UCTAT Newsletter n.14 – luglio 2019
di Giovanni Castaldo
Milano ha una popolazione di 1,3 milioni di persone, oltre 3 milioni nell’area metropolitana come recentemente delimitata (Ex Provincia) e quella della Grande Milano con assetti variabili da Piacenza a Novara, Brescia dai 6 agli 8 milioni. Difatti Milano è il secondo Comune italiano per numero di abitanti e con l’agglomerato urbano è la quarta area metropolitana più popolata d’Europa.
Sulla base di dati Istat 2017 nella città metropolitana di Milano la popolazione residente in aree periferiche è il 44,2 %, contro una media italiana del 59,5 %, con una delle percentuali più basse a livello nazionale di popolazione residente in quartieri con alto potenziale di disagio economico.
In tale scenario vi sono comunque diverse aree periferiche che presentano condizioni di degrado sociale, spaziale e ambientale. A Milano i quartieri di Baggio, Quarto Oggiaro, Barona, Comasina, Gratosoglio, Case Bianche sono ambiti caratterizzati da una consistente presenza di edilizia popolare con problematiche ricorrenti, che possono essere così sintetizzate: carenza di servizi, degrado edilizio con patrimoni in mediocri o pessime condizioni per mancanza di manutenzione ordinaria e straordinaria, fenomeni di abusivismo, ricorrenti casi di illegalità, degrado dello spazio pubblico e dell’ambiente e conflitti sociali tra ceti deboli.
Negli ultimi anni i tentativi sia di iniziativa governativa che locale di affrontare la questione delle periferie sono stati molteplici, con la presentazione e la ratifica di svariati programmi di intervento.
Nel 2016, con grande enfasi mediatica, è stato firmato il “Patto per Milano”, una intesa istituzionale di programma tra Presidenza del Consiglio dei Ministri e Città di Milano, nel quale venivano programmati una serie di interventi sia infrastrutturali che di riqualificazione delle periferie attraverso l’impiego di risorse locali, nazionali ed europee. Tra gli interventi previsti, oltre al prolungamento della M5 a Monza, a una serie di ammodernamenti alle reti esistenti, a nuovi mezzi per il trasporto pubblico, a interventi per la prevenzione idraulica per dissesto idrogeologico, vi erano opere di manutenzione straordinaria e di riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico e la rigenerazione di aree in ambiti periferici. Gli effetti sul territorio di tale Patto non sono ad oggi evidenti e anche le informazioni sullo stato di avanzamento non sono reperibili.
Nel 2016 viene lanciato anche il Bando nazionale per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie. Un programma che stanziava 2,1 miliardi di euro per interventi portati avanti da Comuni. A fronte di 120 Comuni ed enti locali meritori di finanziamento, la legge Milleproroghe 2018 ha bloccato tale finanziamento per 96 Comuni, tra cui Milano.
A Milano il tema periferie è stato cruciale anche in fase elettorale per le amministrative 2016 e all’avvio del mandato della Giunta Sala. Il Piano Periferie del Comune di Milano, lanciato dal Sindaco dopo le elezioni, prevedeva l’investimento di 296 milioni di euro in 5 ambiti periferici della città: Gallaratese, Niguarda-Bovisa, Adriano, Giambellino, Corvetto-Chiaravalle. Di tale piano solo alcune progettualità sono state avviate e altre sono confluite in altri programmi.
Si fa riferimento in particolare al Piano Quartieri 2018-2019. Questo piano rappresenta gli investimenti in opere che il Comune di Milano ha programmato, sta realizzando e realizzerà negli anni futuri. Un investimento complessivo di 1.616,8 milioni di euro: 1.234,5 milioni riguardano progetti e interventi già definiti e in fase di realizzazione o di avanzata progettazione; 382 milioni riguardano investimenti per interventi da progettare; parte di questo budget, pari a 200 milioni di euro, sarà destinato a progetti da realizzare nei quartieri e da definire a seguito degli incontri con i cittadini.
A fronte di questa rapida sintesi, la programmazione degli interventi e la pianificazione dei finanziamenti per le periferie a Milano appaiono a dir poco disordinate e poco efficaci: patti e iniziative che dopo la presentazione pubblica confluiscono in successivi piani di investimento, con l’effetto di non incidere significativamente sulla città e di posticipare l’avvio dei progetti. Il Piano Quartieri 2018-2019, ad esempio, prevede il finanziamento di opere pubbliche già inserite nel Piano triennale o addirittura iniziative già avviate da altri operatori, con solo una piccola quota per opere da definire attraverso processi partecipativi, di scarso impatto per un complessivo miglioramento della qualità urbana delle periferie.
Indubbiamente la questione delle periferie non è di facile soluzione, con molte problematiche legate, ad esempio, alla compresenza di più enti e operatori pubblici proprietari e gestori dei patrimoni. Da parte dell’amministrazione sembra però non esserci una strategia per affrontare il problema: oltre alla mancanza di organici programmi di finanziamento e di tassazione – così come avveniva in passato con piani nazionali poi articolati e applicati a livello locale – non vi è una progettazione a scala di comparto urbano con progettualità strutturali: vengono prevalentemente portati avanti interventi puntuali senza una complessiva vision di riqualificazione di grandi parti di città. Tale rinuncia programmatoria e progettuale non può che aggravare la condizione delle periferie.
Lo stesso Sindaco ha avuto modo di richiamare, rispetto ad altre azioni amministrative più efficaci, il ritardo nel mettere in atto una politica attuativa sulle periferie, elemento centrale del suo programma elettorale. La questione rimanda a una intersettorialità delle diverse azioni (sociali, economiche, urbanistiche) che richiederebbe un salto di qualità nel management dell’azione amministrativa, con una esplicitazione di un piano di azione chiaro nelle linee guida e nelle priorità. Lo stesso Piano di Governo del Territorio recentemente adottato, pur con elementi di una qualche novità come richiamato in altri contributi della Newsletter, sul problema specifico delle periferie non esprime una chiara linea operativa.
Il problema quindi continua a rimanere latente col rischio di aggravarsi ulteriormente, e pertanto è necessario che sia messo all’ordine del giorno dell’agenda politica con ben altra determinazione.