La fiaccolata

UCTAT Newsletter n.73 – dicembre 2024

di Daniela Zorzi

Come ogni anno per Natale si andava in montagna nella casa di famiglia. Era la casa delle Vacanze con la V maiuscola: Natale, Pasqua e gli interminabili selvaggi e bellissimi 3 mesi estivi.

Ma torniamo al Natale. Io ero un’adolescente e per me montagna d’inverno voleva dire inesauribili giornate sugli sci. Praticamente con mia sorella Anita e un gruppetto di amici aprivamo le piste e le chiudevamo insieme ai maestri. Eravamo instancabili. A quel tempio Pampeago aveva impianti di risalita limitati, si era in pochi perché era da poco sorto, non come adesso dove diverse valli collegate da super impianti potenziati ti permettono di non fare mai lo stesso percorso pur sciando tutto il giorno su piste da bollino nero per l’affollamento.

Fu così che ci facemmo conoscere come gli irriducibili sfegatati dello sci e fu così che un maestro ci chiese se volevamo fare la fiaccolata di Capodanno perché più si era e meglio era per riuscire a formare un corpo accettabilmente scenografico del serpentone di luce.

Io la fiaccolata? Mi sembrò la cosa più bella, inaspettata e gloriosa che potesse chiudere quell’anno millenovecentosettanta e qualcosa.

E così alle 9 di sera del 31 dicembre ci presentammo alla partenza della seggiovia che ci avrebbe portato all’inizio della pista. La mamma mi aveva obbligato a vestirmi con una giacca a vento vecchia che secondo lei anche se si fosse rovinata con il fuoco della torcia non sarebbe stato un peccato.

Scacciata la visione di me torcia umana, con la fiaccola nella destra e un solo bastoncino nella sinistra cominciai a scendere per la pista per arrivare all’inizio di un canalone (pista nera per chi sa cosa vuol dire) che ci avrebbe reso visibili alle persone venute a vederci.

Sciare di giorno è una cosa diversa, anche se è brutto tempo o Era vento o la nebbia ti impedisce di vedere bene, dallo sciare di notte illuminati dalla fiaccola di chi ci sta, poi non così tanto vicino, davanti.

Fatto sta che l’mozione mi giocò un brutto tiro. Caddi e la torcia si spense.

Il mio orgoglio fu ferito! Io che non cadevo quasi mai avevo appena aumentato la percentuale di quel “quasi” del quale mi vantavo con gli amici. Il capo fila non si accorse subito della mia debacle e già vedevo la fila allontanarsi abbandonandomi al buio e al freddo.

Per fortuna non ero sola con me c’era un amico gentile che con la forza da vero trainer sportivo mi fece rialzare, mi riaccese la fiaccola con la sua e mi spronò a continuare senza timori a raggiungere velocemente la testa della catena luminosa e a credere di nuovo in me e alle mie capacità atletiche che in quel momento avevo perso.

Raggiunsi gli altri, mi rimisi in fila e continuai senza più problemi.

Quando arrivammo in cima al canalone il maestro si fermò e ci raccomandò la dolcezza della discesa e l’equidistanza tra di noi in modo che il filo in movimento legato dalla luce fosse senza strappi.

Mi sentivo molto emozionata con una gran voglia di scappare via ma ormai ero lì tra quelli “bravi” che sciano al buio, con un solo bastoncino e con il fuoco ad altezza degli occhi.

Quest’ultima discesa non durò molto ma a me parve interminabile. Ero felice, sì lo ero veramente.

Tra gli applausi di quelli che erano venuti a vederci ci fermammo e tutta la magia si spense nel momento in cui si spensero anche le fiaccole. Ecco pensai tutto qui? Com’è che quando una cosa l’hai fatta improvvisamente te la lasci dietro le spalle?

Fiaccolata? Fatta

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