La questione dell’abitare per le donne vittime di violenza di genere

UCTAT Newsletter n.75 – febbraio 2025

di Andrea Giachetta

Tra le questioni più urgenti, rispetto alle nuove esigenze abitative contemporanee delle fasce più deboli della popolazione, una particolarmente difficile da affrontare (e quindi ancora poco affrontata) è quella che riguarda le donne vittime di violenza di genere, quasi l’85% delle quali la subisce nel contesto di una relazione affettiva o addirittura familiare (https://www.direcontrolaviolenza.it/wp-content/uploads/2024/06/REPORT-Dati-D.i.Re-2024.pdf) e quindi spessissimo nel proprio spazio abitativo.

Il problema evidente di dover trovare quindi nuovi alloggi sicuri per queste donne (peraltro, per certi versi, paradossale e dovuto all’attuale impossibilità di eliminare nelle abitazioni delle vittime, costrette a questa ulteriore vessazione, il rischio del perpetrarsi delle violenze) viene infatti ad oggi affrontato con crescenti sforzi, ma risultati ancora modesti, praticamente solo nella fase della prima urgenza, attraverso le cosiddette case-rifugio (https://www.statoregioni.it/it/conferenza-unificata/sedute-2022/seduta-del-14092022/atti/repertorio-atto-n-146cu/).

La temporaneità (normativamente fino a 180 giorni) di questo tipo di soluzioni, comunque molto importanti e da promuovere maggiormente, non permette però che un primo utile approccio al problema, spesso non sufficiente a supportare la reale possibilità di ricostruzione della propria vita a donne che ne hanno subito e sopportato la distruzione sul piano fisico, cognitivo, sentimentale, affettivo, relazionale (genitoriale se con figli) e, nella maggior parte dei casi, anche economico, per la forzosa dipendenza cui sono state ridotte e che sovente le ha private della propria autonomia finanziaria, allontanandole dal lavoro o impedendo loro del tutto che ne svolgessero uno.

A tutto questo si aggiunge il fatto che la sostituzione del proprio spazio abitativo con uno temporaneo di breve durata, se, da un lato, significa allontanamento dal luogo del pericolo e dei traumi subiti, dall’altro implica spessissimo però anche ulteriori perdite molto significative della rete di vicinato, ma soprattutto della dimensione mnestica (in relazione alla memoria del proprio vissuto), identitaria e simbolica legata allo spazio di vita che si è dovuto abbandonare e nel quale si può aver trascorso anche un periodo lungo e significativo.

Di fronte a questo davvero intricato sovrapporsi di problemi legati all’abitare delle donne già vittime di violenza, anche solo considerando alcuni degli aspetti sopra richiamati, le possibili proposte per cercare soluzioni efficaci per il periodo di post emergenza e di ricostruzione del proprio sé, della propria rete di relazioni e della propria autonomia anche economica, possono essere diverse.

Un tentativo di proporre risposte efficaci in tal senso è quello che stanno cercando di mettere a punto, tramite l’elaborazione di un modello da diffondere, i partner di un progetto Interreg, del Programma Italia-Francia Marittimo (I avviso 2021-27), che si chiama Femmes Libres (https://interreg-marittimo.eu/it/web/femmes-libres/progetto).

Questo progetto, avviato nel marzo del 2024 e di due anni e mezzo di durata, intende favorire l’accesso all’impiego e alla creazione di attività economicamente sostenibili per donne vittime di violenza di genere, attraverso lo sviluppo e la sperimentazione pilota (in almeno quattro casi concreti) di un piano di azione casa-lavoro che integra componenti infrastrutturali – a partire dal cohousing – con servizi specialistici per facilitare la ricerca del lavoro e, di conseguenza, il raggiungimento dell’indipendenza economica. In Femmes Libres questo binomio casa-lavoro è imprescindibile perché, solo garantendo alle donne vittime di violenza domestica condizioni abitative adeguate (soprattutto post-emergenziali), sicure ed economicamente sostenibili, che permettano di ricostituire una rete di rapporti sociali, gestire/co-gestire cure parentali, sarà poi possibile affrontare con loro un percorso di inclusione lavorativa.

Il partenariato di questo progetto è stato costituito, a tal fine, con differenti competenze, da quelle più propriamente legate all’abitare (Dipartimento Architettura e Design dell’Università di Genova), a quelle legate alla presa in carico e assistenza delle donne vittime di violenza (partecipano a questo progetto la Cooperativa Mignanego che coordina un Centro Anti-Violenza e amministrazioni intercomunali e comunali francesi e italiane – Département du Var, Communauté d’Agglomeration di Bastia, Comune di Porto Torres – che gestiscono i servizi sociali), fino a quelle di agenzie di lavoro ed enti di formazione professionale soprattutto per fasce sociali deboli e a rischio (Isforcoop e COSPES).

Il lavoro svolto dal partenariato in questo primo anno ha permesso di mettere a punto un primo modello casa-lavoro per donne vittime di violenza che sarà ora testato in quattro casi concreti di cohousing / coworking, con contemporanei interventi mirati di riqualificazione architettonica, accompagnamento psicologico per le utenti, per le loro figlie e i loro figli, assistenza nella formazione al lavoro.

Nel primo anno di progetto, tuttavia, un intervento concreto è stato già avviato grazie alla realizzazione (in parte proprio con i fondi di progetto) della Casa delle Donne di Genova (https://www.cooperativasocialemignanego.it/inaugurazione-della-casa-delle-donne-di-genova-brigata-alice/) che costituisce un primo centro di aggregazione già operativo dove si portano avanti, tra le diverse iniziative rivolte a chi si riconosce nel genere femminile, anche concrete esperienze di prevenzione e confronto sulla violenza di genere e di discussione sui temi di Femmes Libres.

Per costruire la bozza del modello casa-lavoro è stato effettuato un articolato studio sul piano sociale (con sondaggi e organizzazione di focus group tra gruppi omogenei di donne), sul piano del lavoro (con interviste a più di ottanta enti pubblici e privati coinvolti nella formazione e nell’accompagnamento all’impiego) e sul piano più propriamente dell’housing. In relazione a questo ultimo aspetto, sono state coinvolte e sono stati coinvolti, in una call per la pubblicazione di un libro, ricercatrici e ricercatori del CNR e di diversi atenei, nonché operatrici di CAV e specialiste e specialisti a vario titolo coinvolte o coinvolti su queste tematiche.

Questa call ha permesso di raccogliere saggi di grande interesse che saranno pubblicati nel libro, a cura di Linda Buondonno e Andrea Giachetta, Cohousing e coworking per donne vittime di violenza e soggetti fragili. Ripensare gli spazi abitativi e di lavoro nella ricostruzione del sé che sarà disponibile in open access, da marzo 2025, sul sito dell’editore Genova University Press (https://gup.unige.it/i_libri/accesso_aperto).

Il libro affronta criticamente queste tematiche mostrando – anche sulla base di esperienze documentate – l’importanza di modelli differenti di gestione degli spazi abitativi (con particolare riferimento al cohousing di donne e soggetti fragili) e alcuni dei principi chiave per la loro progettazione, ma anche le resistenze culturali rispetto a questi modelli e i problemi che può comportate la loro gestione e che bisogna conoscere per limitare, per quanto possibile, errori nel momento della loro concreta applicazione. Spesso, infatti, il rischio è che questo tipo di proposte e politiche abitative si risolvano in molti slogan sulla carta (oggi, forse meglio sul web) e pochissimi risultati concreti, peraltro non sempre di successo, con spazi costruiti non ben organizzati, concepiti e realizzati in una logica troppo marcatamente assistenziale, con un’aria ospedaliera di vecchio stampo, non in grado di rappresentare luoghi dove si desideri davvero abitare e costruirsi / ri-costruirsi una vita.

Il progetto Interreg qui brevemente illustrato potrà forse essere, seppure con risorse modeste, uno dei tasselli nel grande e sempre più indispensabile lavoro di costruzione di una cultura dell’abitare e del progettare (in senso architettonico e non solo) che sia maggiormente in grado di tenere realmente conto di bisogni sempre più emergenti, come quello qui tratteggiato, che paiono troppo spesso negletti anche perché legati a soggetti talmente fragili da non riuscire a darvi voce.

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