Le Olimpiadi e la città

UCTAT Newsletter n.54 – marzo 2023

di Paolo Debiaggi

I GIOCHI INVERNALI

Sostenibilità e legacy sono i termini chiave per valutare l’impatto dei Giochi olimpici invernali sul territorio che li ospita. Uso il termine territorio perché oramai a partire dagli anni ’60 è consuetudine che i Giochi vengano ospitati in centri urbani di grandi dimensioni in associazione con le comunità montane circostanti. Questa modalità di organizzazione che possiamo definire diffusa, è stata suggerita dalla crescita continua di dimensione, interessi e popolarità dei Giochi invernali fin dalla loro istituzione nel 1924. I primi centri ad ospitare l’evento furono piccole località di montagna come Chamonix nel ’24, St Moritz nel ’28, Lake Placid (New York) nel ’32, fino a Cortina d’Ampezzo nel ’56 e Squaw Valley (California) nel ’60, ma l’aumento sempre crescente del numero di atleti partecipanti (meno di 500 atleti nelle prime edizioni, 3500 quelli attesi nel 2026), gli accompagnatori, i giornalisti, gli spettatori,.., crearono progressivamente necessità non solo di dotarsi dell’impiantistica sportiva richiesta per le competizioni, ma anche una serie di interventi di infrastrutturazione rilevante per agevolare l’accessibilità ai luoghi di gara (spesso assai critiche, in regioni montuose remote, in condizioni metereologiche estreme) oltre che le strutture ricettive necessarie a dare ospitalità a un tale flusso di persone e mezzi. Seppur considerate dai luoghi ospitanti quale straordinario volano per innescare progetti di sviluppo locale e territoriale, in relazione al crescere del business degli sport invernali, con la costruzione di comprensori sciistici sempre più allargati e di sviluppi insediativi ricettivi e residenziali a fini turistici, l’impatto dei Giochi si rivelò fin dagli anni ’60 troppo onerosa per le sole località montane.

Prese dunque piede un modello organizzativo incentrato su un grande centro urbano (da Oslo ’56, Sapporo ’72 passando per Sarajevo ’84, Calgary ’88 fino alle più recenti Torino 2006, Vancouver 2010, Sochi 2014, PyeongChang 2018, Pechino 2022) e il comprensorio montano a questi più vicino. Questo modello intendeva rendere maggiormente sostenibile l’organizzazione dei giochi andando a sfruttare le infrastrutture di accesso territoriale già esistenti nei pressi dei centri urbani così come un sistema di accoglienza e ricettività già esistente e/o promuovere la realizzazione di nuovi impianti, infrastrutture e insediamenti come occasione di sviluppo urbano, riducendo le pressioni trasformative nei paesaggi montani più fragili.

Ciò nonostante anche questo modello di tipo diffuso si è rivelato non privo di criticità, in quanto ogni tentativo di arginare le ambizioni e gli interessi degli organizzatori e la ricerca di sempre nuove opportunità di sviluppo urbano, così come limitare lo sviluppo territoriale teso a ampliare sempre più dimensione e capacità ricettive delle località sciistiche, si sono rivelati vani.

Con l’aumento delle dimensioni delle Olimpiadi invernali, crebbero anche i rischi associati alla loro organizzazione. Iniziarono le considerazioni sui limiti a lungo termine dell’evento come strumento di sviluppo regionale, a cominciare dall’enorme debito accumulato dagli organizzatori dei Giochi di Grenoble ’68  finito di pagare solo nel 1995, oppure in merito al disuso di alcuni impianti sportivi subito dopo i giochi.

Nel 1976, Denver rinunciò all’assegnazione delle Olimpiadi invernali, unica volta nella storia delle Olimpiadi. Il motivo fu la preoccupazione locale per l’aumento dei costi dell’evento e per il modo in cui gli organizzatori e gli investitori stessero ignorando le implicazioni ambientali.

Ma la tendenza al gigantismo non si arrestò. Dopo il 1988, si rese necessaria la realizzazione di due o più Villaggi Olimpici per ospitare gli atleti più vicini alle sedi degli eventi e furono necessari anche villaggi separati per i media. Nel 1994, il rapporto tra personale di supporto e atleti era 6,5 volte superiore a quello del 1956. La sistemazione di atleti, dei media e degli spettatori divenne di per sé una sfida infrastrutturale sostanziale.

Parallelamente, anche gli introiti televisivi crebbero enormemente nel tempo, passando da 90 milioni di dollari nel 1984 a oltre 500 milioni di dollari nel 1998, rendendo i Giochi particolarmente apprezzabili anche al Comitato Olimpico Internazionale che ne introita gli esiti per poi distribuirli alle diverse Federazioni nazionali.

La crescente portata dell’evento ha anche reso necessario una maggiore regolamentazione delle questioni ambientali nella pianificazione e nello sviluppo delle infrastrutture connesse. L’intrusione di infrastrutture costruite in ambienti fragili è diventato un problema rilevante nella preparazione dei Giochi olimpici invernali. I preparativi per i Giochi di Lillehammer del 1994 hanno incorporato formalmente, per la prima volta, alcune iniziative all’insegna dello sviluppo sostenibile. L’ubicazione proposta per una delle arene coperte fu spostata per proteggere una riserva ornitologica, mentre la necessità di riscaldamento della struttura venne alimentato dal recupero del calore in eccesso delle unità di refrigerazione.

Questo approccio influenzò il CIO ad aggiungere il requisito ambientale alla sua Carta nel 1996. Tutti gli sviluppi infrastrutturali e impiantistici di Salt Lake City (2002) furono sottoposti a sistemi di gestione ambientale per minimizzarne gli impatti negativi sull’ambiente. Il 95 per cento di tutti i rifiuti prodotti fu riciclato o compostato per raggiungere l’obiettivo di “rifiuti zero”, venne perseguito l’obiettivo di “emissioni nette zero”, andando a compensare, nello Utah e in Canada, l’impronta di carbonio delle emissioni pericolose di gas a effetto serra, nonché il programma di advocacy dell’evento per la “forestazione urbana” portò a 100.000 alberi piantati nello Utah e 15 milioni di alberi piantati in tutto il mondo. L’agenda per l’ambiente e lo sviluppo sostenibile diverrà, dopo questi Giochi, parte integrante nell’organizzazione dei Giochi olimpici invernali.

Tuttavia, le Olimpiadi invernali del 2002 saranno probabilmente ricordate per lo scandalo di corruzione che ha macchiato l’elezione della città e per l’aumento della minaccia alla sicurezza in seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 a New York. Salt Lake City organizzò i Giochi solo cinque mesi dopo gli attentati, le misure di sicurezza furono rafforzate e poste al centro dell’attenzione. Furono introdotti vincoli severi per lo spazio aereo locale e l’accesso alle zone all’interno della città. Gli organizzatori spesero 200 milioni di dollari per le misure di sicurezza e di incolumità pubblica e impiegarono quasi 10.000 addetti alla sicurezza durante i Giochi, stabilendo un riferimento per l’implementazione di piani e misure di sicurezza per le successive edizioni.

L’assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2006 a Torino ha premiato l’idea di utilizzo dell’evento come parte di una strategia di trasformazione di una città industriale in una moderna città post-industriale. Uno scenario ambizioso, normalmente associato ai Giochi estivi, che fondava la sua strategia spaziale sul Piano regolatore Cagnardi/Gregotti del ’95. L’assegnazione dei Giochi Olimpici invernali a Torino, nel giugno 1999, permise quindi di aumentare la portata e l’importanza della nuova visione della città, di stabilire le priorità e, soprattutto, di attuarle. Il Piano Strategico per Torino venne formulato attraverso un processo altamente partecipato e firmato da tutte le agenzie competenti nel febbraio 2000 delineando le strategie generali e gli obiettivi che sarebbero stati raggiunti dai diversi progetti specifici.

Le Olimpiadi invernali del 2010 si tennero a Vancouver, in Canada, che enfatizzò le sue credenziali nello sviluppo sostenibile. Il centro urbano di Vancouver ospitò le competizioni sul ghiaccio e la vicina stazione invernale di Whistler ha ospitò le gare su neve. Venne realizzato un collegamento di transito rapido tra l’aeroporto e il centro di Vancouver e il potenziata l’autostrada “Sea-to Sky” tra Vancouver e Whistler.

Gli “obiettivi di performance” degli organizzatori si concentrarono sulla responsabilità, in termini di tutela dell’ambiente, l’inclusione e la responsabilità sociale, la partecipazione delle popolazioni locali, i benefici economici delle pratiche sostenibili e lo sport per la sostenibilità. Il governo provinciale istituì una società indipendente senza scopo di lucro, denominata “2010 Legacies Now”, per garantire che ogni regione del British Columbia traesse beneficio dai Giochi, massimizzando le opportunità sociali ed economiche, costruendo capacità comunitarie e ampliando le risorse dei volontari. Ha creato un nuovo modello per garantire lasciti olimpici “soft”, legati alle persone, alle competenze e all’occupabilità, piuttosto che quelli legati all’ambiente costruito.

Nonostante l’apparente preoccupazione di assicurare un’eredità post-olimpica positiva, gli organizzatori di Vancouver dovettero affrontare molte critiche locali. L’inizio del peggioramento della recessione globale nel 2008 minacciò di mettere a repentaglio la sostenibilità finanziaria di molti progetti, tra cui il Villaggio Olimpico per il quale il governo della città dovette sovvenzionare il progetto per garantirne il completamento nei tempi previsti. L’impatto sociale derivante dagli effetti della speculazione fondiaria e l’aumento dei valori immobiliari e degli affitti, diretta conseguenza delle diverse operazioni di sviluppo in essere, suscitarono notevoli preoccupazioni per l’aumento degli sfratti e dei senza fissa dimora in città.

Tra il 2008 e il 2010, gli attivisti contro la povertà organizzarono ogni anno le “olimpiadi della povertà” per attirare l’attenzione (facendo leva sull’ironia) sulla “povertà di livello mondiale” di Vancouver, includendo eventi come “il salto in alto della soglia di povertà”, “gli ostacoli del welfare” e il “salto in lungo sui materassi infestati dalle cimici”.

Proprio la recessione globale del 2008 portò le grandi città europee e nordamericane a valutare molto più attentamente l’opportunità di candidarsi ad ospitare i Giochi, stante tutte le criticità emergenti dalle esperienze più recenti. In particolare, l’evidenza che il ruolo del settore pubblico sia rimasto centrale nell’organizzazione e nel finanziamento dell’evento. La scelta iniziale di voler ospitare i Giochi Olimpici invernali potrebbe essere a volte indotta da interessi e imprese private e sostenuta da attese di cospicue sponsorizzazioni aziendali, ma è infine la spesa del settore pubblico a fare da perno per il successo dell’evento.

I Giochi di Albertville del 1992, originariamente concepiti come mezzo di modernizzazione regionale da parte di imprenditori locali, infine furono finanziati totalmente dal governo. Allo stesso modo, il governo norvegese coprì gli enormi costi e debiti di Lillehammer 1994. L’organizzazione dei Giochi olimpici invernali a Torino nel 2006 fu determinante per la trasformazione della città, ma lasciò in eredità al Comune una situazione debitoria immensa oltre che un sistema di impiantistica sportiva inutilizzata e presto obsoleta. Se nel 2001 il debito del Comune di Torino era di circa 1,7 miliardi di euro, nel 2007 era salito a 2,98 miliardi. Per le Olimpiadi di Vancouver 2010 il bilancio finale segnò spese per 7,6 mld di dollari e introiti per 2,6.

Furono probabilmente queste crescenti preoccupazioni e l’emergere di forme sempre più forti di dissenso locale (ad esempio, Comitato Anti-Olimpico Helsinki 2006; Nolympics!, Torino, 2006; No 2010 Network e Native Anti-2010 Resistance,Vancouver, 2010) verso l’organizzazione di eventi di questa dimensione, in un sistema economico-sociale in progressivo deterioramento, ad aprire la stagione dei Giochi invernali organizzati nelle economie emergenti asiatiche, laddove le potenzialità di sviluppo, di investimento e la volontà di mostrarsi al mondo era forte e difficilmente contrastata da forme di opposizione locale.

L’assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2014 a Sochi, in Russia, rappresenta una nuova fase nella traiettoria dell’evento. La decisione del CIO nel 2007 di assegnare i Giochi olimpici invernali alla Russia sembra essere stata un gesto politico e/o un’opportunità commerciale per estendere l’olimpismo all’ex mondo comunista, sulla falsariga delle Olimpiadi estive del 2008 a Pechino. Per la Russia le Olimpiadi dovevano essere un progetto nazionale e il simbolo di una potenza risorgente. La candidatura proponeva di sviluppare il piccolo villaggio montano di Krasnaya Polyana, nelle montagne del Caucaso, come nuova località di sport invernali di “livello mondiale”, da utilizzare per le sedi delle gare sulla neve insieme alla località balneare di Sochi per le gare sul ghiaccio.  Undici nuovi impianti sportivi olimpici e oltre 19.000 nuove camere d’albergo furono realizzati, ingenti investimenti in linee elettriche e del gas, telecomunicazioni, approvvigionamento idrico e trasporti. Fu costruito un nuovo terminal all’aeroporto di Sochi e un nuovo terminal offshore al porto di Sochi. Fu costruita una ferrovia leggera dall’aeroporto al Parco Olimpico. Il trasporto tra Sochi e Krasnaya Polyana fu potenziato con la ricostruzione della ferrovia a doppio binario e una nuova autostrada. I costi totali associati a questi sviluppi sono stati stimati a oltre 50 miliardi di dollari e sono sembrati essere in contrasto con la volontà del CIO di iniziare a moderare i costi e le dimensioni degli eventi olimpici.

Ospitando i Giochi Olimpici del 2018, la Corea del Sud intendeva sviluppare la contea di PyeongChang come centro degli sport invernali in Asia. Per i Giochi Olimpici furono spesi circa 14 miliardi di dollari, una cifra nettamente inferiore a quella dei Giochi di Sochi del 2014, ma egualmente enorme.

Fu realizzato un nuovo sistema di treni ad alta velocità per i Giochi, che serve l’accesso alla stazione sciistica per coloro che arrivano da Seoul, in meno di due ore, tuttavia l’eredità post-Games si è rivelata piuttosto critica, lo stadio olimpico di PyeongChang, la cui costruzione è costata circa 110 milioni di dollari, è stato smantellato dopo essere stato utilizzato quattro volte in totale (cerimonie di apertura e chiusura dei Giochi Olimpici e Paralimpici) per scongiurare la spesa di un’enorme quantità di denaro pubblico per la sua manutenzione e il mancato utilizzo. Otto degli impianti, tra cui il centro di salto con gli sci Alpensia, la Gangneung Ice Arena e il Gangneung Curling Centre, sono state trasformate con scarsi risultati in strutture sportive polivalenti dopo i Giochi. Il comprensorio sciistico di Jeongseon, che ha richiesto due anni di lavoro, ha distrutto una foresta di 500 anni, è costato 200 milioni di dollari ed è presto diventato un enorme elefante bianco.

L’organizzazione delle Olimpiadi invernali del 2022 divenne più problematica per il CIO. Dopo aver iniziato con un buon campo di potenziali città candidate (Cracovia, Leopoli, Monaco di Baviera, Oslo, St Moritz-Davos, Stoccolma), solo Almaty (Kazakistan) e Pechino (Cina) furono disponibili a ospitare i Giochi.

Come sappiamo, fu poi Pechino selezionata ad ospitare i Giochi che si tennero lo scorso anno in piena emergenza Covid e per questo saranno ricordati come i Giochi senza spettatori. Dislocati tra la capitale che ha riutilizzato per l’occasione gli impianti già realizzati per i Giochi estivi del 2008 (lo stadio olimpico a “nido di uccello” per le cerimonie di apertura e chiusura e il National Acquatic Center trasformato nel Ice Cube per ospitare le gare di hockey) e le località Yanging (75 km da Pechino) e ZhangJiaku (180 km da Pechino) che hanno ospitato le gare su neve (tutta artificiale). Come già accaduto in Europa durante il secolo scorso, queste nuove grandi aree sciabili sono state accompagnate da notevoli operazioni di sviluppo immobiliare e sono state collegate all’area metropolitana realizzando le infrastrutture di trasporto più moderne, compresa la linea ferroviaria ad alta velocità. Costo totale degli investimenti circa 40 mld, ricavi dai Giochi circa 1 mld.

Il dibattito sull’aumento progressivo e continuo delle dimensioni dei Giochi olimpici invernali è una questione di lunga data. I preparativi per i Giochi invernali di Oslo del 1952 comprendevano l’esame di una proposta di riduzione del numero di eventi. Si temeva che l’aumento di ogni edizione dei Giochi invernali avrebbe influito negativamente sul loro carattere e avrebbe reso impossibile a qualsiasi città di assumersene l’organizzazione in maniera sostenibile. Ciononostante, i Giochi invernali sono sopravvissuti e, in termini di portata e di dimensioni, hanno continuato la loro traiettoria ascendente. I rischi dell’organizzazione di un Olimpiadi invernali sono oggi immensamente più grandi, in quanto a problemi di debito finanziario, incertezza sulla loro eredità, sulla sicurezza, sulla reputazione politica che possono potenzialmente coinvolgere anche i padroni di casa più preparati. Il ristretto campo di città finaliste per l’evento del 2022 e successivamente per l’evento del 2026, è la manifestazione più evidente di queste preoccupazioni e nonché il tema centrale, anche in accordo con l’Agenda CIO 2020, per rivedere la prossima fase di traiettoria dell’evento.

CONTENUTI DELLA CANDIDATURA DI MILANO CORTINA

Nel dossier di candidatura di Milano-Cortina 2026 presentato l’11 gennaio del 2019 al Comitato olimpico internazionale vengono indicati 14 siti di gara, suddivisi in diversi cluster tra le Regioni Veneto e Lombardia:

  • Cortina d’Ampezzo (BL) per il bob, skeleton e slittino, sport per i quali è prevista una nuova pista, il curling, da ospitare all’Olympic Stadium (costruito per i Giochi del ’56), e le gare di sci alpino e para-sci alpino previste sulle piste delle Tofane (anche queste ultime già teatro delle gare delle Olimpiadi del ’56).
  • La Val di Fiemme, in Trentino-Alto Adige, con Predazzo che ospiterà il salto con gli sci e la combinata nordica e Tesero in cui sono previste le gare di sci di fondo, parte della combinata nordica, il para-biathlon e il para-cross country. Era previsto anche il coinvolgimento di Baselga di Pinè (dove già esiste un impianto open) in cui avrebbe dovuto essere realizzato un nuovo Oval ovvero un impianto coperto per il pattinaggio di velocità a cui, recentemente, si è rinunciato a causa degli alti costi e, soprattutto, dei ritardi accumulati che non lo avrebbero potuto far considerare realisticamente pronto per l’evento;
  • la Valtellina con il coinvolgimento di Livigno per le gare di Freestyle e snowboard, Bormio per le gare di sci alpino e sci alpinismo;
  • la località di Anterselva (Val Pusteria) per le gare di biathlon.

La città di Milano viene coinvolta prevedendovi lo svolgimento delle gare di hockey, pattinaggio di figura e short track. Gli impianti individuati sono il “PalaItalia Santa Giulia”, l’“Arena Hockey Milano” (l’ex Palasharp) e il Mediolanum Forum ad Assago. Il villaggio principale per alloggiare gli atleti viene previsto nell’ambito di trasformazione dell’ex scalo ferroviario di Porta Romana. La cerimonia di apertura si terrà allo Stadio Meazza il 6 febbraio 2026. La città di Verona, infine, ospiterà all’Arena la cerimonia dichiusura il 22 febbraio 2026 e quella di apertura delle Paraolimpiadi il 6 marzo successivo (con cerimonia di chiusura finale in Piazza Duomo a Milano).

All’inizio del percorso di candidatura sembravano in lizza diverse località. In realtà, con una tendenza già in essere da diverse edizioni, progressivamente le candidature vennero ritirate, prima Barcellona, poi Sapporo, Graz, il Cantone dei Grigioni. Infine Syon, Insbruck e Calgary tutte all’esito di referendum popolari in cui prevalse il no ai Giochi. Rimasero in lizza Milano-Cortina e Stoccolma-Aare con quest’ultima che capitolò in virtù della recente debacle organizzativa dimostrata, solo pochi mesi prima, nello svolgimento dei mondiali di sci alpino e di una indisponibilità del Consiglio Comunale della capitale svedese a partecipare al finanziamento dei Giochi.

Per quanto riguarda la candidatura Milano- Cortina il dossier risultò vincente nel mese di giugno 2019 facendo perno sui principali concetti chiave richiesti dal CIO e più volte affermati nei documenti di indirizzo e di revisione della Carta olimpica. In particolare, si puntò forte sul concetto di sostenibilità, nominato quasi 100 volte nel dossier di candidatura, declinato sia in termini di sostenibilità economica, condensata nello slogan “Olimpiadi a costo zero”, che di sostenibilità ambientale.  Nel programma si sottolinea la volontà di “utilizzo dei Giochi per dimostrare l’importanza della protezione degli ecosistemi montani sensibili” e quella di promuovere prioritariamente il trasporto pubblico per l’accesso ai luoghi di gara.

Milano venne posta al centro del programma sottolineandone il ruolo di città cosmopolita, aperta al mondo, forte del grande successo dell’edizione expo 2015, concentrato dell’Italia economica e centro della creatività: moda, design e, oggi, pure campione di sostenibilità. Vi si afferma: “lo sviluppo della città sarà basato su una stretta integrazione tra pianificazione urbana e mobilità, al fine di creare una città altamente accessibile, che garantisca un valido equilibrio tra domanda di mobilità, qualità della vita e sostenibilità ambientale. L’organizzazione dei Giochi invernali del 2026 sfrutterà i numerosi investimenti già pianificati nell’ambito di questo obiettivo per rafforzare la rete dei trasporti pubblici”. Alla nuova linea della metropolitana che collegherà l’aeroporto di Linate al centro città in 15 minuti si affiancheranno il rafforzamento dell’intera rete di trasporto pubblico su rotaia.

Ma il focus del programma di investimento rimane centrato sull’attrazione di capitali e investimenti. Si scrisse infatti che si punta “a una città di opportunità attrattiva e inclusiva tesa a sostenere un ambiente orientato al business per attirare investimenti diretti esteri, offrire nuove e migliori opportunità di lavoro e soluzioni adeguate alle esigenze dei cittadini per l’edilizia residenziale”.

Nel documento si rincorrono termini strategici come città verde, città sostenibile e resiliente, “una città che mira a creare un parco metropolitano a livello cittadino collegando i parchi del Nord e del Sud attraverso le cosiddette Aree di Rigenerazione ambientale e mentale”. E seguiva l’illustrazione dei diversi interventi programmati su Porta Romana, piazzale Loreto, Santa Giulia, il Forum di Assago,.., tutti indirizzati, si sottolinea, a offrire qualità urbana complessiva alla città.

LO STATO DELL’ARTE A TRE ANNI DALL’INAUGURAZIONE

Dall’assegnazione dell’organizzazione nel 2019 ad oggi, sono successe diverse cose particolarmente significative che hanno distolto, comprensibilmente, l’attenzione dell’opinione pubblica, dall’organizzazione dell’evento. La pandemia Covid che ha colpito drammaticamente tutto il pianeta con le sue pesanti ripercussioni sul sistema sanitario e sulle attività economiche, l’emergere come mai prima di evidenze legate al surriscaldamento del pianeta con effetti estremi su clima e siccità anche nei nostri territori, il conflitto in Ucraina che ha riportato la guerra alle porte dell’Europa, solo per citarne le più drammatiche.

In questo quadro di emergenze, nei media le questioni legate all’organizzazione delle Olimpiadi invernali non hanno trovato molto spazio in questi ultimi tre anni. In realtà, poche opere sono state avviate, ma molto già si è fatto per determinare chi e come dovrà governare gli stanziamenti previsti (e non).

La politica locale e nazionale si è data un gran da fare… con le Leggi di Stabilità dello Stato (2019, 2020, 2021) e specifici Decreti Legge (DL marzo 2020, DL maggio 2020, DL maggio 2021, DL agosto 2021) tra Governo Conte e Governo Draghi sono state progressivamente definite le modalità di governance per la preparazione dei Giochi. La cabina di regia è stata suddivisa tra la Fondazione Milano Cortina (con rappresentanti di Coni, Regione Lombardia, Veneto e i Comuni di Milano e Cortina- nel estate 2022 entra a farne parte anche il Governo che provvede a cambiare l’Amministratore Delegato – Andrea Venier al posto di Vincenzo Novari) che assume il compito di comitato organizzatore dei Giochi e la Società Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026 (SiMiCo, formata dai Ministeri dell’Economia e delle Infrastrutture per il 70%, le Regioni Lombardia e Veneto per un 10% ciascuna e le Provincie di Trento e Bolzano con un 5% ciascuno) a cui spetta il compito di  progettare e realizzare le opere collegate all’evento finanziate con i soldi pubblici (per lo più non comprese nel programma iniziale). Questa regia a doppia trazione sembra denunciare la solita rivalità tra Coni e Governo.. amici ok, ma ognuno al suo posto.

Sono apparsi i primi elenchi delle numerose opere richieste dagli Enti locali a corollario dell’evento, classificati con una distinzione mutuata dal modello Expo in opere “essenziali” ovvero necessarie allo svolgimento dell’evento, “connesse” e di “contesto” per un costo complessivo previsto che supera i 10 mld.

Come al solito, l’occasione appare ghiotta agli enti locali per aprire i cassetti e farne emergere progetti di opere mai potuti realizzare e inserirli nel conto spese dell’evento.

Solo nell’estate 2022 si sono precisate le opere cosiddette essenziali che, secondo le stime di allora, avrebbero un costo di circa 2,165 mld, ora già passate a 2,68 (di cui però oramai si teme un aumento di almeno il 30% a causa del caro materiali). Di questi, solo circa un 10% per lo svolgimento delle gare, il resto interventi infrastrutturali per garantire una migliore accessibilità ai luoghi, per lo più opere di potenziamento stradale. Infine, sono stati attivati gli oramai tipici e consolidati percorsi emergenziali di gestione delle opere previste attraverso il loro commissariamento, affinché possano, dato il loro carattere di indifferibilità e urgenza, procedere speditamente in deroga ad eventuali norme ordinarie di settore che ne possano ostacolare l’iter attuativo (a cominciare da una VAS complessiva).

A Milano, subito dopo l’assegnazione dei Giochi, si sono formalizzati gli accordi con i privati sviluppatori non senza polemiche, accuse e ricorsi ai tribunali amministrativi rispetto alle modalità seguite. La trasformazione del ex Palasharp, la tensostruttura realizzata negli anni ‘80 dalla famiglia Togni dopo il crollo della copertura del palazzetto di San Siro, nell’arena hockey Milano è stata assegnata dal Comune di Milano che nel frattempo ne ha acquisito la proprietà, attraverso il project financing (con un contributo pubblico di 13 milioni) al proponente Ticket One (con relativo ricorso del competitor ForumNet gestore del Forum Assago) in cambio della possibilità d’uso, successiva ai Giochi, per una durata di 30 anni come luogo per eventi e spettacoli.

Per quanto riguarda il PalaItalia a Santa Giulia, l’opera è stata stralciata dal Masterplan del secondo lotto di sviluppo del quartiere, da anni rallentato in complessità procedurali e finanziarie (oggi le due Banche stanno litigando sul procedere o meno nell’avventura) e ceduta da Risanamento spa ad altro soggetto privato attuatore (incidentalmente lo stesso gruppo, la tedesca CTS Eventim da cui Ticket One è controllata, che svilupperà il recupero del l’ex Palasharp). Ne curerà la progettazione (affidata al progetto di David Chipperfield) e realizzazione per poi utilizzarlo come altro contenitore di eventi. Entrambi questi interventi all’oggi non risultano ancora avviati e ancora bloccati da vicissitudini giudiziarie. L’unico intervento in realtà ad oggi cantierizzato, in virtù dell’esser stato decretato dal Consiglio comunale quale intervento di interesse pubblico che ne ha reso possibile un Permesso a Costruire anticipato, è quello relativo ai lavori di costruzione del Villaggio a Porta Romana, ad opera del Fondo Porta Romana spa assegnatario dello sviluppo dell’intera trasformazione dello scalo (costituito da Prada, Covivio e Coima). Anche in questo caso, come avvenne per il villaggio giornalisti di Expo 2015 a Cascina Merlata, dopo il mese di utilizzo per l’evento olimpico, gli edifici saranno riconvertiti dall’operatore privato ad altra funzione residenziale, nel particolare, uno studentato per 1700 stanze.

In un recentemente incontro, organizzato dalla Fondazione Carlo Perini [1], il referente della Fondazione Milano-Cortina a “legacy e sustainability” dei Giochi, ha specificato la strategia del Comune di Milano e lo stato dell’arte nella preparazione di Milano alle Olimpiadi invernali.

Il relatore ha voluto premettere che “Ospitare i giochi ha senso se lasciano un’eredità ai territori e nel caso di Milano, alla città. Dal 2015 in poi con la riforma del CIO chiamata Agenda 2020 sono cambiati i parametri, non è più il territorio che si adatta ai giochi ma i giochi che si adattano ai territori. (…) avendo ben presente i lasciti negativi delle passate esperienze, le cattedrali nel deserto,.., la scelta è stata fina dall’inizio utilizzare impianti già esistenti (…) 93% di strutture già esistenti di tipo permanente a cui si affiancheranno le strutture temporanee” per poi precisare che “se parliamo di eredità parliamo soprattutto di legacy immateriale forse quella più importante, la legacy culturale che i giochi lasciano, fatta di valori, di passione, di inclusione sociale ad opera dello sport e attenzione all’accessibilità universale. (…) Education program nelle scuole e varie forme di engagement come avete visto al Festival di Sanremo dove è stato votato il logo e la mascotte dei Giochi. (…) percorso che abbraccerà non solo i territori ma tutto il paese, promuovendo valori come la pace di cui le Olimpiadi sono il simbolo. (…) “

In merito alle opere previste in Città: “Partiamo da quello che già c’è e già esiste.. dal mostro del Media Center che ospiterà 4.000 giornalisti della carta stampata e 8.000 delle televisioni e sarà al MiCo il Centro Congressi della vecchia Fiera, in origine da ospitare a Rho, ma spostati in posizione più centrale per ottimizzare i costi e gli spostamenti. Consideriamo che l’esposizione della città e dei territorisarà immensa e uno dei motivi essenziali della candidatura.. si calcola che i giochi saranno visti da 3 mld di persone (…).

Cerimonia di apertura allo stadio di San Siro il 6 febbraio.. (quindi fino ad allora sarà salvo).

Il Palasharp di cui sono orgoglioso in quanto una delle legacy principali dei giochi, dove saranno ospitate le gare di hockey femminile e il parahockey, per il cui recupero è previsto un project financing in modo che dopo l’abbandono del 2012 venga restituito alla cittadinanza come arena polifunzionale.

Il villaggio olimpico e paraolimpico che sorgerà a Porta Romana di cui tutti siete a conoscenza, in quanto inserito nel grande progetto di rigenerazione urbana degli scali ferroviari, scelto dal Sindaco Sala come luogo ideale per il Villaggio, anche questo legacy acceleratoria dei Giochi invernali così come il PalaItalia a Santa Giulia, anch’esso un palazzetto polifunzionale che già era in essere, in quanto già identificato nei piani a lungo termine della città, che vedrà la luce, si spera, entro il 2025 e ospiterà l’hockey maschile.

Questo il cambio di paradigma.. i Giochi non hanno chiesto nuove opere, come un nuovo Palazzetto o un villaggio olimpico, ma si sono adattati alla città. C’era già la previsione di un palazzetto a Santa Giulia e i Giochi ne hanno accelerato la costruzione, così come il Palasharp, così come il Villaggio Olimpico.. opere che sarebbero comunque venute alla luce.. i giochi ne hanno accelerato la realizzazione.”

E infine ci ha svelato il significato della parola magica: ”Legacy acceleratoria vale a dire che si accende un focus olimpico che si traduce in un focus amministrativo per far sì che le opere vengano realizzate per tempo. In questo caso volenti o nolenti le opere dovranno essere pronte per ospitare le gare nel 2026. Infine, il Forum di Assago dove verranno ospitate le gare di short tracking e pattinaggio artistico.”

Non ha poi voluto commentare l’ipotesi di poter ospitare a Milano anche le gare di pattinaggio di velocità a seguito della rinuncia di Baselga a costruire un nuovo Impianto Oval coperto. Infatti, nelle ultime settimane si sta dibattendo se prevedere le gare all’Oval di Torino oppure cercare di ospitarle a Milano. Si sono fatte delle ipotesi fantasiose… tipo ospitarle all’arena, per poi virare su realizzare una pista temporanea in uno dei padiglioni della Fiera di Rho… alla fine del mese di marzo la Fondazione, dopo consulti con Governo e CIO, dovrà svelare la scelta (speriamo prevalga il buon senso alla logica politico/campanilistica e venga scelta la soluzione meno costosa).

CONCLUSIONI

Nelle ultime settimane, si assiste a un cambio di passo rispetto alle decisioni operative da prendere a fronte di una non più rinviabile necessità di procedere spediti (non solo l’Oval, ma la pista da bob a Cortina, la tangenziale di Bormio,..) e le voci di dissenso si moltiplicano rispetto ad una modalità di programmazione di opere imposta dall’alto, senza la minima partecipazione della popolazione locale e tantomeno preoccupata della loro implicazioni ambientali. Non solo ciò è stato ampliamente documentato dall’uscita di un Libro Bianco sulle Olimpiadi Milano-Cortina 2026 a tre anni dalla sua inaugurazione, con un reportage che rivela le logiche dissennate e le dinamiche poco trasparenti, ma soprattutto per la forte preoccupazione dei movimenti ambientalisti rispetto ad un programma che rischia di travolgere il fragile paesaggio alpino. Presidi, convegni e forme di protesta si susseguono. Ma non solo nei territori, anche a Milano si registra una crescente insofferenza manifestata non solo da sparuti tecnici e osservatori brontoloni, ma anche da opinionisti e cittadini che denunciano un progressivo deterioramento delle condizioni di vita nella città che oramai risulta in profonda antitesi con la narrazione ufficiale.

La mia impressione è che alla base del programma di preparazione dei giochi invernali ci sia una Agenda anacronistica e che non funziona più.  Sono passati tre anni dalla assegnazione delle Olimpiadi, ma sembra essere cambiato il mondo e parrebbe anche che oramai una certa consapevolezza rispetto alla necessità di superare una visione di sviluppo novecentesca (che ci sta drammaticamente presentando il conto), si faccia largo nell’opinione pubblica.

Perseguire con la ulteriore infrastrutturazione massiccia di paesaggi e ambienti fragili come le Alpi, in particolare le Dolomiti patrimonio Unesco, inseguendo ancora lo sviluppo di una accessibilità su gomma a questi luoghi, o la ulteriore realizzazione di impianti per lo sci alpino anche se l’innevamento naturale è sempre più scarso, prevedendo di realizzare bacini artificiali per l’innevamento artificiale, rappresenta un modello di crescita non più ambientalmente sostenibile.

A livello urbano non avendo ancora compreso che la sfida dei nostri tempi è un’altra rispetto a quella di creare sempre e nuove opportunità di investimento, di business e di consumo. Qualcuno davvero pensa che la città sente la necessità di nuovi e grandi contenitori per eventi?

Oggi mi sembra ci sia un problema di fondo rispetto alla costruzione di una visione comune e condivisa di benessere collettivo della città. Se l’obbiettivo dichiarato da parte di chi governa la città continua ad essere il suo posizionamento internazionale, il miglioramento della sua attrattività di capitali e investimenti, senza una analisi e comprensione dei bisogni della parte predominante dei suoi cittadini, beh, il tema mi sembra rilevante. Una riflessione sugli esiti emergenti di una tale politica oramai attuata da diversi anni nella città, dovrebbe porre al centro del dibattito alcune evidenze critiche.. come le conseguenze della bolla immobiliare scatenata negli ultimi anni dalle tante trasformazioni urbane generate dall’abbondante afflusso dei investimenti dei fondi privati internazionali, il rapporto diretto che questo produce in termini di  gentrificazione, l’insorgere di nuove e sempre più massicce forme di povertà e marginalità, il tema della sicurezza che non sembra solo “percepita” come si tende spesso ad affermare per ridimensionarne la portata, gli effetti sulla città della combinazione tra costante aumento di consumo di suolo, superfici edificate e impermeabilizzate con il cambiamento del clima in atto, il formarsi di isole di calore sempre più insostenibili, una qualità dell’aria tra le peggiori al mondo, il progressivo degrado dello spazio pubblico e del patrimonio abitativo pubblico, ..

Tutti temi che oramai sono entrati nell’agenda di molte città europee, americane e asiatiche, ma che non sembrano essere all’attenzione di chi amministra la città e dovrebbe governarne la transizione ecologica. Certo, non si può pretendere che l’occasione olimpica possa risolvere tutte le tematiche emergenti, ma almeno provare a considerarle. Se il quadrante nord-ovest della città è stato stravolto dal post evento Expo 2015, certamente il quadrante sud-est sarà oggetto delle più rilevanti trasformazioni nell’immediato futuro anche direttamente connesse ai giochi invernali. Servirebbe quindi un Piano o un Progetto di quadrante in cui inserire i diversi progetti, non intesi in una logica di vuoti da riempire, ma di relazioni con la città in modo da stabilirne e programmarne i contenuti in rapporto ai benefici collettivi. 

Se ciò non avverrà, come temiamo, anche l’occasione dei Giochi invernali sembrerà procedere acriticamente incanalata nell’alveo della cieca fiducia in un approccio il cui l’obbiettivo ultimo debba favorire l’investitore privato (quello potente, non quello piccolo per il quale non è prevista alcuna deroga dalla tortura burocratica quotidiana) nella cieca convinzione che la sua iniziativa dispenserà automaticamente, oltre al proprio interesse, anche ricadute miracolose nell’interesse collettivo.

Riferimenti bibliografici

“The Winter Olympics: driving urban change, 1924-2022” a cura di Essex & De Groot, in “Olympic Cities”, ed. Routledge, London (2017),

“Milano Cortina 2026. Ombre sulla neve” a cura di Luigi Casanova, Altraeconomia, novembre 2022.


[1]    “Olimpiadi Milano Cortina 2026: conto alla rovescia a tre anni esatti dall’inaugurazione.” Fondazione Perini, Milano, 28 febbraio 2023

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