UCTAT Newsletter n.57 – GIUGNO 2023
di Alessandro Ubertazzi
Nell’inserto centrale dedicato a Milano (e, in particolare, nella rubrica “Primo piano, le emergenze di Milano”), non più tardi del 22 maggio scorso, il “Corriere della Sera” ha pubblicato un interessante articolo avente per titolo “La selva di cartelli nelle piazze; oltre 300 pali in Repubblica; crescita continua, dai semafori alla nuova mobilità. I ciclisti: è urgente semplificare” a firma di M. Cas .
È simpatico constatare che, a distanza di un certo numero di anni, l’ipotesi di “depalificare” Milano (che è stata oggetto di un incarico conferitomi dal Comune, Settore Arredo Urbano, il 16 dicembre 2003 e consegnato il 24 giugno 2004) è stata rispolverata da Andrea Scagni, presidente Ciclobby, nell’intervista all’articolista: «serve una semplificazione della segnaletica!».
Non voglio assolutamente cincischiare su una questione come questa che mi stava particolarmente a cuore e che l’attuale Amministrazione Comunale evidentemente ha relegato in un cassetto pur disponendo dello studio piuttosto articolato che avevo condotto.
Se è vero che, ripetita iuvant, il fatto che in qualche modo si riparli della questione, potrebbe infatti essere la volta buona che qualcuno se ne interessi seriamente.
Nel frattempo, mi permetto di affidare alla rivista magistralmente diretta da Fabrizio Schiaffonati alcuni stralci della relazione conclusiva di quel progetto da me caldeggiato e, poi, affrontato nelle sue linee guida.
In tal senso, occorre dapprima ricordare che l’incarico ricevuto concerneva la «…consulenza per la redazione di linee di indirizzo da osservare nella pianificazione e nella programmazione delle attività relative al cosiddetto progetto di depalificazione, consistente nella armonizzazione delle esigenze rappresentate dai tre attori esterni (AEM, ATM, AMSA) con quelle del Settore Strade, Parcheggi e Segnaletica, al fine di salvaguardare la funzionalità e di incrementare l’ordine ed il decoro dei luoghi».
(foto 1, 2 e 3).
Tra le piú significative iniziali fasi della ricerca avevo identificato la necessitá di stilare una tipologia degli spazi urbani in relazione all’installazione di pali di varie funzionalità.
«Sotto il profilo dell’attrezzamento e dell’equipaggiamento, con particolare riferimento a quelle che necessitano di supporti (pali), i vari ambienti urbani possono infatti essere suddivisi nelle seguenti famiglie:
- Aree eminentemente residenziali o terziario-amministrative.
L’articolato reticolo di strade, di vie e di viali sui quali prospettare gli edifici con destinazione prevalentemente residenziale ovvero terziario-amministrativa, costituisce un immenso ambiente continuo accomunato dalla presenza di marciapiedi pedonali e di corsie carrabili finalizzati all’accesso e al parcheggio (ove questo non sia già risolto in appositi silos e, comunque, in presenza di peculiarità ambientali).
Le segnaletiche sono preminentemente finalizzate a regolare l’accesso e la sosta dei veicoli, a ottimizzare gli attraversamenti, fornire indicazioni sui servizi e, quando non risolta in altre forme (come ad esempio nel caso delle sospensioni) a fornire adeguata luce.
- Aree commerciali.
Queste aree che, a Milano, sono disposte sostanzialmente lungo le antiche radiali di penetrazione verso il centro (Buenos Aires, Magenta, Paolo Sarpi, San Gottardo, ecc.) sono quasi sempre ibridate con la funzione residenziale.
Se si escludono le grandi strutture del commercio organizzato poste alla periferia, la città di Milano evidenzia alcuni formidabili “centri commerciali” storici detti anche “naturali”.
In queste aree, le problematiche della segnaletica (soprattutto per la circolazione e per la sosta) sono proporzionali alla pluralità dei soggetti da servire: la quantità e la qualità dei loro supporti (dai semplici dissuasori di sosta ai pali per le segnaletiche, ai grandi pali per l’illuminazione o la sospensione delle linee aeree per l’alimentazione dei mezzi pubblici) è ovviamente ampia ma, di norma, più essenziale che altrove (probabilmente per il più attento controllo sociale o per un maggiore interessamento degli addetti).
- Aree pedonali.
In Europa queste particolari aree sono state ottenute a seguito di provvedimenti amministrativi resisi necessari (agli inizi degli anni Settanta sotto il profilo culturale), per sottrarre qualche brano di città all’invadente pervasività delle automobili; esse rappresentano infatti il tentativo delle amministrazioni illuminate di restituire al cittadino la scala umana dei tempi passati.
Proprio perché di recente acquisizione, questi ambienti urbani sono stati tradizionalmente oggetto di un progetto di risistemazione che, la più parte delle volte, ha comportato un’esplicita riqualificazione delle loro attrezzature e finiture.
Questo è uno dei motivi per i quali la palificazione vi appare meno capricciosa, le attrezzature vi appaiono dotate di regole di supporto e sono più controllate e, comunque, l’arredo è sostanzialmente uniforme; cionondimeno nei casi milanesi analizzati si riscontrano anche situazioni paradossali che possono essere perfezionate.
- Aree verdi.
In questa categoria sono compresi gli spazi non certo vasti ma, in compenso, diffusi, caratterizzati da una significativa quantità di verde sotto forma di alberature o di aiuole. Parchi e giardini certo richiedono una loro specifica segnaletica e specialmente una sapiente “illuminazione”: anche in questo caso una più razionale sistemazione dei luoghi circostanti consentirebbe di ridurre il numero di pali e paletti che, proprio perché esiste il verde, sono disposti spesso a casaccio e senza preoccupazione di lamentele da parte di chicchessia.
- Strade e crocevia.
Salvo rarissime eccezioni, la città di Milano può essere come costruita attorno ad una fitta rete di strade e crocevia.
Perfino quelle che spesso chiamiamo piazze lo sono solo per comodità toponomastica: si pensi a luoghi come “piazza” San Babila o come “piazza “Cadorna ovvero ancora “piazza” Diaz. Lo stesso sagrato del Duomo è forse più uno spiazzo che una “piazza” di quelle per cui il nostro Paese (di cultura mediterranea) è invece costellato: la piazza del Duomo è, di volta in volta, lo spazio esterno della Cattedrale o anche la galleria.
Le strade e i crocevia, che da millenni accolgono i traffici di una città nata sull’ipotesi dell’interscambio commerciale, sono tremendamente esposti all’invadenza più o meno casuale delle informazioni utili a chi si sposta o dell’illuminazione necessaria allo svolgimento di un’attività ventiquattrore su ventiquattro.
Questi luoghi, talvolta poco accoglienti, sono ineluttabilmente cosparsi di oggettistica varia disposta senza progetto. La riflessione vale, a maggior ragione, per la molteplicità di pali e supporti diversi che vi proliferano.
- Nodi di interscambio.
Questi luoghi urbani sono caratterizzati dalla presenza di infrastrutture atte ad accogliere i mezzi di trasporto e, in particolare, le stazioni.
L’interscambio che i cittadini effettuano fra un mezzo (spesso il proprio individuale) e quello pubblico (aereo, treno, pullman, metropolitana, convogli del passante ferroviario, ecc.) entro e fuori dalle rispettive stazioni, implica la presenza di vasti e disadorni piazzali costellati da pali della luce, da supporti per le insegne e pubblicità.
I luoghi dell’interscambio sono quelli nei quali un progetto di sistemazione globale produrrebbe effetti di grande qualità.
- Punti di accesso interno-esterno.
Si tratta di luoghi urbani particolari che (comprese certamente sia le “porte” reali della città murate che quelle della stessa città moderna che sottolineano il passaggio da una “cerchia” all’altra) scandiscono l’avvicinamento al centro storico partendo dalla periferia e, viceversa, indicano le diverse direzioni possibili per chi ne esce.
Sotto il profilo delle attrezzature munite di su supporto a forma di palo, questi ambienti registrano di norma gli stessi problemi dei crocevia normali (con maggiore enfatizzazione delle segnaletiche direzionali e relative al traffico) ma si distinguono da quelle per la necessità di fornire informazioni più discorsive con il cittadino: tipiche attrezzature sono quelle a testo variabile che annunciano le condizioni della viabilità, le mète urbane, l’affollamento dei parcheggi, ecc.
- Le cerchie.
Soprattutto nel caso di una città monocentrica come Milano, un po’ come le mura in relazione alle porte delle diverse cinture (che rappresentano i diversi livelli di espansione dell’abitato nel tempo), le “cerchie” sono spazi urbani poco abitabili in quanto destinati alla viabilità veloce: nelle città moderne ed efficienti, spesso esse sono realizzate in viadotto o interrate o comunque hanno sede riservata esclusivamente al traffico.
La conformazione spaziale particolare e la collocazione periurbana rendono questi luoghi spesso anche scadenti nelle finiture e nell’attrezzamento.
Pali e paletti recenti e varie segnaletiche sono disposti in modo spesso solo apparentemente “utile”.
- Luoghi simbolici e sensibili.
Specialmente le città antiche (come la gran parte di quelle europee) custodiscono importanti testimonianze del loro sviluppo e della loro storia; a mano a mano che le varie parti periferiche venivano incorporate al centro storicizzato, esse venivano e vengono completate da elementi architettonici ovvero da luoghi di elevato interesse antropico, storico, ambientale e monumentale.
La loro posizione concettualmente “centrale” appare come costituente essenziale dell’identità urbana.
(foto 4, 5, 6, 7 e 8).
Per questo motivo i vari luoghi di questa natura dovrebbero essere (se non sottratti definitivamente al traffico) protetti».
Il lavoro che mi era stato commissionato giunse pertanto a identificare le linee di indirizzo per la pianificazione e la programmazione delle attività relative alla depalificazione.
«Tenuto conto dei vari casi identificati e riscontrati criticamente, avevo elencato le diverse opportunità che si presentavano per una corretta depalificazione della città di Milano nei prossimi anni.
- I pali evidentemente non più utili perché hanno esaurito la loro originaria funzione o perché semplicemente dimenticati e abbandonati come reliquato di funzioni altrimenti affrontate e risolte devono essere rimossi.
A questo scopo sarebbe stato particolarmente utile la costituzione di un Ufficio Comunale in grado di procedere direttamente all’eliminazione dei casi di cui si è detto e, comunque, di corrispondere alle eventuali studiate richieste dei cittadini: va da sé che occorrerà sensibilizzare questi ultimi allo scopo, evidenziando, ad esempio, le coordinate del suddetto servizio mediante un’appropriata campagna promozionale.
- Previa verifica delle caratteristiche del contesto e delle opportunità esistenti, le funzioni evidenziate da uno specifico palo (caratterizzato perciò da una singola finalità) devono il più possibile poter essere integrate ad altre strutture di sostegno esistenti in luogo.
- I pali eccessivamente reiterati in un unico contesto omogeneo (come ad esempio quelli per il divieto di sosta) devono poter essere eliminati fornendo istruzioni generali al loro ingresso.
In armonia con le vigenti normative in materia di traffico, questo obiettivo riguarda soprattutto gli ambienti urbani caratteristici (come le zone pedonali, i parchi, le aree storiche) ovvero le zone relativamente uniformi o abbastanza estese da poter essere “circoscritte”.
Le “porte d’accesso” alle suddette zone devono ospitare totem o portali o altre strutture informative (vedi pannelli a messaggio variabile) che segnalino le modalità d’uso dell’area particolare: entro di questa valgono ovviamente le norme inderogabili, ad esempio, del codice della strada e pertanto occorre solo un eventuale semplice richiamo a queste mediante la sola segnaletica orizzontale.
Un simile provvedimento consente di eliminare una grande quantità di informazioni ridondanti e una quantità addirittura maggiore di pali.
- Per una risoluzione espressamente uniforme e tecnologicamente appropriata delle esigenze oggi espresse casualmente dai cittadini e comunque da diversi operatori, occorre concepire un sistema modulare di sostegni ad hoc.
E’ evidente che, soprattutto nel caso della ristrutturazione e della rivisitazione di aree urbane degradate o comunque da rivitilizzare, la semplice manutenzione delle strutture verticali esistenti non può bastare: peraltro, in linea di principio, la semplice ottemperanza ai criteri-guida sottoelencati consente di corrispondere in modo adeguato, almeno a livello di soglia, alle esigenze attuali.
Sarebbe stato assai ragionevole che il Comune di Milano volesse dotarsi (e lo può fare per l’estensione del suo territorio, per la numerosità dei casi che potrebbe affrontare da oggi in seguito e per perseguire correttamente un più ampio programma di rifondazione della propria immagine) di un adeguato sistema di sostegni in grado di affrontare, grazie al progressivo dimensionamento e alla tipologia delle tecnologie adottate, tutti i casi suddetti con un “sistema Milano”: questa operazione (che potrebbe poi essere “estesa e proposta” ad altri comuni) consentirebbe di coltivare l’immagine dei luoghi urbani nelle condizioni ottimali».
Esplorate le situazioni caratteristiche suddette, avevo formulato le seguenti riflessioni conclusive.
«Nel corso del periodo, relativamente breve, che è trascorso dal momento dell’incarico ricevuto per la cosiddetta “depalificazione” della città di Milano abbiamo potuto riscontrare molte situazioni curiose soprattutto nella tipologia dei casi, più o meno aberranti, di uso delle strutture verticali (pali) atte a portare o a sorreggere apparecchiature, dispositivi o segnaletiche di vario genere.
La più divertente, riferitami da taluni operatori, riguarda piuttosto la stessa operazione prefigurata dal termine “depalificazione” quasi questa adombrasse una sorta di campagna antimaschilista che comporta la mutilazione delle componenti falliche del paesaggio urbano e cioè una vera e propria rivitalizzazione della città.
A parte coloro che hanno formulato queste considerazioni psicoanalitiche ma sottilmente ironiche, la gran parte di coloro che hanno commentato l’ipotesi di un riordino del sistema di pali di varia natura, finalità e grandezza si sono dimostrati assolutamente entusiastici.
In verità, una progressiva attività di infrastrutturazione e di equipaggiamento dell’ambiente urbano significa anche la proliferazione delle attrezzature specifiche per il soddisfacimento dei bisogni che si manifestano in modo capillare e diffuso sul territorio urbanizzato e, con ciò, delle strutture atte a sorreggere, come già detto, le apparecchiature con le più diverse funzioni.
Quel che è certo è che, allo stato di allora, la casualità (in assenza di progetti studiati e già dedicati) con la quale sono state fin qui introdotte, ha determinato un forte disordine nella collocazione delle attrezzature che, di volta in volta, sono state introdotte: a questo fattore, assolutamente macroscopico, si sommano una relativa ridondanza funzionale e la presenza di molti reliquari che hanno perduto la loro originaria funzione.
Per molti versi, come ho cercato di dimostrare alla conclusione dell’analisi critica dell’esistente e nella propensione di soluzioni progettuali atte ad affrontare consapevolmente in futuro l’aggiornamento e il potenziamento dell’attrezzamento urbano, la “depalificazione” auspicata comprendeva sostanzialmente tre direttrici operative:
- la soppressione delle strutture non più necessarie o fortemente obsolete;
- la ristrutturazione dei contesti maggiormente palificati mediante il raggruppamento delle funzioni in un numero minore di strutture verticali e il loro riassetto e riordino;
- l’introduzione di un sistema di pali concepito ad hoc, che sia in grado di corrispondere in forma coerente e uniforme, alla moltitudine di funzioni tradizionali o innovative a seguito di veri e propri progetto di arredo.
Come si può facilmente osservare, il macroscopico fenomeno che aveva portato i responsabili del settore alla “depalificazione”, prevedeva sostanzialmente un più consistente utilizzo del progetto, a tutte le scale: questo infatti era il vero antidoto al disordine esistente e, d’altro canto, l’unico modo per conferire al paesaggio urbano una identità attualizzata ma coerente con la sua storia.
Mi riferivo, da un lato, alla necessità specifica del ricordato progetto del sistema di sostegni (pali) appositamente pensati e/o assunti ad hoc che, da un certo momento in poi, avrebbero dovuto consentire al Comune di Milano di governare con risparmio di sforzi un essenziale aspetto del paesaggio artificiale della città e, di conseguenza, di rendere esplicito e cosciente uno dei principali meccanismi che formano il volto riconoscibile della città.
Mi riferivo, di fatto a un “progetto Milano” di attrezzature verticali atte a corrispondere alla più parte delle esigenze di attrezzamento e di equipaggiamento che produce, come virtuoso ritorno, non solo una sensazione di comfort e di ordine ma, addirittura, una percezione di specificità peculiare che, stando così le cose, non si manifesta dai tempi della grandi infrastrutturazioni post-unitarie e del Ventennio.
Mi riferivo, altresì alla necessità di un “progetto Milano” tecnologicamente aggiornato ed esteticamente abbastanza neutro ed altrettanto semplice ed elegante da indurre una sensazione di peculiarità senza la percezione di una “foresta” di supporti quale oggi si riceve.
Ovviamente mi riferivo anche al fatto che, sulla base dei criteri formulati, molti ambienti urbani degradati e altri solo sottoattrezzati possano essere rivisitati mediante veri e propri progetti di arredo urbano nel senso architettonico del termine: come è noto, questo solo tipo di progetto sarebbe in grado di conferire significati e senso all’ambiente urbano.
Non si può dimenticare infine che la simpatica e necessaria “depalificazione” (che, come si è visto, comprende indicazioni progettuali esplicite per la realizzazione della famiglia dei supporti da usarsi nel prossimo futuro) altro non era che un primo e intelligente passo nella direzione di un maggiore controllo sulla qualità globale degli spazi urbanizzati. In verità, come alcuni di noi sostengono da anni, una città come Milano è certamente in grado di concepire autonomamente per sé (ed eventualmente per altri casi analoghi) il proprio “corredo urbano” (e cioè le molteplici attrezzature che occorrono per equipaggiare gli spazi), salvo poi metterne a concorso la realizzazione e la gestione. In questo modo, e cioè accedendo ad espliciti progetti coordinati di design, la città avrebbe aggiornato valorizzandolo, il proprio corredo tradizionale secondo modalità che, un tempo, erano implicite nelle logiche di una sana e corretta amministrazione e oggi devono essere necessariamente esplicitate in un virtuoso rapporto on il design di cui siamo fra i più noti operatori a livello mondiale».
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