UCTAT Newsletter n.64 – FEBBRAIO 2024
di Andrea Tartaglia
La recente pubblicazione dei dati finanziari del 2023 del gruppo COVIVIO, uno dei più grandi gruppi di sviluppo immobiliare che opera nel territorio milanese e che sta tra l’altro gestendo la rigenerazione dello scalo di Porta Romana in vista dei prossimi giochi olimpici, evidenzia una sostanziale tenuta del mercato della città. Anche il settore degli uffici, ad eccezione degli immobili periferici e vetusti, sembra aver ritrovato smalto dopo gli anni della pandemia.
In particolare, come riportato in un articolo del Sole24Ore a firma di Paola Dezza del 19 febbraio, l’amministratone delegato per l’Italia sottolinea che: “I nostri immobili stanno performando molto bene, grazie anche all’attenzione ai fattori ESG, segno della loro qualità”.
Il modello regolatorio denominato ESG (Environmental, Social and Governance) è stato introdotto in Europa a partire dal 2018 con l’idea di integrare i processi decisionali di investimento con elementi di attenzione ai fattori ambientale, sociale e di governance, per favorire una visione ampia, integrata e non settoriale della sostenibilità. Tale modello si affianca ai sempre più diffusi protocolli di certificazione ambientale ed energetica che spesso sono utilizzati come elementi qualificanti dei diversi progetti milanesi. Infatti, i nuovi edifici milanesi spesso dichiarano, anche come strumento di marketing e comunicazione, una classe energetica NZEB (edificio a energia quasi zero) e certificazioni quali LEED Platinum come indicazione della loro qualità. Sempre più spesso poi gli uffici vengono anche certificati WELL per dimostrare una particolare attenzione non solo ai temi energetici ma anche al benessere degli utilizzatori degli spazi. Certificazioni che naturalmente incidono sui costi finali degli immobili e, quindi, sulla fascia di domanda a cui possono essere offerti. È evidente infatti come queste azioni di caratterizzazione dei progetti siano finalizzate a identificare queste iniziative immobiliari come risposta a una domanda di spazi abitativi e di lavoro abbastanza, se non fortemente, elitaria. Questo approccio sta modificando l’immagine della Milano tradizionale spingendo verso soluzioni tipologiche (quali lo sviluppo in altezza) certamente più costose dal punto di vista costruttivo, ma che permettono di ottenere il così detto effetto “wow” e di potersi definire come architetture “iconiche” permettendo all’utente di allontanarsi dal caos e dal rumore del traffico e poter invece far scorrere lo sguardo verso l’infinito.
In verità i protocolli di certificazione, se non affrontati come semplici algoritmi il cui risultato deve semplicemente essere ottimizzato con soluzioni ad hoc al di fuori di una ricerca più ampia e effettiva di qualità, permettono di tenere sotto controllo alcuni esiti importanti della progettazione/realizzazione, spingendo, ad esempio, verso soluzioni che in effetti di volta in volta possono richiedere meno energia e risorse, oppure garantire una più ampia accessibilità agli interventi o un confort particolare per i fruitori.
Ma allora perché si percepisce una insoddisfazione sempre più diffusa verso le più recenti progettualità che si stanno concretizzando a Milano?
I motivi, o comunque gli elementi di critica, possono essere molteplici e non sempre oggettivamente condivisibili, tuttavia è comunque utile analizzarne alcuni.
Certamente vi è una omologazione di immagine e di soluzioni che non sempre sembrano coerenti con l’immagine stratificata della città. La tradizione milanese si è sempre caratterizzata per una qualità elevatissima ma discreta (come la borghesia milanese), in cui più che apparire era importante essere.
Lo sviluppo in altezza porta ad una minore attenzione al rapporto tra edificio e spazio pubblico con ricadute anche rispetto alla sua qualità e controllo diretto e indiretto, con un affievolimento della relazione identitaria tra abitante e quartiere ricercata invece dalla città a 15 minuti.
L’offerta si concentra su una parte molto piccola della domanda reale (e talvolta tale domanda è quasi esclusivamente di carattere finanziario e non riferita all’economia reale). Milano in passato era una città aperta, nel senso che in modo più o meno rapido e certamente con attriti e incongruenze cercava di rispondere alle diverse domande che la società esprimeva senza farsi guidare esclusivamente dalle logiche del mercato o anzi demandando al mercato stesso la risoluzione dei problemi che esso crea.
I costi legati alla trasformazione/rigenerazione della città sono oggettivamente molto elevati (rendita fondiaria, oneri e tasse, diritti volumetrici, costo di costruzione derivante dalle performance richieste e dall’aumento delle materie prime, etc.) rendendo poco efficaci le spinte normative o di indirizzo comunali per aumentare le opportunità abitative per il ceto medio a cui spesso è anche preclusa ogni possibilità di accedere agli interventi di edilizia convenzionata.
Lo strumento di pianificazione comunale ha aperto a troppi livelli interpretativi, di deroga e di deregolamentazione che verranno risolti con la prossima variante di PGT (Deliberazione della Giunta Comunale n. 496 del 13.04.2023). Tuttavia oggi come oggi il vero problema è forse la non chiarezza del limite, che invece deve esistere, tra norma tecnica pensata, usata e interpretata da tecnici e la possibilità di una sua lettura attraverso la lente delle discipline giuridiche che utilizzano un vocabolario e un modello formale interpretativo totalmente diverso.
La ridotta capacità di spesa dell’amministrazione comunale porta da un lato a una privatizzazione dello spazio pubblico con soluzioni che non sempre ne permettono una reale e aperta fruizione a tutte le fasce della popolazione (Biblioteca degli alberi, piazzale Loreto) e dall’altro a soluzioni fortemente temporanee (urbanistica tattica) e che non considerano il tema della mobilità nella sua globalità causando veloci processi di degrado e di effetti paradossalmente peggiorativi del traffico e dell’inquinamento (Porta Genova).
La qualità certificata con protocolli è una qualità fortemente specialistica e settoriale che non significa garantire una qualità ampia e trasversale di carattere abitativo e lavorativo.
Come si spiega allora la soddisfazione da parte dei grandi operatori immobiliari da un lato e dall’altro un aumento dell’insoddisfazione percepita o comunque di una critica sempre meno sommersa del così detto “Modello Milano”?
Sicuramente un motivo è legato alle diverse lenti usate per leggere il “successo” di una città. In questo senso forse è necessario che anche chi amministra non valuti la correttezza del proprio agire con le logiche degli operatori finanziari (attrattività nel confronto di investitori esteri, etc.) ma ricerchi una sua nuova centralità nel governo delle trasformazioni anche assumendosi il compito di disegnare la città con una visione di lungo periodo in cui ritrovare anche un migliore allineamento tra i tempi dell’azione pubblica e i tempi dell’investimento privato.

