UCTAT Newsletter n.64 – FEBBRAIO 2024
di Marino Ferrari
È vero, le città comprimono gli spazi umani, rendono complesse le relazioni sociali, tolgono ogni barlume di felicità. La felicità è risaputo, si manifesta con comportamenti individuali anche egoistici, ma indubbiamente rimane uno degli aspetti maggiormente liberatori, che attribuiscono alle vicissitudini la possibilità di “liberarsi”, appunto, dai molteplici affanni quotidiani. Occorre entrare nel merito degli affanni, sviscerarne le articolazioni sia materiali che spirituali per proporre ed attivare le corrette soluzioni. Lo spazio abitato è connesso ai più grandi spazi di relazione; sono forme che l’uomo si attribuisce come risposta materiale ai bisogni primari e fondamentali, ma sono risposte che dipendono da ben altre condizioni materiali, che hanno attribuzioni anch’esse articolate. L’abitazione, luogo fondamentale dei rapporti umani e fondativo di quelli strettamente economici, acquisisce “forme” non direttamente dipendenti dalle volontà dei singoli ma, purtroppo, dalle volontà gerarchiche dell’economia e dei suoi conseguenti addentellati sociali, politici, sentimentali. Ogni oggetto che appartiene alla abitazione ha una forma che occupa uno spazio e che corrisponde ad una precisa volontà merceologica con la quale si scambia un valore materiale intriso di presupposti culturali ed aleatori. Ogni oggetto occupa uno spazio che prima ancora d’essere di relazione è di rappresentazione. Appropriandosi di una determinata forma riposta nell’abitare diversificandone le percezioni ambientali, corriamo il rischio, viepiù reiterato e compulsivo, di ridurre drasticamente il logico senso di appartenenza alla Natura, secondo i suoi schemi ed i suoi disposti. Il paesaggio urbano a differenza di quello esterno, sia pure residuale di sciagurate manipolazioni, si è disorganizzato nei livelli che lasciano la presenza umana originale per sacrificarla sia alle immaginazioni sia alla certezza del materialismo più bieco. È vera, dunque, l’esigenza intellettuale e fors’anche culturale, di immaginare una città indipendentemente dalle sue estensioni e dalle sue contraddizioni; contraddizioni che comunque non trovano grandi distinzioni nelle diverse metropoli, come le città in grado di creare spazi che abbiano una relazione stretta con il “senso di libertà”, unita ad una modesta ma significativa gerarchia di stimoli creativi in grado di liberare le menti e i comportamenti dalla drastica subalternità ai consumi alienanti. La risposta immediata ed ormai consueta rimanda alle capacità dell’Architettura e dei suoi produttori di risolvere, anche con modalità diverse, le forme degli spazi, al fine di migliorare la vita. Analizzando le attuali forme degli spazi verrebbe immediata la reazione di sconvolgerle, di ribaltarle stabilendo, di conseguenza, regole diverse per un approccio prima culturale e poi materiale. Questa dovrebbe essere di fatto la rigenerazione urbana, rigenerazione non solo materiale degli spazi, dei rapporti con il suolo ed il sottosuolo, con la luce, con gli edifici di valore storico, ma rigenerazione del pensiero, delle attitudini al senso della vita. Il percorso sensitivo e spirituale inevitabilmente ci conduce prospetticamente alla fase più delicata della esistenza, quella in cui, impoveriti di materialità e di affetti, di sensazioni motorie e di percezioni della realtà, ci troviamo segregati in luoghi i quali, anziché rappresentare, per essere, rallentatori del declino umano, sono “strutture” di convenienza economica che, invece, aggravano i processi. È possibile affrontare la progettualità in modo diverso. Tutti gli approcci progettuali ai quali siamo abituati, se venissero capovolti, porterebbero la progettualità ad assumere una prassi diversa, un archetipo diverso. Un esempio in apparenza banale è quello relativo agli adeguamenti delle barriere architettoniche che nelle città come negli edifici pubblici e privati, sono innumerevoli. Se il progetto partisse dalle barriere architettoniche non solo si risolverebbero “costosi” problemi ab origine, ma si attribuirebbero alle opere una valenza formale e sostanziale, anche percettiva dello spazio, completamente diversa. La forma urbana rimane di fatto la rappresentazione delle condizioni economiche e della struttura generativa; l’adattamento umano comporta sacrifici sotto molteplici aspetti, tra i quali la scomparsa della dignità e della individualità. L’architettura unitamente alla urbanistica, discipline ormai relegate all’oblio e nelle loro forme prive di ogni valenza, oserei dire “obliterate”, dovrebbero “rigenerarsi” nelle menti progettuali, adottare criteri di discernimento che partano da “ciò che l’umanità urbana” nei suoi specifici contesti, ha subito, per riproporla nel contrasto con l’entità materiale ed ideologica della città stessa. Alcuni esempi progettuali e relativi a soluzioni attente agli spazi per anziani, propongono non solo l’utilizzo di materiali sensibili alla percezione, ma spazi che si richiamano alla socialità perduta; in quegli esempi si ritrovano forme organizzative che hanno il carattere delle piccole comunità, dei mercati rionali, delle percorrenze limitate alla mobilità individuale e protetta, degli incontri in negozi e uffici pubblici. Ciò immediatamente spinge a ricollocare questo “paradigma” sociale ed urbano nelle periferie. Per sostenere nuovamente che proprio questi luoghi, rigenerati, possano costituire non solo la forma ma la sostanza di luoghi sani che riducano contemporaneamente le ansie e i problemi comportamentali.

