UCTAT Newsletter n.63 – GENNAIO 2024
di Fabrizio Schiaffonati
Nell’aprile 2023 la Giunta di Milano ha approvato le Linee di indirizzo per la Revisione del PGT, il Piano del Governo del Territorio approvato nel 2019 per il decennio 2020-2030.
L’iniziativa non può non richiamare il crescente disagio sulle condizioni della città. Da qualche tempo infatti il Modello Milano è da più parti messo in discussione, dopo molte trionfalistiche narrazioni del post Expo. Diverse analisi evidenziano la crescita di squilibri economici e sociali: Milano città delle opportunità e dell’accoglienza appare sempre più una “città per ricchi”, con il lusso dei celebrati interventi della downtown a fronte di una periferia abbandonata a una crescente emarginazione e insicurezza delle persone. La finanza internazionale ha trovato condizioni favorevoli per uno sviluppo del settore immobiliare, rispetto a un passato in cui l’Amministrazione pubblica svolgeva un suo ruolo nel mercato dell’abitazione e nella pianificazione di infrastrutture e servizi.
Uno scenario mutato, con una accelerazione dal 2015, dove il PGT ha abdicato alla sua funzione di indirizzo e anche di cogenza della pianificazione attuativa, in virtù di un’ampia delega agli operatori privati. La sostanziale indifferenza delle destinazioni d’uso, la cessione e i trasferimenti volumetrici, in una sorta di grande Monopoli, hanno finito per far perdere ogni traccia di un organico disegno urbanistico di servizi, infrastrutture e spazi pubblici. Un tarlo che ha corroso il PGT 2020-2030.
Se ne è discusso l’11 gennaio al Politecnico di Milano, all’interno del ciclo di seminari “Il buon governo e la bellezza della città”, promosso dal Gruppo di Ricerca ENVI-REG e dalla Associazione Urban Curator TAT, patrocinato dall’Istituto Nazionale di Architettura, in un incontro su “L’urbanistica e il Riformismo milanese”. Le relazioni introduttive e i numerosi interventi hanno evidenziato la parabola della crisi attuale e degli interessi in gioco.
L’avvio della Revisione del PGT ha aperto quindi un confronto, dai toni anche accesi riportati dalla stampa, tra imprese di costruzione, cooperative edilizie e l’Amministrazione comunale nella persona dell’Assessore alla Rigenerazione urbana.
L’Assessore ha richiamato l’importanza delle norme, in particolare per l’altezza degli edifici, in zone con una consolidata morfologia e ha fatto riferimento all’eccessivo costo degli alloggi, anche delle cooperative edilizie, con un esplicito richiamo per una diversa responsabilità degli operatori dopo anni di favorevole crescita. Una secca risposta alla Revisione del PGT da parte delle imprese di costruzione che paventano da questi limiti un freno allo sviluppo. Piccato anche il punto di vista delle cooperative, vistesi associate nell’aumento del costo della casa, richiamando quindi la necessità di reintrodurre l’edilizia convenzionata) per immettere sul mercato alloggi a minor costo rispetto alla edilizia libera.
In questo scambio di opinioni sono però assenti (probabilmente disinteressati a questi spiccioli) coloro che da un decennio governano le più importanti trasformazioni urbane. Gruppi che si contano sulle dita di una mano, società finanziarie internazionali e banche che hanno orientato e condizionato le decisioni, con Milano terreno particolarmente fertile per fondi di investimento e capitali azionari. Una strategia che ha poco a vedere con le panie delle burocrazie richiamate dai costruttori e l’allungamento dei tempi per le autorizzazioni, giocando su ben altri tavoli e diverse tempistiche e disponibilità economiche.
L’annunciata Revisione del PGT sembrerebbe voler correre ai ripari, anche se le Linee di indirizzo approvate dalla Giunta appaiono generiche e non in particolare sintonia con le forze politiche di Palazzo Marino.
Per come è andata svolgendosi la vicenda urbanistica milanese negli ultimi vent’anni, sembra di capire che ormai dal Piano del Governo del Territorio ci si aspetti ben poco, dopo gli esiti della celebrata attenzione degli investitori privati sul grande patrimonio delle aree delle dismissioni industriali dagli anni Ottanta del secolo scorso. Una fiducia nel vitalismo del libero mercato, che avrebbe comunque richiesto una diversa attenzione da parte della Amministrazione comunale nel salvaguardare l’interesse pubblico.
Per questo il Piano del 2019 era già evanescente, con la generica mappatura di piazze da riqualificare, nodi di interscambio e grandi funzioni urbane, in assenza di opere per i quartieri periferici, di una strategia per la mobilità e senza una visione della Città Metropolitana in grado di orientare qualificati processi di decentramento.
D’altra parte era stata gettata al vento la grande occasione della riqualificazione degli Scali ferroviari, più di due milioni di metri quadrati con il diritto di edificazione lasciato a Ferrovie dello Stato: la rinuncia a un demanio comunale di grande peso e ubicazione strategica per una sostanziale riqualificazione e sviluppo della città futura, per un rilancio dell’edilizia residenziale pubblica, per il nuovo fabbisogno di verde e di servizi. Un volano che sarebbe stato fondamentale per una pianificazione e programmazione di lungo orizzonte temporale, con una regia in grado di stimolare e accogliere anche le dinamiche del mercato e degli operatori privati.
Ma altre occasioni perdute, come la riconversione dell’area Expo e gli sviluppi limitrofi, preda di interessi che nulla hanno a che vedere con gli originari obiettivi naturalistici e di riqualificazione ambientale annunciati dalla Manifestazione del 2015. A cui fanno seguito le Olimpiadi invernali 2026, con un programma in cui è difficile trovare elementi positivi per il ridisegno del sud-est della città: la carta propagandistica dei grandi eventi, come richiamo di risorse pubbliche nei fatti a sostegno di iniziative private, come sta già accadendo sullo Scalo Romana e a Santa Giulia, senza mettere mano a una più ampia riqualificazione dell’intorno.
Per non parlare delle vicende dello Stadio di San Siro, della Città della salute a Sesto San Giovanni e della condizione degli ospedali cittadini, senza una organica visione delle altre Grandi funzioni urbane genericamente richiamate nel PGT vigente e rimaste sulla carta.
Ma un PGT che significato ha se non dar risposte a questi interrogativi, con tempi e indicazioni chiare, con iniziative dell’Amministrazione comunale per una concertazione tra istituzioni pubbliche e privati in un equilibrato rapporto? Tanto più a Milano, dove la dimensione politica, economica e sociale della Città Metropolitana sarebbe fondamentale, mentre appare ormai dimenticata. Un ectoplasma.
La Revisione del PGT dovrebbe essere un momento di coinvolgimento della pubblica opinione, di cittadini e portatori di interessi su temi strutturali per la vita di tutti. Per ora nulla di tutto ciò, anche tra gli stessi addetti ai lavori, delle professioni e di chi fa ricerca come nelle Università. Un dibattito che latita, nell’assenza soprattutto degli architetti e degli urbanisti che per competenze disciplinari dovrebbero rappresentare un fondamentale apporto conoscitivo e tecnico alle decisioni politiche. C’è da sperare, quindi, che nei prossimi mesi si possa assistere a una diversa mobilitazione, per uscire dalle generiche lamentele che poco incidono, aprendo ad una partecipazione senza la quale non è pensabile che l’attuale sistema possa evolvere verso forme ed esiti migliori.
La questione del ruolo della pianificazione urbanistica in Italia è annosa. Un tortuoso complicato percorso di leggi, norme, provvedimenti, che ha determinato una difficile governabilità, tra contradditorie interpretazioni giuridiche, conflitti istituzionali, contenziosi; pertanto senza un quadro chiaro dei ruoli, dallo Stato agli Enti territoriali, in uno scenario di diverse leggi urbanistiche regionali, con l’abbandono di una riforma generale dopo molti tentativi non andati in porto, con provvedimenti tampone e transitori diventati poi permanenti. Una Urbanistica dominata dal Diritto amministrativo, se in assenza di un progetto dell’organizzazione spaziale del territorio e della città. Uno “specifico disciplinare” che sembra andato perso, con l’attuale irrilevanza degli urbanisti. O meglio di chi per rinuncia o carenza di competenze tecniche non è in grado di proporre e confrontarsi con la dimensione del progetto funzionale e morfologico di organizzazione dello spazio urbano: contesto di confini, di rapporti volumetrici, di compatibilità, di destinazioni d’uso e dimensioni ergonomiche. Problemi che non possono prescindere da regole sperimentate nella città moderna e la cui ignoranza non può che determinare un pericoloso arretramento. Una criticità sempre più diffusa, quando l’urbanistica si attesta su descrizioni sociopolitiche senza poi tradursi in configurazioni spaziali.
Questo è il contributo che gli urbanisti, con i fondamenti disciplinari degli architetti, dovrebbero fornire alla definizione del Piano. Un contributo certamente non esaustivo rispetto alla complessità sociopolitica, a partire però dalla consapevolezza delle loro fondamentali conoscenze, non surrogabili da altre discipline.
Un percorso non facile né semplice, dopo anni di disarmo, in assenza di dibattito, con carenze formative e di ricerca, che è sempre più urgente cercare di colmare. A partire anche dall’occasione non comune della Revisione del PGT di Milano.

