necessario affrontare il problema della sostenibilità urbana perché essa è l’insieme di tutte le contraddizioni enunciate e di tutte le formule di sostenibilità escogitate anche singolarmente. Non è un tema, come si dice, ma un problema come è: oggetto e soggetto. La socialità, l’insieme degli individui, la loro sopravvivenza nelle distinzioni economiche, politiche e sociali, che si confrontano anzi cozzano con gli estremi della sopravvivenza globale dentro la quale, in modo irresponsabile e sovente sciagurato, il Potere (qui sì) si snocciola coinvolgendo la complessità sociale che non è fatta di soli sentimenti e desideri, ma è immediatamente fatta   di materialità.

Dunque, che cosa è la sostenibilità e come possiamo individuarla per poi agirla nell’urbanità? Che cosa possiamo intendere per sostenibilità urbana, visto che in molti ne parlano pur non capendone chiaramente il significato? A ben vedere la resilienza sarebbe un ottimo presupposto per individuare il vero problema della contemporaneità: un termine preso dalla tecnologia dei materiali e addossato alla umanità. Sublime! È la dimostrazione invece della riduzione sociale a materia viva, oggetto di produzione e riproduzione e di manipolazione.

Sostenibilità:Nelle scienze ambientali ed economiche, condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri.

La compromissione si sa, è di fatto nella prassi corrente; tutti gli aspetti sono compromessi di fronte alla ambizione di mantenere sia lo status quo sia il desiderio di perpetuarlo nel futuro. Sarebbe sufficiente stimare la quantità di sprechi energetici per invalidare anche le illusioni.

Alla base della definizione, sostenibilità (quasi un etimo) giace, oramai intrisa di narrazione[1],

  • la condizione dello sviluppo
  • il soddisfacimento dei bisogni
  • la realizzazione dei bisogni attuali per le generazioni future.

Esiste come si sa, un legame stretto tra lo sviluppo ed il soddisfacimento dei bisogni. La città produce, come in una vecchia fabbrica, contraddizioni pure che a loro volta vengono utilizzate all’interno delle prospettive o miraggi, delle soluzioni sostenibili. Ma i bisogni vanno individuati e ad ogni bisogno va attribuito il suo gradiente di sostenibilità. L’insieme dei gradienti potrebbe dare forma alla città sostenibile. Una città sostenibile, va detto subito, non può essere ed avere l’attuale “forma”. Si sa anche, ad esempio, che risolvere il problema del traffico o la introduzione di alberi non è sufficiente, anzi diventa maliziosamente compromettente, perché compromette il “sistema” sia pure illudendolo economicamente. Il problema, e non il tema come si usa “narrare”, è sostanzialmente la de-finizione, la capacità di definire ciò che si vuole raggiungere. Rifacendosi al “concetto” secondo il quale occorre garantire ai giovani il loro futuro pienamente soddisfatto, la prima contraddizione grave risiede proprio qui, in questo senso paterno (o materno) di vedere felici i propri figli. Senza ovviamente prestare attenzione a ciò che dovrebbe servire al loro soddisfacimento se questo viene commisurato all’attuale.

Un parametro realistico è quello energetico dove per energetico si deve intendere il fabbisogno complessivo di Energia[2] necessaria alla sopravvivenza; come produrla e come tenerla viva e sempre disponibile; tanto prendo dalla Natura tanto devo restituirle ( a differenza del fuoco sacro ma di univoca portata). E ciò costituisce il primo limite perché si sa che il consumo di energia non viene soddisfatto da una “rigenerazione”; energivori sotto tutti i profili e in tutti gli ambiti, senza coinvolgere l’Ambiente poiché esso è di fatto espresso, contraddittoriamente, proprio da questo limite. Affrontare il “problema” sotto questo profilo significa individuare e costruire “la forma dell’equilibrio”, forma che attualmente non esiste e che è difficilmente recuperabile in “quel” rapporto atavico con la campagna. La sostenibilità passa dunque attraverso questa “semplice” configurazione; possiamo immaginarci come essa riesca a collocarsi all’interno della città. Vi sono città anche di modeste entità che si propongono come città green; illusione che viaggia a vantaggio dei soli amministratori. Illusione pura: ogni cambiamento sostitutivo dell’attuale comporta un “sacrificio”. Ed è questo che andrebbe commisurato a qualsiasi intervento rigeneratore.

Dunque, produzione di energia per soddisfare tutti i bisogni. Quali?

La città è un “insieme di parti” anche autonomamente funzionanti, ma non costituiscono un “sistema” (sempre per rimanere in ambito tecnologico); se fosse così non verrebbero generate le contraddizioni che vorremmo risolvere. Disporre che in città gli automezzi debbano mantenere un limite stretto di 30km orari, può essere la soluzione per portare gli incidenti ad una riduzione del 70%; ma le auto sono sempre lì, con i loro consumi e con e con le esasperazioni degli assembramenti. Occorrerebbe eliminare o diminuire gli automezzi ma con quale gerarchia? Certamente quella che privilegi il servizio pubblico, ma anche qui, in che forma? E questa è una delle contraddizioni. Le singole parti della città potrebbero essere “sostenibili”, autoproducendo tutte le condizioni energetiche possibili. Ma nel momento in cui si rapportano con “l’esterno”, la sostenibilità vien meno. Venendo meno, se non azzerato, il rapporto con la Natura, vengono meno i presupposti di ogni soluzione anche se si invoca la tecnologia. Certamente la tecnologia può mettere a disposizioni tecniche appropriate, strumentazioni confacenti, ma la tecnologia opera nell’immediato e si porta appresso altre notevoli contradizioni che non può risolvere. È corretto, ad esempio, utilizzare il “termovalorizzatore” per risolvere il problema dei rifiuti? La macchina per produrre energia abbisogna di rifiuti nonostante si dica che non tutti i rifiuti siano da valorizzare con questo meccanismo. Riciclare, “rigenerare”, riutilizzare, sono approcci che de-limitano lo spreco e quindi l’energia necessaria per riprodurre i medesimi bisogni.

La sostenibilità dei cicli produttivi si scontra con quella della distribuzione e dei consumi; sostituendo i consumi con il soddisfacimento dei bisogni, individuando e classificando i bisogni, potremmo ridurre l’impatto energetico: ma chi riesce ad imporre un comportamento siffatto? La pubblicità nelle varie espressioni ha lo scopo di indurre le persone al consumo, ad accettare tutti i prodotti e a consumarli secondo le indicazioni “allegate” al prodotto medesimo. Le forme pubblicitari, come ci insegnano, si rivolgono ai consumatori lasciando anche un margine di interpretazione, superficiale, ambiguo, ma interpretativo della realtà. Tutte le indicazioni convergono nella modellazione comportamentale che si esprime, innanzitutto, con il linguaggio. La proprietà del linguaggio corrisponde alla proprietà dei consumi. Dunque, “dentro” a questo linguaggio in apparenza selettivo, si consolida la gerarchia dei valori espressivi, dei comportamenti; occorre uscire da questa recinzione in apparenza liberatoria, per scardinare la comunicazione e i suoi indirizzi, portandola alla quota della realtà.

Il sistema metropolitano delle contraddizioni, la coincidenza sovente affermata tra i comportamenti individuali e quelli collettivi, inevitabilmente è governata da una forma di potere, amministrativo, democratico ed altro,.[3]ma ci troviamo all’interno della più cospicua contraddizione, quella relativa alla sostenibilità. La sostenibilità, come si è visto, è complessa, è anch’essa un “sistema”, fatto di parti diverse che dovrebbero per definizione funzionare in modo autonomo ma in relazione. Per questo la complessità si estende dalla raccolta dei rifiuti, all’utilizzo dei mezzi di trasporto, allo spreco di energia anche prodotta con criteri sostenibili. Sovente si dimentica che la manutenzione, in particolare quella che implica una forte produzione tecnologica, porta con sé alti livelli di energia sia quella utilizzata nella produzione sia quella per l’utilizzo. Ne consegue che accogliere la definizione, “la tecnologia potrà aiutarci a risolvere i problemi ambientali”, corre il rischio, nella sua definizione e nelle sue applicazioni, di rendere maggiormente complesso il problema. Forse occorre affrontare questa complessità con un metodo scientifico; anche qui accade che l’intervento delle discipline possano rendere maggiormente complessa l’analisi. La sociologia ha una grande vocazione descrittiva, la politica (che non è una scienza ovviamente) guarda al governo come espressione della sua sopravvivenza, pertanto occorre adottare rilevazioni settoriali di tutti gli aspetti e quantificarne la valenza, quindi applicare i parametri di urgenza e di priorità ma mettendo in sequenza la gerarchia dei sistemi. Diminuire la velocità dei mezzi può funzionare se i mezzi vengono ridotti e se quelli ridotti funzionano con energie meno inquinanti; ma “riempire di alberi” la città ha un senso se la loro diposizione permette anche di governare il microclima, le brezze, gli ombreggiamenti, le fioriture. E sin qui avremmo solo un modestissimo approccio alla sostenibilità, perché la piantumazione comporta un ripensamento delle cementificazioni e delle asfaltature, insomma, della impermeabilizzazione del suolo

Un approccio potrebbe essere quello che veda le periferie prima ed i quartieri in contemporanea, come “gestori” della problematica. Riuscire a trasformare le periferie, prima, in luoghi di partecipazione decisionale coinvolgendole sul contenimento energetico, sulla individuazione dei bisogni reali, sul risparmio delle risorse, favorirebbe il ritorno graduale degli investimenti economici con l’obiettivo di renderle effettivamente un sistema autonomo in grado di partecipare a quello urbano più complesso.

Parco della Vettabbia a Milano, aprile 2022.

[1] La narrazione ed il racconto hanno in comune l’appartenenza contemporanea alla interpretazione della realtà lo svicolo dalla comunicazione della realtà, la visione favolistica della medesima

[2] Energia: l’energia cinetica, del movimento si nutre di cibo, per gli esseri umani, di “carburanti” in varie forme per il trasporto. Quella potenziale, secondo la fisica è l’energia che viene immagazzinata. Dunque, cibo che per essere prodotto abbisogna di diverse forme di energia, serbatorio per conservare l’energia da utilizzare.

[3] Pare che non abbia molto significato affrontare per comprendere le tonalità democratiche interne alla metropoli; non ha quasi senso. Il cittadino sembra vivere in una perenne sopravvivenza della quale si occupa reagendo nei modi che meglio a lui si confanno. Lo dimostra che solo alcune mobilitazioni di massa possono indurre il potere ad una riflessione, la quale non conduce in alcun ove. Solo la riappropriazione del proprio “destino” potrebbe immettere quei sani principi di autodeterminazione.

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