UCTAT Newsletter n.16 – ottobre 2019
di Alessandro Ubertazzi
Anni fa, dopo avere letto il bel libro di Tomàs Maldonado sul “futuro della modernità”, ho scoperto un po’ per caso che il termine “moderno” era stato usato per la prima volta in modo consapevole da un orafo che operava a Padova attorno alla metá del 1400: il famoso artista si chiamava Galeazzo Mondella che con lo pseudonimo di “il Moderno” aveva voluto contrapporsi all’altro bravissimo orafo-scultore di nome Pier Jacopo Alari Bonacolsi, che aveva invece voluto definirsi “l’Antico”.
In realtà, mentre l’Antico modellava le sue creazioni nei modi squisitamente classici, direi perfino “ellenistici”, il Moderno (con evidente assonanza al suo cognome Mondella) aveva coniato quel nome per evidenziare che egli intendeva aderire espressamente alla temperie culturale umanistica, esprimendosi cosí nei “modi” caratteristici del proprio tempo: le poche opere che ci sono pervenute con la sua firma recano infatti la scritta opus Moderni.
Indubbiamente allora, i “modi” innovativi della cultura che, dal matematico Dondi in poi, si erano sviluppati in ambito patavino (certamente influenzati dalla scuola filosofica neoplatonica), sono concettualmente assai differenti da quelli sottesi oggi dal termine “moderno”.
Per meglio comprendere l’espressione odierna occorre infatti accennare all’attuale concetto di “moda”. In realtà, il termine che identifica questa realtà produttiva riferita al settore dell’abbigliamento, è stato collegato per decenni ai precetti stagionalmente dettati dagli stilisti francesi: attraverso le loro influenti e autorevoli riviste, essi si rivolgevano a tutte le donne del mondo e queste vi si uniformavano volentieri, ricorrendo di volta in volta alla produzione delle maisons ovvero all’attivitá di sartorie, di sarte e di sartine.
Solo in tempi piú recenti, non altrettanto supportati dalla straordinaria capacitá comunicativa dei cugini d’oltralpe, la grande rivoluzione nel settore dell’abbigliamento è stata effettuata dalle Case italiane: grazie ad esse la moda dell’intero Pianeta si è finalmente liberata del dictat di una sparuta oligarchia di stilisti per divenire qualcosa di piú divertente e creativo, a disposizione di tutti.
Sono solito definire la moda di oggi come «quel settore produttivo che, nel fornire gli indumenti necessari alle persone, consente loro di esprimersi in modo tale che ciascuno possa declinare la propria immagine nel modo piú adatto alle diverse circostanze»: in tal senso, analogamente a quanto è avvenuto per il mobilio e per i complementi di arredo, gli abiti e gli accessori d’abbigliamento che la moda propone in un caleidoscopio di opzioni anche concettuali, costituisce oggi la tavolozza alla quale possiamo attingere per valorizzare la nostra personalità e per ottenere l’immagine che vorremmo accreditare di noi stessi, nei “modi” del nostro tempo. Non per caso, Milano è da qualche anno la capitale di questa nuova moda cosí come lo è, da maggior tempo, per il settore dell’arredo.
Oggettivamente, Milano è il crogiolo di tutte le forme della creatività progettuale riferibili al settore del design che comprende appunto, giustamente, anche la moda: piú che allo stilismo d’alto bordo (che rientra piú propriamente nel mondo dell’arte) mi riferisco soprattutto all’ambito del prêt à porter.
Tutto ció premesso, una cittá come Milano deve assolutamente perseguire con maggiore intelligenza e creativitá una piú sostanziale qualità dell’ambiente urbano: ció vale, ovviamente, anche per tutti gli altri luoghi del nostro stupefacente Paese. Occorrerà perciò rivisitare urgentemente il corredo degli oggetti e dei sistemi di componenti destinati all’equipaggiamento delle nostre cittá in modo che esso, prestazionalmente ed esteticamente, sia davvero coerente con i modi del nostro tempo ovvero, meglio, con i modi che il design (quello autentico) è in grado di predisporre per un futuro desiderabile.
