UCTAT Newsletter n.70 – SETTEMBRE 2024
di Matteo Gambaro
In una bella mattina di inizio primavera di qualche anno fa incontrai, nel suo studio di Locarno, Luigi Snozzi. Con Marta e Francesca raggiungemmo la Svizzera in automobile costeggiando la sponda ovest del lago Maggiore da Castelletto Ticino fino al confine di Brissago, passando da Arona, Stresa, Baveno, Verbania, Ghiffa, Cannero, Cannobbio e tanti altri paesi lacustri magistralmente raccontati da Piero Chiara dalla sua Luino, sulla sponda opposta del lago.
Lo studio di Snozzi, in piazza Franzoni, in pieno centro storico e a poche decine di metri dal lago, è al primo piano di un edificio residenziale molto compatto, tinteggiato in colore arancione mattone, a cui si accede da una piccola corte ombrosa. Uno studio artigianale, popolato da pochi giovani collaboratori, che trasmette una atmosfera accogliente e famigliare.
Snozzi ci fa accomodare nella biblioteca/sala riunioni e dopo le presentazioni di rito riempie il tavolo di disegni e grandi fotografie delle sue opere, estraendole da numerosi album che continuano a comparire. Rimane in silenzio, quasi a farci capire che l’architettura non ha bisogno di tante parole per essere compresa, soprattutto da altri architetti. Ce lo fa intuire senza parole e poi lo palesa esplicitamente accompagnando il racconto con timidi sorrisi.
Il dialogo è inizialmente difficile, molto asciutto e rigoroso, Snozzi è quasi sospettoso, ci mette alla prova. Poi si scoglie e inizia a raccontare. Una sigaretta dopo l’altra, con l’aria che si fa subito densa e irrespirabile, ci accompagna, attraverso il racconto dell’ideazione delle sue opere, alla comprensione del suo mondo di intendere l’architettura. Lo si ascolta con interesse in attesa del nuovo colpo di scena, o provocazione culturale, che caratterizza ogni progetto di cui parla.
L’argomento principale per cui siamo venuti a Locarno è però Monte Carasso e più in generale il rapporto tra architettura e contesto, tema fondamentale, probabilmente ‘il tema’, che sottende e influenza l’ideazione di ogni progetto.
Quello di Monte Carasso è un ampio progetto realizzato nel corso di oltre un trentennio che ha determinato il ridisegno del piccolo villaggio salvato dalla conurbazione con la vicina Bellinzona. Iniziato nel 1979 partendo dal progetto della scuola elementare, l’obiettivo è stato di costruire il nuovo centro del piccolo villaggio – in cui non erano presenti piazze né edifici rilevanti – definendo una nuova struttura insediativa attorno alla piazza pubblica, ricavata dal cortile dell’ex Monastero delle Agostiniane. Oltre alla scuola si attestano sulla nuova piazza la chiesa, il cimitero ampliato, il municipio, la palestra, la banca e la sala concerti. Attorno a questo grande spazio aperto, attraverso il nuovo Regolamento edilizio, strumento innovativo da cui scaturiscono le scelte progettuali, è stata prevista, riprendendo i principi insediativi del nucleo storico, la densificazione edilizia, triplicando l’indice edificatorio, e la costruzione lungo i margini di proprietà̀ per ricreare la struttura a recinto che definisce in modo netto la separazione tra strada pubblica e proprietà̀ privata.
L’esperienza è stata anche favorita dalla volontà del sindaco e dell’amministrazione di scrivere regole molto semplici e sintetiche, interpretazioni limite approvabili dal Cantone. Monte Carasso, prosegue nel racconto Snozzi, “è il luogo dove l’architetto ha la libertà di fare quello che vuole. Stiamo aspettando una casa kich, sarebbe la benvenuta perché̀ la libertà di linguaggio è totale”.
Il processo di costruzione del regolamento è stato progressivo, la prima fase ha riguardato la riqualificazione del Centro Monumentale (1979-1984) e la seconda l’intero villaggio (dal 1984).
Il Regolamento si basa su quattro semplici principi: la densificazione edilizia attorno al Centro Monumentale; il controllo pubblico dell’impianto morfo-tipologico; la riduzione delle norme e la semplificazione delle procedure di approvazione; la verifica in itinere delle norme con la possibilità̀ di correggerle e aggiornarle. Introducendo quindi un importante e non comune principio di revisione continua. Alla luce di questi presupposti è stato scritto il Regolamento di sette punti, con i seguenti contenuti:
1. Ogni intervento deve tener conto e confrontarsi con la struttura del luogo;
2. Una commissione di 3 esperti della struttura del luogo è nominata per esaminare i progetti;
3. Nessun vincolo viene posto sul linguaggio architettonico. Forme del manufatto, tipologie di copertura e materiali non devono sottostare a nessun obbligo;
4. Per favorire la densificazione sono state eliminate tutte le distanze di rispetto dai confini di vicinato con le strade;
5. L’indice di sfruttamento è stato aumentato rispetto al regolamento precedente da 0,3 a 1;
6. L’altezza massima degli edifici è di 3 piani. Per permettere la realizzazione di un tetto piano si concede un supplemento di altezza di 2 metri;
7. Lungo le strade si devono erigere muri alti 2,5 metri, quota ridotta dal Comune a 1,2 metri.
Quello che all’apparenza potrebbe sembrare una provocazione è in realtà una esperienza concretissima, una eccezione assoluta in Europa, che ha ricevuto due premi: il premio “Wakker 1993” dell’Heimatschutz (Lega per la salvaguardia del patrimonio nazionale) e il premio “Prince of Wales 1993” dell’Harvard University di Boston (USA).
È indubbiamente una esperienza non replicabile in Italia, l’apparato normativo e legislativo non lo consentirebbe, ma forse neanche in Svizzera; è il risultato di una particolare volontà̀ e passione che ha coinvolto oltre al progettista il sindaco, l’amministrazione e la popolazione che ha apprezzato e condiviso le scelte.
Al termine della chiacchierata ci siamo recati a visitare Monte Carasso, non molto distante da Locarno. È stato una sorpresa: la concretizzazione delle idee di Snozzi, i sette punti del Regolamento tradotti in opere e manufatti edilizi visitabili e vivibili direttamente.
Senza proporre ingenui parallelismi con la realtà italiana e la complessità delle nostre città, credo che il Regolamento di Snozzi possa però rappresentare uno stimolo per i progettisti a mantenere sempre centrale il ruolo dell’architettura nel disegno e ridisegno delle città e a non perdere, prendendo in prestito le parole di Maldonado, “la nostra fiducia nella funzione rivoluzionaria della razionalità applicata”.


