L’architettura della città pubblica

UCTAT Newsletter n.62 – DICEMBRE 2023

di Matteo Gambaro

Nel mese di agosto di quest’anno ricevetti l’invito di Ettore Borri a partecipare ad una riunione presso la sede della Fondazione Amici della Musica “Vittorio Cocito” di Novara. L’obiettivo dell’incontro era la programmazione e l’organizzazione di una serata dedicata alle figure dei fratelli Giampiero e Silvano Tintori, partendo dalla giovinezza novarese e ripercorrendo le vite e i successi professionali. Mi accolsero nella piccola sala riunioni e sul tavolo era posizionata una locandina “vintage” di uno spettacolo teatrale con scenografie di Silvano Tintori (Silvano interruppe i suoi studi in architettura per 3-4 anni dedicandosi alla scenografia prima di riprendere il percorso e laurearsi al Politecnico di Milano) per i due concerti al Teatro Coccia (15 maggio 1950): L’Italiana in Londra e Osteria Portoghese. Rimasi attratto dalla copia di quell’elaborato artigianale– credo che Ettore lo abbia posizionato appositamente davanti a me – in particolare dai disegni di Silvano per le scenografie che mi hanno fatto subito pensare a paesaggi urbani fantastici, veri nei contenuti ma allungati e deformati negli aspetti figurativi con una evidente riferimento ai caratteri tipici dell’espressionismo. Cifra che ha poi caratterizzato la produzione architettonica di Silvano: a cavallo tra espressionismo e post-modernismo, con una accentuazione per quest’ultimo.

Da questo disegno prese avvio la chiacchierata che portò all’impostazione del convegno “I Tintori tra musica e architettura” e al coinvolgimento di Roberto Tognetti e di Angelica Tintori, oltreché di Ettore Borri. Conoscevo la figura e le opere di Silvano ma aro poco preparato su Giampiero ed Ettore mi incuriosì immediatamente con i suoi racconti e con la passione profusa nel rendermi partecipe di episodi e passaggi storici rilevanti per il mondo musicale e non solo.

Fu subito chiaro che il filo conduttore del convegno non poteva che essere il rapporto appunto tra musica e architettura, non tanto con l’obiettivo di esplorarne i significati e le ragioni di un rapporto profondo biunivoco: – pensate a materiali, forme, spazi, come incidono sulla percezione musicale e come ne determinano la qualità fruitiva, oppure a quanti sono gli aspetti comuni tra le due discipline, entrambe discipline immersive per essere vissute a fondo – quanto piuttosto il rapporto tra le carriere e le specificità delle attività di Giampiero e Silvano: appunto musica e architettura, interpretati in una forma alta, ambiziosa, concretizzata in una ininterrotta ricerca per tutta la vita.

Giampiero è stato un importante musicologo, compositore di opere e di sinfonie, saggista autore di numerosi libri sul teatro dell’opera italiano e sulla storia della Scala e soprattutto storico Direttore, dal 1965 al 1998, del Museo teatrale alla Scala di Milano con cui ha varato programmi innovativi con una visione sempre culturalmente aperta, anche invitando personaggi rilevanti del mondo culturale e politico a livello nazionale e internazionale.

Silvano, come bene sapete, è stato architetto, urbanista e professore di urbanistica al Politecnico di Milano, allievo di Ernesto Nathan Rogers, autore di alcune opere di architettura a Milano e soprattutto di numerosi piani regolatori di città importanti come Chieti, Ancona, Genova, Mantova, Lodi, Vigevano ed altre, e studi sulla città e sull’urbanistica.

La serata è stata stimolante e ha fatto emergere in particolare un passaggio significativo della carriera di Silvano sul quale vorrei soffermarmi.

Si tratta del progetto “Cinque vie” per il quartiere tra via Torino e corso Magenta a Milano, elaborato nel 1959-60 con Francesco Gnecchi Ruscone, Piero Monti e Carlo Santi nell’ambito della XII Triennale di Milano dedicata al tema “La casa e la scuola”.

La zona sud-ovest del centro di Milano è forse l’unica in gran parte conservata e con ancora evidenti i caratteri peculiari della città storica e delle sue stratificazioni. Il progetto prevede la valorizzazione dei manufatti edilizi esistenti e la riorganizzazione del sistema della viabilità, vera struttura portante dell’intervento, in particolare pedonalizzando e facendo riemergere le strade storiche e spostando lungo il perimetro del quartiere il transito veicolare, ad eccezione di un ambizioso passaggio-attraversamento sotterraneo, e di due nuove strade di servizio che si articolano in direzione nord-sud all’interno degli isolati e che consentono di raggiungere gli edifici e le zone dedicate alla sosta. L’idea dei progettisti è di concentrare la sosta delle auto nella zona del garage San Remo e di piazza Sant’Ambrogio.

L’obiettivo è di rivitalizzare la zona puntando sulla conservazione della funzione residenziale – evitando la terziarizzazione diffusa – ed implementando e riprogettando gli spazi pubblici, anche con demolizioni mirate, inserendo funzioni di servizio, ed in coerenza con i temi della Triennale, un vero e proprio sistema scolastico con asili nido, scuola superiore e naturalmente l’università Cattolica.

Paradigmatica dell’intero progetto è la riconfigurazione funzionale dello spazio pubblico in piazza San Sepolcro e la liberazione dal traffico di piazza Borromeo, disegnati magistralmente con prospettive e viste dall’alto da Silvano Tintori e Maurizio Calzavara.

L’attuazione sarebbe stata indubbiamente complessa, anche per la presenza di molte proprietà private coinvolte, e difatti il progetto rimase sostanzialmente sulla carta, fatti salvi alcuni interventi circoscritti realizzati nel tempo tra cui emerge il progetto dell’area Brisa-Gorani di Vittorio Gregotti (1974) per la Fondazione Feltrinelli, non realizzato, e poi quello di Raffaello Cecchi e Vincenza Lima completato nel 2015.

Il progetto “Cinque vie” rappresenta però un processo virtuoso e molto corretto in cui una amministrazione pubblica promuove, attraverso una manifestazione culturale importante (Triennale), un progetto di riqualificazione alla scala urbana che coniuga in un unico momento lo studio della viabilità, del sistema del verde e degli spazi pubblici nonché la riqualificazione e il riuso di manufatti storici esistenti anche con demolizioni e librazione di spazio, esprimendo chiaramente e con coraggio una visione della città del futuro.

Esattamente il contrario di quello che avviene nella contemporaneità, in cui il progetto urbano è completamente assente a favore di interventi edilizi spesso fuori scala ed avulsi dal contesto ambientale. Architetture iconiche costruite per essere dei simboli riconoscibili e non dei tasselli del tessuto urbano, pluristrtificato ma coerente morfologicamente e funzionalmente. La città di Milano è diventata negli ultimi anni terreno fertile per una ininterrotta competizione tra chi realizza l’edificio di volta in volta più alto, più attrattivo, più visibile e riconoscibile, ed estraneo dal contesto, senza la minima attenzione alle connessioni urbane e alla costruzione di spazi pubblici ragionevoli.

Probabilmente è finita una stagione durante la quale il progetto di architettura è stato lo strumento per trasformare artisticamente la realtà, come scriverebbe Gregotti. Non c’è però dubbio che senza una mano pubblica forte che sappia orientare e governare le trasformazioni urbane, dentro una visione culturale chiara e definita, le città saranno sempre più inaccessibili e ostili per i loro abitanti.

Progetto “Cinque vie”, plastico XII Triennale, Milano 1960.
Progetto “Cinque vie”, piazza San Sepolcro, Silvano Tintori, Maurizio Calzavara, Milano1960.
Progetto “Cinque vie”, plastico XII Triennale, Milano 1960.
Silvano Tintori, locandina L’Italiana in Londra e Osteria Portoghese, Teatro Coccia,15 maggio 1950.
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