Nella competizione sul “Vigorelli” perdono tutti, anche l’urbanistica

UCTAT Newsletter n.23 – maggio 2020

di Alfredo Castiglioni

L’elemento che a mio avviso caratterizza gli interventi edilizi a Milano negli ultimi anni – anche quelli con le maggiori pretese “architettoniche” – è la mancanza (o quanto meno la grave carenza) del contenuto urbanistico: infatti essi palesano sicuramente il loro aspetto di “design” (più o meno riuscito), ma appaiono privi di capacità di qualificare adeguatamente il contesto urbanistico e quindi la qualità urbana. 

È questa la riflessione che non posso evitare tutte le volte che da piazza Gae Aulenti scendo la scalinata coperta verso la stazione FS di Porta Garibaldi. Per decenni ho sperato che il tanto atteso intervento sulle aree “ex Varesine” (oggetto di svariati concorsi) riscattasse lo squallido accesso alla pregevole pensilina della citata stazione (ricordo che nel gruppo di progettazione vi era Eugenio Gentili Tedeschi). Oggi invece il “disagio” è ancora maggiore, perché si è aggravato il contrasto tra le pretese di qualità urbana espresse dalla piazza ed il permanere dello squallore del percorso che conduce i pedoni verso uno dei punti nevralgici della mobilità urbana (linea FS, passante, MM, ecc.): l’attraversamento semaforizzato di una strada trafficatissima (dove il pedone è sicuramente la parte debole), un percorso tortuoso ricavato tra informi cordonature che alludono ad aiuole; la “palpebra” della pensilina – che nell’intenzione dei progettisti dell’epoca doveva protendersi verso la città nel gesto della “accoglienza” – continua ancor oggi a coprire un reliquato di terreno spelacchiato, conteso da taxi e da mezzi alla ricerca di un parcheggio abusivo.  Nulla di più distante da quello che mi ero aspettato per così tanti anni: un percorso pedonale e ciclabile attrezzato (accessibile a diversamente abili, ipo e non vedenti, ecc.), che accompagnasse gli utenti sotto la “palpebra” transitando in parte immersi nel verde e per il resto scavalcando la strada veicolare protetti da barriere anti – rumore.
La spiegazione di questo deludente risultato urbanistico potrebbe essere fornita dalla matrice privata dell’intervento di piazza Gaia Aulenti, seppur convenzionato dall’operatore privato con il Comune.

Ma un altro caso, a mio avviso ancora più esplicito, rende questa ipotesi non convincente: è quello fornito dalla cosiddetta “riqualificazione” del velodromo Maspes Vigorelli, avviata dal Comune nel 2012 con un “Concorso internazionale” e portata a termine da pochi mesi con la “manutenzione ordinaria e straordinaria” dell’esistente. Qui l’operatore infatti è stato il Comune, ma il risultato non è cambiato, anzi è stato peggiore del solito.
Per consentire al lettore di comprendere la grande potenzialità di cui godeva l’iniziativa ricorriamo all’espediente (anche per alleggerire i toni di quella che diventerà ben presto una “brutta storia”) di esporre i crudi dati tratti dai documenti ufficiali nella forma avvincente della “radiocronaca” di una gara ciclistica.


La “competizione” scatta il 05 ottobre 2012 ed ha grande risalto sulla stampa e sui “media” grazie alla fama acquisita in anni ormai remoti dal “tempio” del ciclismo su pista non solo italiano ma mondiale. La conclusione della gara è fissata per il 04 dicembre 2012: non si tratta quindi della riedizione della classica “6 giorni” che per anni è stata ospitata nel glorioso velodromo, bensì di un’inedita “60 Giorni”. Ma questa è solo la fase di “pre – qualifica” della gara! Non sappiamo quanti siano i partecipanti al via, ma giungono al traguardo intermedio ben 103 squadre, costituite ciascuna da un “capitano” ed in media da altri 6 componenti, per un totale di non meno di 720 concorrenti, oltre ad un numero imprecisato di “gregari”.
Ma a scattare dalla linea di partenza sono stati molti di più: alcune squadre arrivano fuori tempo massimo e vengono dolorosamente messe fuori gara, mentre molte altre si fermano durante il percorso (ritirate!) ed il loro nome non sarà mai conosciuto. Le squadre giungono da tutto il mondo: oltre che da varie città d’Italia, in particolare da (in ordine rigorosamente alfabetico): Austria, Belgio, Colombia, Germania, Giappone, Inghilterra, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Slovenia, Spagna, USA. Molte squadre straniere schierano concorrenti italiani, soprattutto milanesi oppure al più lombardi (forse perché conoscono i segreti della pista del Vigorelli?).  
La giuria della fase preliminare della gara (la cui composizione viene rivelata dopo l’arrivo al traguardo dei concorrenti) è costituita invece tutta da arbitri italiani, anzi direi tutti “milanesi”; si mette al lavoro il 18.12, proseguendo il 19 ed emette il suo verdetto già in data 20.12.2012: in graduatoria al primo posto è la squadra con capitano giapponese che ha lieve margine di vantaggio sulla squadra giunta seconda capitanata da un parigino; seguono con netto scarto, ma nel giro di pochi punti, varie squadre con capitani “milanesi” ed una squadra con leader della Slovenia; chiudono con maggior scarto una squadra “milanese” e quella con un leader di Bruxelles. I media danno diffusamente notizia dell’esito sempre grazie all’attrattiva esercitata dal mito del “Vigorelli”.
Le 10 squadre meglio classificate passano quindi in “finale”, che si svolge – anche in questo caso – non in una “6 giorni” bensì in una sfiancante “94 giorni” (dal 21 dicembre 2012 al 26 marzo 2013). La Giuria è cambiata rispetto alla precedente, ma ancora tutta italiana, anzi anche stavolta tutta “milanese”. Essa emette il verdetto finale alla terza riunione in data 18 aprile 2013: prima viene indicata una delle squadre milanesi (ma imbottita di oriundi e stranieri) che sembra sia riuscita allo sprint ad effettuare una notevole rimonta (era solo settima nella prima fase), seconda quella francese conferma il piazzamento precedente), terza ancora una “milanese” (che guadagna un posto rispetto alla selezione); seguono – staccate – le altre sette squadre. Nessun peso nella classifica sembra avere avuto il puntuale lavoro di verifica – svolto da una Commissione istruttoria – di corrispondenza tra elaborati consegnati e richieste del bando, benché siano segnalate anomalie più o meno significative per ben 8 concorrenti su 10, tra cui il vincitore.  Discreto è il risalto sulla stampa, probabilmente più per merito del vecchio Velodromo Vigorelli – benché da anni abbandonato a sé stesso – che della fama delle squadre e dei loro leader, stante che fino al verdetto finale esse sono stati costrette a partecipare “in anonimato”! Il “monte premi” per la gara in due fasi sul “Vigorelli” è davvero lauto: Euro 25.000,00 al vincitore (anticipo di una futura parcella più cospicua, che – come poi vedremo – svanirà ben presto); per le altre squadre ben Euro 5.000,00 a testa; totale del monte premi: Euro 70.000,00.
Terminata la “radiocronaca” dell’evento, passiamo ora alla valutazione critica degli aspetti della vicenda che incidono sull’interesse collettivo, in particolare dei milenesi.

Vediamo innanzitutto se è stato raggiunto lo scopo dell’iniziativa intrapresa con tanta enfasi dal Comune (amministrazione comunale con Sindaco Pisapia, ma responsabile del Concorso il vice sindaco avv. Ada De Cesaris  /Assessore all’Urbanistica e all’Edilizia privata, con l’assessore a sport, benessere e qualità della vita Sig.ra Chiara Bisconti in un ruolo visibilmente secondario); per verificarlo ricorriamo innanzitutto al “Documento preliminare alla progettazione” da cui si traggono le finalità del Concorso, così riassumibili:
“Scopo principale (omissis) è l’acquisizione di un progetto che (omissis) permetta lo svolgimento di diversi sport (sia di livello professionistico che dilettantistico) e consenta, al contempo, la coesistenza di nuove destinazioni d’uso (omissis). L’Amministrazione comunale ha quindi l’obiettivo di promuovere un programma di riqualificazione e rifunzionalizzazione dell’immobile con l’obiettivo (ripetizione, ndr) di riconsegnare ai cittadini un impianto sportivo rinnovato, di richiamo internazionale, che preveda il mantenimento delle attività esistenti e l’introduzione di spazi compatibili e di aggregazione sociale. La nuova struttura dovrà, perciò, avvicinare la cittadinanza a partecipare alle attività sportive o connesse ospitate al suo interno e, allo stesso tempo, diventare punto di riferimento per le vicine zone abitate, anche attraverso la ridefinizione della limitrofa area di pertinenza. In tal senso assume particolare importanza la trasformazione dell’attuale impianto in un complesso architettonico di grande qualità ed emblematicità. Un elemento urbano di eccellenza capace di interagire con il recente contesto in corso di trasformazione: quartieri CityLife e Portello e nuovo Centro Congressi di Fiera Milano”.   
Ad una prima lettura gli obiettivi sembrano chiari, ma ad una analisi approfondita affiorano gravi ambiguità: la principale riguarda la sopravvivenza o meno della famosa pista in legno e l’individuazione delle parti architettoniche da mantenere! Basti pensare che a fase finale avviata il Comune è costretto ad effettuare il rilievo dell’edificio perché alcuni concorrenti hanno segnalato che i grafici distribuiti per la gara non corrispondono con la realtà in modo significativo: da questo e da altri indizi molti ritengono che da parte del Comune ci sia stata scarsa attenzione alle pre – esistenze e si punti molto sul “nuovo”.
Il costo dell’intervento non deve superare Euro 18.000.000,00 comprensivo di oneri di sicurezza, oneri fiscali, spese tecniche, ecc.. (per i lavori veri e propri restano Euro 13.000.000,00): una cifra elevatissima, raramente messa a disposizione di un progetto oggetto di un Concorso di architettura! 
Vengono indicati in particolare quattro temi progettuali da sviluppare:

  • Ideazione di una struttura multifunzionale di carattere sportivo;
  • Interventi di rinnovamento architettonico;
  • Nuovi utilizzi, nuove funzioni connesse alle attività sportive;
  • Qualificazione degli spazi esterni di pertinenza.

Il quarto punto è quello che ha più attinenza con l’aspetto urbanistico ed il contesto del quartiere: “La riqualificazione dell’impianto dovrà anche considerare la progettazione degli spazi aperti, esterni alla struttura, in modo caratterizzante e coerente rispetto alle funzioni insediate (es.: aree gioco di quartiere, spazi di sosta o ristoro all’aperto, ecc.) anche di tipo commerciale. Inoltre, il progetto dovrà tenere conto del tema dell’accessibilità di servizio (pullman atleti, taxi, mezzi di soccorso, ecc.) e delle connessioni pedonali rispetto al vicino Parco CityLife ed alle principali funzioni d’interesse pubblico presenti nel quartiere)”.

Per approfondire la verifica del raggiungimento delle finalità dell’iniziativa ci rifacciamo alle “Linee guida progettuali” allegate al citato Bando di concorso, che così recitano:
“L’edificio, sottoposto a tutela ai sensi del D.Lgs. 42/2004 (tutela storico – artistica e paesaggistica in quanto edificio pubblico costruito da più di 70 anni; ndr), dovrà essere preservato nella sua struttura compositiva principale. Al contempo potranno essere introdotti elementi architettonici, costruttivi o di finitura in grado di elevare la qualità formale del manufatto e il grado di benessere degli utenti. Il progettista dovrà tenere conto delle indicazioni fornite dalla locale Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici (vedi paragrafo 4.4.) (omissis)
“4.4. Indicazioni della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Milano (si riporta il testo pubblicato dal Comune, ma non conosciamo il documento originale pervenuto dalla Soprintendenza; ndr).

(omissis):

  • sia valutata la possibilità di conservare e restaurare una porzione della storica pista in listelli di pino (omissis) quale memoria tecnologica e storica;
  • pur consentendo l’adeguamento dell’attuale componente strutturale, venga proposta una soluzione coerente con la spazialità e le gerarchie compositive originarie: eventuali tamponamenti degli alzati saranno realizzati con materiali e tecnologie costruttive tali da rispettare la lettura della trasparenza del progetto originario;
  • siano mantenuti e valorizzati gli ingressi originari nel rispetto delle attuali norme di sicurezza (omissis).

Infine si sottolinea che “i concorrenti (selezionati per la fase finale, ndr) devono sviluppare l’idea progettuale che gli stessi hanno presentato nella precedente fase di prequalifica”. Quindi in sostanza nella seconda fase non è possibile modificare l’impostazione progettuale manifestata nella fase di pre – qualifica (eppure nella fase finale si verificano vistose modifiche di punteggio almeno per uno dei concorrenti rispetto alla fase preliminare).
Bene, cosa è accaduto dopo la proclamazione del risultato finale del Concorso?
Già subito dopo la divulgazione dei risultati della “fase preliminare” intervengo vivacemente sui mass media varie associazioni di “amanti” della bicicletta che sollevano dubbi sull’effettiva prosecuzione dell’attività sportiva ciclistica nel “nuovo” Vigorelli, che sembra negata dalle proposte di molti dei concorrenti finalisti, almeno in base alle “anticipazioni” riportato da vari organi di stampa a partire dai primi di gennaio 2013. Infatti alcuni concorrenti – violando l’impegno alla segretezza previsto tassativamente dal Bando – concedono interviste alla stampa e giungono a pubblicare elaborati grafici mentre il giudizio è ancora in corso, nell’inerzia del Comune e degli Ordini professionali di appartenenza.

La mobilitazione delle associazioni ovviamente aumenta dopo la proclamazione del vincitore della fase finale del Concorso, in quanto il progetto scelto prevede senza equivoci la demolizione della storica pista e la sostituzione con una struttura montabile all’occorrenza, oltre che la realizzazione non solo di una foresteria con 18 camere doppie ma anche di una consistente struttura commerciale, resa possibile dalla cancellazione dell’originaria struttura architettonica. 
Ai primi di luglio, poi, si riunisce a Roma il Consiglio superiore per i beni culturali per valutare il vincolo come bene di interesse storico – culturale, esteso all’intero Velodromo Vigorelli.  In particolare si evidenzia che la pista il legno è stata costruita nel 1935, ma danneggiata dai bombardamenti bellici del 194; essa viene quindi ricostruita nel 1946 ed utilizzata (sempre meno) fino al 2001. Dal 2009 l’ormai “ex – velodromo” è utilizzato come campo di allenamento per una squadra di football americano.

Il Vincolo, datato 3 ottobre 2013 e formalizzato dalla Direzione regionale ai Beni culturali in un atto lungo 25 pagine, viene notificato al Comune a metà dicembre 2013. A seguito della notifica il progetto vincitore del Concorso viene necessariamente accantonato dal Comune, mentre la somma originariamente destinata alla sua realizzazione (pari Ad Euro 18.000.000,00) viene dirottata dal Comune su altre opere, ponendo mano ad ipotesi di interventi di “manutenzione ordinaria e straordinaria” di portata e di costo notevolmente più limitato (Euro 6.000.000,00 circa) progettati dall’Ufficio tecnico comunale. Ma, mentre “tratta” con la Soprintendenza, il Comune testardamente mette in cantiere un ricorso al Tribunale amministrativo regionale contro l’apposizione del vincolo, che viene depositato il 24 ottobre, ma che non viene accolto. A questo punto non resta che portare a termine gli interventi manutentivi, che naturalmente non possono garantire alla struttura il soddisfacimento dei “bisogni” e delle attese della città sollecitati per mesi attraverso i media, ma solo salvaguardare il bene culturale e consentire i limitati utilizzi compatibili con la strutturale storica (in pratica solo ciclismo amatoriale ed il football americano già ospitato da anni).
Dalla consultazione dei siti web apprendiamo ad esempio che nel periodo ottobre / dicembre 2019 la pista del Vigorelli viene aperta ai tesserati di alcune associazioni ciclistiche per un giorno alla settimana, dalle ore 10.00 alle ore 14.00. I tesserati di una dell’Associazioni sportive dilettantistiche per il 2020 sono solo 12. Sono elementi che indicano un utilizzo molto limitato della struttura! A fine febbraio inizierà poi l’emergenza COVID 19 e l’impianto verrà chiuso. 

Tra gli obiettivi dell’iniziativa avviata dal Comune che letteralmente scompaiono dalla scena ci sono quelli relativi all’utilizzo da parte degli abitanti del quartiere e dei cittadini in genere ed alla dimensione urbanistica dell’intervento, che pure alcuni dei progetti finalisti in gara contenevano in quantità e qualità apprezzabili. Alcuni di essi, infatti, prevedevano una estensione del perimetro del vero e proprio velodromo sulle aree pubbliche attigue, al fine di ospitare attrezzature e spazi qualificati aperti agli utenti in tutte le ore del giorno, anche durante gli avvenimenti sportivi previsti nel Velodromo.
Ma come è stato possibile che un’iniziativa comunale così sbandierata (alcuni dicono malevolmente che fin dall’inizio fosse stato pensato come un grande “spot” pubblicitario a costo zero per il Comune!) abbia sortito un esito così misero? Come è possibile che un Concorso cui partecipano oltre 100 gruppi di progettisti multidisciplinari provenienti da tutti i paesi del mondo in una competizione durata oltre 6 mesi abbia come esito finale un normale intervento di “manutenzione ordinaria e straordinaria”? Quante risorse economiche ed intellettuali sono state “sprecate” dai partecipanti per un’iniziativa in pratica conclusa nel nulla! Sarebbe assolutamente auspicabile se si effettuasse un calcolo dei “costi vivi” sostenuti dai partecipanti, includendo anche quelli che hanno consegnato fuori tempo e quelli che si sono fermati durante l’iter! Perché non assumono questo compito gli Ordini professionali di Architetti e Ingegneri, che pure indicano nel “concorso” la forma auspicabile per l’assegnazione di incarichi pubblichi di una certa entità!

Eppure l’attenzione agli aspetti dell’interesse cittadino e dell’urbanistica sembrava garantito non solo dai contenuti del Bando, ma anche dalla composizione della Giuria (in particolare tutta milanese e quindi a conoscenza delle attese cittadine) comprendente l’Ufficio urbanistico comunale, l’Ordine Architetti Milano, il CONI, mentre il Presidente è un docente di ruolo di Urbanistica al Politecnico di Milano ed a sua volta presidente in carica dell’Istituto nazionale di Urbanistica.
Ma leggendo i Verbali della Commissione giudicatrice si comprende chiaramente che la stessa Giuria incontra difficoltà di valutazione, in parte a causa delle evidenti contraddizioni del Bando: ad esempio il rappresentante designato da CONI fa mettere agli atti un circostanziato documento in cui evidenzia l’imprescindibile necessità “di porre a base del progetto architettonico il Piano Economico Gestionale (PEG) (omissis). Queste attività di analisi territoriale, valutazione economico – gestionale, e di scelte di strategie del servizio sportivo non può (e non deve; leggasi non possono e non devono ndr) rientrare, per motivi evidenti, tra quelle che vengono affidate al progettista, ma deve (devono ndr) rimanere competenza del soggetto proprietario della struttura e del soggetto istituzionale di governo del territorio e dello sport a tutti i livelli (omissis).  Il PEG è il presupposto su cui elaborare, sempre da parte del soggetto proprietario e committente, il Programma edilizio (PE) (omissis), PEG e PE sono materiali fondamentali da porre a base della progettazione (omissis). Nonostante che di questi strumenti (o almeno dei loro contenuti) non ci sia traccia nei documenti forniti ai concorrenti, nel Verbale della seduta della Giuria del 17 aprile risulta che l’autore delle citate dichiarazioni “partecipa alla votazione, prendendo atto dell’orientamento espresso a maggioranza dalla Giuria di approfondire la discussione nell’ambito dei progetti appartenenti alla (seconda) categoria d’intervento, che prevede la trasformazione dell’impianto con esclusione della pista di ciclismo”. 

Anche la fase di presentazione dei risultati del Concorso viene gestita dal Comune in un modo che desta dubbi, soprattutto tra i progettisti finalisti. La conferenza stampa che annuncia il risultato viene tenuta in un posto centralissimo (l’Urban Center in Galleria Vittorio Emanuele, angolo piazza Scala, oggi non più esistente), dove tra l’altro poche ore prima è stato presentato il risultato della ben più “importante” competizione relativa al “Padiglione Italia” di EXPO 2015. Ma lo spazio a disposizione è troppo ristretto: infatti le dieci squadre finaliste sono invitate dal Comune a fornire (a loro spese e nel giro di poche ore) solo due tavole – montate su pannelli rigidi – riassuntive del loro progetto, che per la gara doveva invece essere espresso in 5 tavole (sempre su pannelli rigidi). La maggior parte delle squadre si limita a comunicare agli organizzatori la sigla di due tavole scelte tra le 5 del progetto, con buona pace per la significatività necessariamente relativa di quanto compare in soli due pannelli rispetto all’insieme degli elaborati di progetto. Ma quel che stupisce di più è che a ciascuna squadra viene concesso il tempo di 10 minuti per esporre la propria proposta: una semplice formalità che non consente di entrare nel merito delle proposte, di comprendere le differenze tra le varie proposte. Quel pomeriggio a Milano la temperatura meteorologica è molto calda, ma nell’Urban Center l’atmosfera diventa presto incandescente: il Presidente della Giuria avv. De Cesaris quasi viene alle mani con il leader della squadra francese seconda classificata. Ma ce di più: tra i visitatori viene notato il Soprintendente regionale ai beni architettonici, che peraltro non è stato invitato dal Comune, che osserva con molta attenzione i pannelli dei progetti classificati.

Per concludere proviamo a tracciare un bilancio complessivo dell’iniziativa.
Le risorse economiche investite dal Comune sono state modestissime: il “monte premi” del concorso è stato solo di Euro 70.000,00, il compenso per la Giuria (a noi non noto) dovrebbe essere stato limitatissimo, la cosiddetta “mostra degli elaborati” è stata a costo zero ma ridotta al minimo, la pubblicità l’hanno assicurata i mas media grazie alla memoria storica delle imprese dei ciclisti! Infine sono stati spesi sono Euro 6.000.000,00 per lavori contro i 18.000.000,00 previsti: un bel risparmio per le casse comunali!
Le altre voci del bilancio sono invece gravemente passive:

  • non è stata ottenuta la possibilità di ospitare differenti sport e manifestazioni significative;
  • il processo partecipativo alle scelte pubbliche è avvenuto esattamente al contrario: non previsto in fase di redazione del bando e di valutazione dei progetti, è stato attivato a “furor di popolo” quando ormai “i giochi erano fatti”, cioè a posteriori e quindi con risultati parziali e deludenti;
  • il contributo del Vigorelli alla riqualificazione sociale del quartiere di CityFile è risultato modestissimo: l’impianto resta un elemento quasi estraneo al contesto ed i cittadini non lo godono;
  • la credibilità dell’Amministrazione comunale e degli enti coinvolti (Ordine Architetti, ecc.) ha ricevuto un ulteriore duro colpo;
  • disastroso è il consuntivo per i 103 gruppi concorrenti al Concorso “fantasma” (tutti, nessuno escluso, anche il vincitore che non è riuscito a redigere neppure il progetto preliminare) con non meno di 720 “professionisti” (tutti laureati) oltre ad un numero imprecisato di collaboratori, e consulenti: una partecipazione straordinaria dovuta al fascino del tema ed alla (forse infondata) credibilità di Milano nel mondo.

Se volessimo sintetizzare il bilancio potremmo dire che ancora una volta hanno perso tutti, soprattutto l’urbanistica.

Velodromo Vigorelli (foto di Paolo Elli, 2020)
Velodromo Vigorelli