L’urbanistica perduta 

UCTAT Newsletter n.64 – FEBBRAIO 2024

di Paolo Debiaggi

Le questioni che stanno animando in questi ultimi tempi il dibattito cittadino sulla città in divenire, riguardano una materia (un tempo considerata addirittura disciplina) che resiste nella sua definizione all’interno di qualche ateneo, ma che a Milano, la città più innovativa d’Italia, ha perso completamente, da diversi anni, diritto di cittadinanza. Parlo di pianificazione urbanistica, un tempo considerata come disciplina finalizzata a definire le politiche urbane e territoriali.

Sì, perché le inchieste della magistratura di cui si da conto da qualche settimana sugli organi di stampa, relative ad alcuni consistenti interventi di sviluppo immobiliare nella città, non possono essere derubricate candidamente a questioni di “cortile”. Ciò che emerge progressivamente, relativamente alle indagini della Procura milanese, è che tutte le operazioni riguarderebbero una modalità amministrativa che ha contraddistinto la governance dell’attività trasformativa più recente in Milano.

Dalle cosiddette Park towers in via Crescenzago, alla torre Milano in via Stresa, all’edificio in Piazza Aspromonte, fino alla più recente notizia che riguarda il cosiddetto Bosconavigli in costruendo tra piazzale delle Milizie e viale Troya, le indagini potrebbero potenzialmente riguardare molte altre operazioni recenti, in corso o già concluse. E, comprensibilmente, si sono registrate non solo le reazioni allarmate degli esponenti della amministrazione cittadina, dal Sindaco all’ Assessore alla Rigenerazione Urbana (da qualcuno genialmente riconiata sul web in De-generazione urbana), ma anche quelle dei funzionari del settore tecnico del Comune che, terrorizzati dall’essere coinvolti dalle indagini, hanno chiesto in blocco il trasferimento ad un settore meno esposto al rischio di firma. Ma anche i costruttori, gli immobiliaristi e i professionisti locali hanno tutti manifestato pubblicamente le proprie preoccupazioni nel vedere in pericolo, rallentate o compromesse, le proprie attività.

Allineandoci alla narrazione dell’amministrazione cittadina, si tratta proprio di veder messa in crisi quella volontà di promozione della “rigenerazione urbana” (termine ab-usato a sproposito come più volte sottolineato da queste pagine[1] ), così glorificata e fiore all’occhiello dei suoi protagonisti. Peccato però che per favorire ciò, ovvero l’intervento privato di sostituzione edilizia, sia stata assunta una modalità amministrativa, ora sotto la lente della Procura, che ha consentito di costruire nuove volumetrie residenziali, esponenzialmente più massicce rispetto alle preesistenze sostituite, spesso nemmeno residenziali. Attraverso procedure edilizie autorizzative dirette e senza alcuna mediazione di  piani urbanistico-attuativi che determinassero, facendolo poi correttamente sostenere agli sviluppatori, il costo collettivo indotto da tali nuovi massicci carichi urbanistici. Principio sacrosanto, affermato dalla legge nazionale del 1968 sugli standard urbanistici che, seppur ritenuto probabilmente desueto nell’innovativo “modello Milano”, pretende che mentre la città aumenta la sua densità abitativa, si realizzino parallelamente maggiori servizi pubblici per i nuovi cittadini, quali scuole, parchi, servizi socio-sanitari e assistenziali e culturali,.. L’amministrazione comunale sostiene che tutto sia stato fatto seguendo le regole, semmai il problema sarebbe il groviglio di norme, leggi, aggiornamenti, circolari, sovrapposte negli anni a formare una giungla ardua da derimere. Come dargli torto, questo è un tema che quotidianamente assilla la pratica professionale e amministrativa di ogni addetto al settore in tutta Italia e rappresenta un macigno che andrà rimosso o ridimensionato se si vorrà restituire un minimo di credibilità ed efficacia al governo del territorio. Allo stesso tempo non vi è motivo, per quanto finora emerso, di mettere in discussione la buona fede di chi ha operato, funzionari, dirigenti e professionisti, nel seguire una prassi oggi messa sotto osservazione dalle inchieste della Procura.

Ma la questione vera è un’altra, non può essere evitata e, anzi, proprio le indagini in corso inducono ad affrontare senza infingimenti e reticenze, con il pieno coinvolgimento di ogni portatore di interesse, compresa quella società civile la cui rappresentanza è sempre più organizzata in gruppi spontanei nati per contrastare specifici progetti di cementificazione (da San Siro a piazza Baiamonti e molti altri), piuttosto che da una rappresentanza illuminata e intellettuale che sembra oramai evaporata dal dibattito civico.

Si tratta della deriva di un fenomeno politico-culturale e amministrativo ben profondo che ha investito gli ultimi anni la strategia amministrativa milanese, accelerata esponenzialmente dopo l’evento Expo. Che si stia assistendo ad una densificazione mostruosa del tessuto urbano e alla corsa sfrenata a costruire e cementificare ogni spazio residuale, è fenomeno evidente a tutti, percepito all’osservazione anche dei cittadini meno esperti in materia urbanistica. Non si tratta di verificare se i funzionari e dirigenti comunali hanno o meno applicato legittimamente qualche articolo di norma scritta impropriamente o determinare la prevalenza della normativa statale, su quella regionale, su quella cittadina, a questo ci penserà con i suoi tempi e modi la giustizia, ma di valutare politicamente le conseguenze di una consapevole e convinta scelta di campo politica, cui gli esiti sotto indagine non sono altro che la diretta e logica conseguenza.

La linea politica delle giunte che hanno governato la città negli ultimi anni è stata all’insegna di un sostanziale laissez faire a beneficio degli investitori privati, trasformando Milano in un’oasi felice per fondi e sviluppatori immobiliari in cui le tante opportunità trasformative create da un abile strategia di place making e da un favorevole contesto normativo-procedurale, si è accompagnato da un maxi bonus rappresentato da oneri di urbanizzazione mai aggiornati per oltre 10 anni.

Noi non ci siamo più volte soffermati su queste pagine a ragionare sul vero significato di Rigenerazione Urbana per questioni solo semantiche, ma per denunciarne l’uso strumentale e pericoloso che è stato perpetrato dall’abuso di questo termine negli anni, per nascondere il massiccio sviluppo immobiliare senza alcun ritorno collettivo e con, anzi, l’esito evidente di distorcere in maniera abnorme i valori di mercato, accrescere le disuguaglianze sociali, creare fenomeni di gentrification, insieme ad esiti quantomeno contraddittori in termini di impatto sul paesaggio urbano delle tante trasformazioni operate, trascurando sfide ben più emergenti nell’attualità, quali il tema della casa pubblica, il recupero delle periferie, la qualità dello spazio e dei servizi pubblici, l’implementazione del trasporto pubblico in tempi non biblici e azioni incisive di adattamento al clima che cambia, solo per citarne alcune.

L’annunciata revisione del PGT non sia ora il tentativo di introdurre gli accorgimenti necessari che consentano di proseguire la folle corsa del mattone, ma sia vera occasione di correggere la rotta ascoltando le esigenze dei cittadini. Non posso che ribadire l’auspicio già espresso nella newsletter di novembre scorso. Analizzare le istanze e i bisogni, monitorare gli esiti delle scelte passate, valutarli criticamente supportati da analisi e dati credibili, avere il coraggio di cambiare laddove necessario e riorientare gli obiettivi, le regole e le prassi. Questo ci si attenderebbe dalla revisione dello strumento di governo del territorio. Vedremo, nei prossimi mesi, se l’obbiettivo di questa revisione sarà quello di orientare un cambiamento di rotta e guardare finalmente agli interessi di una città che negli ultimi anni, a colpi di cosiddette rigenerazioni urbane, sembra avere perso oltre che la sua identità fisico-morfologica anche la capacità di cura verso i suoi cittadini oppure quello di riapparecchiare la tavola per gli appetiti degli operatori e dei fondi immobiliari in cerca di ulteriori opportunità di business[2] .

Purtroppo, i segnali che arrivano da coloro i quali dovrebbero essere protagonisti di questa riflessione non sono incoraggianti, anzi, vanno nella direzione contraria. La recente pubblicazione dell’Assessore Tancredi “next_Milano 2015-2030 urban regeneration” seppur nell’ introduzione del Sindaco Giuseppe Sala  venga definita come “narrazione, essenziale e scevra da sfumature ideologiche o politiche, di chi ha vissuto da addetto ai lavori, all’interno dell’amministrazione, il percorso di circa trenta anni di rigenerazione della città” appare in realtà come un goffo tentativo di affermare, a posteriori, l’esistenza di una qualche forma di visione, di regia pubblica, ad uno sviluppo trasformativo in realtà operato dai privati e subito dalla città. Scorrendone le pagine appare evidente l’obiettivo di perseverare nella autocelebrazione di un modello considerato vincente e senza limiti. Un modello imperniato sulla partnership pubblico-privata come modalità applicabile ad ogni contesto, dalla realizzazione degli spazi e servizi pubblici, alla realizzazione e gestione dell’edilizia pubblica, senza considerare che, l’esperienza insegna in maniera evidente, tale modello può funzionare solo in presenza di una politica forte e di un apparato pubblico-amministrativo in grado di contrastare la naturale tendenza dell’investitore privato a massimizzare i profitti e creare posizioni dominanti, principio non sempre compatibile con il benessere collettivo e la tutela dei più deboli.

Vittorio Gregotti, Progetto per l’area tra la Stazione di Porta Garibaldi e via Galilei, 1979.

[1] P.Debiaggi “Rigenerazione urbana a sproposito” Newsletter Uctat, luglio 2019

[2]   P.Debiaggi “Rigenerazione urbana nel modello Milano, Newsletter Uctat, novembre 2023

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