UCTAT Newsletter n.27 – ottobre 2020
di Gerardo Ghioni
Considerato che ho attivamente collaborato alla redazione della legge regionale sulla rigenerazione urbana, mi permetto di esprimere la mia posizione sulle recenti polemiche, che hanno caratterizzato i presupposti della legge.
La legge è stata inizialmente pensata per risolvere il problema degli immobili dismessi e degradati, da anni una ferita nel cuore dei tessuti urbani. La nostra associazione Metropolis, già dal 2017 ha fatto un’analisi sulle motivazioni per cui tali immobili sono in uno stato di degrado, costituendo per il territorio, una criticità ambientale, estetica e sociale.
I motivi sono i più disparati. Costi troppo alti per la bonifica, norme locali che impediscono l’intervento, dissidi familiari, ereditari, societari, fallimenti, cause legali, svantaggio economico dell’investimento, occupazione dell’area da parte di abusivi, ecc…
Lo scopo pertanto era quello di risolvere contemporaneamente un problema di degrado sociale e nello stesso tempo di favorire la rigenerazione e “l’efficientamento” degli immobili, stimolando il settore edilizio e di conseguenza l’economia locale.
L’aspetto curioso è che la proposta di legge predisposta da Metropolis è stata anche presentata all’assessorato al territorio di Milano nel 2017, il quale nel 2018 ha inserito gli stessi principi, ma non i benefici, all’interno dell’art. 11 delle Norme di attuazione del Piano delle Regole. A nostro parere, per favorire un intervento di rigenerazione, è necessario fornire uno sti- molo o un vantaggio. Ma si vede che per qualcuno non era necessario, tanto il mercato milanese si alimenta da solo e per sempre.
Guarda caso però, i conti non tornano per le periferie e il Covid poi, ha irrimediabilmente interrotto gli investimenti esteri e non solo. Quindi forse la norma era più avanzata dei tempi. A mio parere stimolare anche in eccesso è sempre meglio che non stimolare.
Tornando alla normativa, partendo dalla logica che la rigenerazione degli immobili degradati ed abbandonati è un’operazione a scopo pubblico, in cui tutta la società ne avrebbe un vantaggio, la nostra ipotesi prevedeva una serie di vantaggi per favorire e stimolare questo programma. La diminuzione dei costi, cioè degli oneri, non diminuendo i costi unitari, come è stato sbandierato sui media, ma facendo passare il concetto che la demolizione e ricostruzione anche fuori sagoma e fuori sedime è un intervento di ristrutturazione e come tale deve essere assoggettata ad oneri di ristrutturazione (da sempre scontati del 50%-40%), in contrasto con quanto da sempre applica il Comune di Milano. La semplificazione delle procedure attraverso modalità più veloci e dirette. La deroga rispetto a certi vincoli locali in tema di morfologia, tipologia e di quantità planovolumetriche. L’azzera- mento della monetizzazione degli standard nel caso di cambi d’uso, che le amministrazioni hanno elevato, fino a diventare un importo più che doppio rispetto agli oneri e che è diventato un metodo per fare cassa, senza avere vincoli di bilancio. Infine la possibilità di avere bonus volumetrici fino al 20% e un altro 5% per diminuire l’impronta a terra in favore della superficie permeabile.
Non credo che ci sia da commentare sulle motivazioni dei vantaggi previsti, mi limito a chiarire che l’aumento della capacità edificatoria del 20%, non solo si deve applicare su tutta la Regione Lombardia, dove eccetto Milano, lo sviluppo immobiliare è completamente fermo e sono gli amministratori a dovere stimolare gli imprenditori, per intervenire sul tessuto urbano, ma anche nel tessuto periferico di Milano, nel quale quell’incremento del 20% è l’ago della bilancia, che porta un investitore a ritenere conveniente l’intervento. Non capisco quale scandalo sia un aumento del 20% della capacità edificatoria per Milano che ha un indice di 1-1,5 mq./mq., quando altre città europee (Parigi, Londra, ecc..), a cui Milano fa riferimento, hanno indici di 3-4 mq./mq. e crescono inevitabilmente in altezza. Sinceramente, anche nei casi del centro storico o NAF, non capisco quale sia il problema, visto che è quasi impossibile inserire una maggior volumetria nel centro storico e comunque nei centri storici gli immobili degradati e dismessi sono pochissimi.
Relativamente alla diversa individuazione tipologica degli oneri, ricordo che se nessun operatore interviene per mancanza di convenienza, gli oneri che incassa il Comune sono zero! Peraltro il governo nel recente decreto di semplificazione ha definito gli interventi di demolizione ricostruzione fuori sagoma e fuori sedime, come interventi di ristrutturazione, con l’inevitabile adeguamento degli oneri di riferimento. Quindi la polemica dovrebbe riguardare anche il governo oltreché la Regione? Infine con la legge regionale il Comune può sempre, motivandolo, elevare il valore degli oneri di urbanizzazione. Allora perché questa polemica?
Rispondo inoltre ad alcuni colleghi architetti, che in un recente convegno hanno definito la legge “rigenerazione immobiliare”, ritenendo che fosse solo un favore agli operatori immobiliari.
Va fatta una premessa. Gli operatori immobiliari, semplificando, sono di due tipi. I colossi che di solito sono fondi supportati da banche e hanno l’oligopolio delle grandi operazioni. Questi operatori hanno canali, peso specifico e potere contrattuale tali da rapportarsi alla pari con le amministrazioni comunali. Pertanto non hanno nessun bisogno di norme che favoriscono il loro intervento. Questi operatori promuovono grandi interventi che cambiano un quartiere e sicuramente contribuiscono ad attrarre e stimolare gli altri piccoli interventi.
Sono però i piccoli operatori, che intervenendo su singoli immobili, di fatto favoriscono la vera rigenerazione degli immobili degradati ed abbandonati a macchia di leopardo, presenti sul territorio. E’ a loro che si ispira la norma. Per dare a questi operatori delle certezze, perché è evidente che le norme impossibili da interpretare, una giustizia paralizzata e degli uffici tecnici inefficienti, non sanno dare risposte. E le domande che un operatore immobiliare vorrebbe vedere soddisfatte sono semplici. Quanta superficie è possibile costruire, in che tempi è possibile intervenire e a quali costi. Quindi se l’accusa è fornire risposte certe agli operatori è veritiera. Ma credo che favorire l’economia del settore immobiliare, che è anche il settore degli architetti, sia alla fine favorevole a tutti.
Come ben sappiamo è di questi giorni il tentativo del Comune di Milano di non attuare la norma dell’art. 40 bis, riferito ai soli immobili degradati ed abbandonati, anche per quelli già identificati dal Comune come tali. La motivazione non è plausibile e una legge dovrebbe essere applicata. Invece si è preferito polemizzare senza provare a cogliere gli aspetti positivi della norma. Forse un solo calcolo politico in tempi di elezione? Forse la paura di dare ai piccoli operatori, diritti che possono avere solo i grandi operatori, che trattano da un punto di forza? Sembra proprio che come al solito la legge regionale non verrà applicata. Scommetto che a questo punto la de- libera comunale per l’applicazione dei benefici volumetrici prevederà tali e tanti criteri da non potere essere applicata.
Come è noto la legge regionale sulla rigenerazione urbana è una legge organica e complessa, con ulteriori contenuti importanti, riguardo agli immobili abbandonati in aree agricole, alla rigenerazione di tutto il tessuto urbano edificato e con decine di altre innovazioni, di cui però non siamo stati promotori e per le quali ci vorrebbero decine di pagine di commento. Credo però che molte persone che la criticano non l’abbiano nemmeno letta con attenzione, comportando di conseguenza una difficoltà a comprenderla o un’opinione di parte, estremamente riduttiva.

Complesso di 150.000 mq di superfice lorda in stato di abbandono da circa 20 anni