UCTAT Newsletter n.26 – settembre 2020
di Luca Bertoli
Milano è sempre stata un esempio di innovazione nelle modalità di innovazione nella mobilità con interventi di diversificazione e integrazione sia a livello nazionale sia a livello globale.
Dai “Brum” al “Gamba de Legn”, alla sperimentazione di auto elettriche della fine dell’800. All’elettrificazione dei tram, il ’29 è una delle icone della nostra città in tutto il mondo, e del trasporto su gomma, la circonvallazione esterna e le reti di Filobus. Alla realizzazione della line Rossa della Metropolitana con l’applicazione di un sistema costruttivo che in tutto il mondo è riconosciuto come il “sistema Milano”.
Lo sviluppo delle mobilità pubblica e la facilitazione degli spostamenti individuali alternativi all’auto sono parte di un processo in corso da anni e che in questo periodo di crisi sanitaria ha mostrato i propri limiti ma anche la propria flessibilità e capacità di adattamento.
Le misure restrittive imposte dall’epidemia Sars-cov2 hanno messo in discussione il modello d’uso della città sia nella fruizione degli spazi pubblici e dei luoghi di lavoro sia nelle modalità e nei limiti dei sistemi di mobilità pubblica e privata. Molto è stato riversato sull’ambito “privato”, dallo spostamento dell’attività lavorativa negli ambiti residenziali, alla necessità di riversare il deficit di portata dei mezzi pubblici sul trasporto individuale con mezzi propri.
L’epidemia ci ha dimostrato che i fenomeni di trasformazione, anche se pianificati e programmati, non avvengono per processi continui nel tempo ma sono quasi sempre caratterizzati da eventi scatenanti che determinano l’accelerazione di processi di innovazione.
La necessità del distanziamento sociale, imposto come misura fondamentale del contrasto alla diffusione del contagio, ha costretto ad intervenire con progetti di carattere provvisorio e temporaneo, anche se a Milano è avvenuto nelle linee di indirizzo già prefigurate dalle prescrizioni contenute nel piano dei trasporti.
Il trasporto pubblico è la componente che ha posto i maggiori problemi, con la riduzione drastica delle portate disponibili ma anche, e soprattutto, per la percezione di insicurezza dell’utenza che ha considerato il treno, la metropolitana e i mezzi di superficie come spazi poco controllati dal punto di vista della sanificazione e della sicurezza personale. Nonostante le società di trasporto abbiano adottato misure di igienizzazione e pulizia straordinarie, l’esperienza ci ha confermato la diffidenza da parte dei passeggeri nel loro utilizzo.
La riduzione della capacità di trasporto dei mezzi pubblici (30-50% Fonte ATM) è stata solo parzialmente compensata dalla riduzione della domanda conseguente al ricorso del lavoro da remoto messo in atto dal mondo delle imprese e dalle istituzioni scolastiche.
Il trasporto individuale in Car Sharing ha subito un tracollo superiore all’80% per l’impossibilità di garantire l’igienizzazione dei veicoli. Prima ancora della rinuncia da parte degli utenti, sono le stesse società di gestione dei servizi a limitare la propria attività e ad attivare offerte che favoriscano noleggi per periodi più estesi rendendo più attrattivo il loro utilizzo. L’offerta di pacchetti per il noleggio dell’intera giornata, della settimana e o dell’intero mese hanno limitato il calo degli utenti ma hanno in parte vanificando la riduzione del carico dei veicoli sulla sosta urbana. Trasferendo la modalità di uso privato alla flotta a noleggio per quella parte di utenza priva di veicoli di proprietà.
Il trasporto a due ruote (Moto e Biciclette) è stato il vero trionfatore dell’emergenza. Sia con l’utilizzo di mezzi propri sia con l’utilizzo dei servizi sharing. Gli utilizzi dei servizi hanno visto un incremento medio del 45% (fonte Bikemi). Si deve però evidenziare che questo è stato reso possibile dalla concomitanza della stagione estiva e dalla relativamente scarsa piovosità. Discorso differente sarà da verificare per l’approssimarsi delle prossime stagioni fredde e piovose.
Indipendentemente dall’evoluzione della crisi sanitaria questa emergenza ha costituito un elemento di discontinuità nell’approccio alle modalità di trasporto, sia per i gestori delle infrastrutture pubbliche sia nell’approccio degli utenti.
Molti degli interventi messi in atto hanno un carattere di urgenza dettato dalla “necessità”.
Tuttavia, Milano è intervenuta in un ambito di progettualità già in atto, muovendosi con un indirizzo già definito. Gli interventi provvisori posti in atto, oltre a prefigurare l’infrastrutturazione definitiva della mobilità dolce come obiettivo della città, costituisce l’opportunità di fornire agli utenti della città la possibilità di testare la modifica paradigmatica dell’approccio alla mobilità.
In termini di gestione delle infrastrutture di trasporto pubblico abbiamo assistito a reazioni molto rapide da parte delle amministrazioni. L’amministrazione Comunale ha adeguato i propri servizi di trasporto pubblico riducendo le portate delle singole corse, nella garanzia del distanziamento fisico degli utenti, mantenendo comunque il numero delle corse. Anche se i mezzi spesso viaggiavano vuoti.
Il numero dei mezzi a due ruote gestiti dalle società di sharing è stato incrementato. L‘emergenza ha consentito di attivare la sperimentazione dell’utilizzo dei monopattini elettrici consentendo un incremento dei mezzi disponibili ma anche dimostrandone i limiti e i rischi. Molti dei quali dovuti alla cultura degli utenti non ancora sufficientemente matura per questo passaggio.
Un grande intervento è stato sicuramente quello della realizzazione dei percorsi ciclabili di penetrazione urbana. Questi interventi consentono di gestire una parte di quella mobilità pendolare, tra periferia e centro, rimasta scoperta dalla riduzione di portata dei mezzi pubblici. Non è obiettivo di questo intervento soffermarsi sulla qualità o validità di tali interventi, quanto piuttosto rimarcare che questi, in termini di tempistiche e risorse, hanno costituito la sola possibilità per sopperire alla ridotta potenzialità delle metropolitane e dei mezzi di superficie. Milano ha costituito l’elemento di traino di questi interventi a livello nazionale e ha contribuito ad ottenere sia le deroghe per la sperimentazione dei monopattini sia la variante al codice della strada per consentire la realizzazione rapida delle ciclabili e l’introduzione delle modifiche che facilitano l’utilizzo delle due ruote (es. la doppia linea di arresto ai semafori) diminuendo il rischio di interferenza con gli autoveicoli.
Altro intervento che è stato accelerato è l’applicazione diffusa delle aree con limitazione alla velocità, le “Zone 30”, in prossimità delle scuole, nei rioni con scarsi luoghi di verde e difficoltà alla mobilità pedonale. Queste aree, anche se non strettamente connesse agli spostamenti della popolazione, rappresentano un elemento fondamentale per la riappropriazione degli spazi aperti, per la realizzazione dei dehors esterni dei locali necessari per il mantenimento della vitalità delle attività commerciali di vicinato.
Di questi interventi possiamo cogliere i meriti ma dobbiamo anche vedere i limiti, le carenze e le disattenzioni nella pianificazione dello spazio pubblico urbano.
In queste realizzazioni si evidenzia e si conferma quello che può essere definita “l’anarchia dell’urbanizzazione del marciapiede” (o meglio la sua non urbanizzazione dello spazio pedonale). Nella pianificazione urbana il marciapiede è vissuto come uno spazio residuale tra l’intervento edificatorio e la regimentazione della mobilità e della sosta veicolare. Non esistono modalità di indirizzo di gestione degli spazi e dell’insediamento dei manufatti che lo occupano. Lo si era già vissuto negli anni ’90 con la diffusione delle infrastrutture di telecomunicazione che hanno resa il sottosuolo di tali aree un groviglio incontrollabile e spesso ingestibile di cavidotti, che fortunatamente non sono visibili agli utenti, se non tramite gli affioramenti stocasticamente distribuiti nelle pavimentazioni. La nuova mobilità ruba gli spazi pedonali dei marciapiedi, come le colonnine telefoniche o le torrette di controllo delle reti. I mezzi della mobilità dolce si impossessano, in modo assolutamente incontrollato, dello spazio pedonale sia come sosta (al pari delle auto dove trovano spazio) ma anche come spostamento, quando la commistione con il traffico veicolare diventa troppo rischiosa si sceglie di cambiare scala e realizzare la commistione con il pedone che diventa l’elemento debole della convivenza.
“L’anarchia del marciapiede” passa dal sottosuolo al soprasuolo ereditando la disattenzione della pianificazione.
L’emergenza pandemica possiamo vederla come opportunità per accelerare i percorsi di evoluzione urbana già in atto e sperimentare nuove soluzioni. Ma dobbiamo anche vederla come l’occasione di verifica dei limiti dei progetti e dei campi di azione e intervento delle diverse strutture amministrative.
La gestione della mobilità e l’accelerazione dettata dalla pandemia ha evidenziato il limite della gestione della città a livello metropolitano. Il confine della municipalità di Milano rimane un discriminante fortissimo e la Città metropolitana ha dimostrato di vivere livelli gerarchici differenziati: Il “Centro” della municipalità di Milano (a sua volta con il “Centro-Centro” rappresentato dall’esclusività dell’area C). Al “Fuori” dei comuni della periferia costretti ad un rapporto di sudditanza a servizio del polo attrattore. Possiamo parlare dei limiti dei diritti sullo spazio pubblico. Che non possono essere attribuiti ai soli residenti ma che devono consentirne un uso equo anche a chi vive la città per lavoro. Vedi la regolamentazione delle strisce gialle, nate come tutela del residente ma che, di fatto, spesso si trasformano in posti auto riservati a mezzi inutilizzati per gran parte del loro tempo e, forse, sarebbe più corretto parlare di occupazione di suolo pubblico più che di un diritto alla sosta. Possiamo infine evidenziare come il vero problema della mobilità stia nella mancanza di una struttura urbana che distribuisca le funzioni in modo da limitare o ridurre la necessità di spostamenti specie a lunga distanza. Il limite lo possiamo vedere anche nella mancanza di pianificazione da parte dei privati e non è un caso che il Pums preveda soli 1% delle risorse al Mobility Management.
Lo “sharing temporale”, nonostante il tentativo del comune di Milano, non ha trovato riscontro nelle disponibilità degli operatori e deve essere considerato una vera opportunità mancata. Mentre la riduzione della necessità di spostamento e della conseguente mobilità è un obiettivo di lungo periodo, lavorare sulla flessibilità degli orari potrebbe fornire risultati in breve termine, riducendo i picchi di carico sui mezzi di trasporto pubblico, consentendo il necessario distanziamento recuperando in parte la redditività e l’efficienza delle infrastrutture esistenti. La pandemia ci ha tristemente resi consapevoli della necessità di appiattire le curve statistiche per efficientare le risorse.
L’ottimismo ci deve far pensare che la situazione attuale debba essere vista come transitoria. Ma questo non vuole dire che possiamo sperare che tutto tornerà come prima, anzi. La nuova normalità sarà diversa dal prima, e sarà diversa da qualsiasi esempio si possa analizzare nel mondo. Unito alla disponibilità delle risorse che saranno disponibili per la realizzazione di nuove infrastrutture un dibattito serio sulla tematica sarà quanto mai necessario.
