UCTAT Newsletter n.62 – DICEMBRE 2023
di Marino Ferrari
Non vi sono dubbi sulla complessità metropolitana, strutturale nelle implicazioni sociali e materiali. Complessità che si articola ormai confondendo la percezione individuale di tutti gli ambiti conoscitivi siano essi materiali che squisitamente intellettuali; l’imbarazzo nella costruzione di un quadro teorico a cui riferirsi è dovuto sostanzialmente nella capacità di ritrarsi dalle regole e visioni sin qui coltivate, per forgiare le nuove. Si individua ad esempio il mercato evocandone le leggi: ma quali sono le leggi, forse scritte oppure tramandate nella cultura orale? Eppure, il mercato come un fantasma, una intelligenza artefatta, appare come governo della complessità metropolitana. Del resto, come ormai è risaputo, la città, indipendentemente dalla sua dimensione, dalla sua organizzazione materiale e formale, si esprime concretamente proprio con il mercato; essa è oggetto e forma del mercato, oggetto e forma dei tanti bisogni, dei quali si parla solennemente ma non si dice. Come mai, ci si domanda, coloro che appartengono al sistema, e lo siamo tutti ovviamente, manipolati nelle apparenti libertà, imperterriti non reagiscono a queste costrizioni? Eppure, le condizioni organizzative del lavoro, sia pure sotto le mentite spoglie della fabbrica, dovrebbero creare le condizioni per un “lavoro liberato”, una sua collocazione puntuale nella città ordinata, pulita, anch’essa liberata dalle manipolazioni speculative, dal disordine sociale che riesce a sopravvivere alle lusinghe formali ed alle apparenze ideologiche. Non ci vorrebbe molto per lasciare che i percorsi della Natura e della sua Complessità invadessero il territorio della metropoli riconducendolo ad una primitiva forma nella quale l’uomo possa lasciarsi manipolare nella bellezza con gli utensili della tecnica. La bellezza della città manipolata dall’uomo è effimera, se ne va all’alba. Lasciando un cielo ambiguo, foriero di ostilità. Ciò nonostante, i suoi epigoni tentano di comprenderla inoltrandosi con una scarna ragione, scarna perché coltivata in loro stessi. Ragione anch’essa forse effimera, nutrita dal continuo modificarsi dei linguaggi come se questi potessero modificare, anziché aggiornare, la realtà. Infatti, la concretezza della ragione si matura nel percorso del discernimento superando, anzi consumando i limiti dell’esperienza; nella città il discernimento lo si coglie separando la compiutezza delle sue parti, analizzandone le ragioni per intervenire a rigenerarle.

