Partecipazione e progetto

UCTAT Newsletter n.18 – dicembre 2019

di Elena Mussinelli 

Il progetto è un processo finalizzato a prefigurare e attuare opere e manufatti che trasformano il paesaggio e l’ambiente costruito in ragione delle esigenze umane, individuali e collettive.
Si tratta di una nozione di progetto pienamente ascrivibile alla cultura della modernità, che negli ultimi decenni sembra però essere entrata in crisi, soprattutto sul fronte delle opere pubbliche, con il fallimento dei modelli operativi di apparati decisionali inefficaci, ancora organizzati secondo logiche decisionali prevalentemente scalari e settoriali; logiche delle quali sono ormai palesi le ineffettualità: quadri legislativi e regolamentari tanto rigidi quanto poco efficienti, scarsa attenzione agli aspetti della fattibilità tecnico-economica, debolezza di processi decisionali spesso segmentati, discontinui e non comunicanti.

Questa inefficacia dell’azione (e della spesa) pubblica si palesa con grande evidenza nel contesto delle scelte e degli interventi in materia di ambiente, le cui criticità sfuggono alle perimetrazioni amministrative che sorreggono i tradizionali strumenti di piano e di progetto.
Ne deriva una diffusa, talvolta aprioristica, ma sovente anche fondata caduta di consenso attorno agli interventi, testimoniata dalla ormai ben nota “sindrome del no”, nelle sue più varie declinazioni: dal NIMBY (Not In My Back Yard), al NIMFYE (Not In My Front Yard Either), al PITBY (Put In Their Back Yard), sino a estremizzazioni quali BANANA (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything), NOPE (Not On Planet Earth) e CAVE (Citizen Against Virtually Everything), in base alle quali si è contrari a tutto, anche a ciò che nemmeno si conosce, né si sa se dove mai potrà essere realizzato… Si è contrari quindi a-priori e comunque, e questo è la negazione della stessa parola “progetto”, negando persino la possibilità di prefigurare una trasformazione: una paralisi dei processi decisionali che sembra rendere impossibile qualsiasi pensiero progettuale.
E’ in questo contesto che il concetto di partecipazione può consentire di ritrovare nuovi spazi per il progetto.

La partecipazione si lega in primo luogo alle pratiche della sussidiarietà (subsidium come mutuo aiuto), un termine spesso richiamato nelle politiche comunitarie e nazionali come possibile leva per una governance utile per superare l’inefficacia di modelli decisionali deterministici e verticistici, attraverso forme di decentramento e delega delle attività di programmazione e pianificazione svolte dalla pubblica amministrazione. Nel contesto italiano, i principi del decentramento amministrativo sono già contenuti nel dettato costituzionale , anche se per lungo tempo hanno stentato a trovare una effettiva applicazione: dopo l’esperienza incompiuta della Legge Delega (382/75) e dei successivi Decreti Delegati (616, 617 e 618/77), l’azione di riforma è ripresa solo alle soglie degli anni 90, con l’emanazione di diversi provvedimenti per il riordino e l’autonomia degli enti locali che non solo hanno progressivamente trasferito a queste funzioni e competenze prima statali (regionalizzazione/federalismo), ma che hanno anche introdotto nuovi livelli e strumenti di cooperazione interistituzionale (unione di comuni e aree metropolitane da un lato, conferenza dei servizi, accordo di programma, intese, sportello unico, ecc., dall’altro). Un percorso ancora non pienamente compiuto, le cui potenzialità dovrebbero essere inoltre maggiormente esplorate nelle prassi operative.

Il principio della sussidiarietà incorpora infatti una doppia valenza: quella verticale top down, finalizzata a portare il potere decisionale il più vicino possibile ai soggetti e ai contesti ove è possibile trovare un adeguato riscontro attuativo e gestionale; e quella orizzontale, che guarda alle forme di partecipazione bottom-up che regolano i rapporti tra gruppi sociali, organizzazioni spontanee di cittadini e altri soggetti di natura pubblica e privata. Da un lato quindi la scelta di attribuire compiti e funzioni decisionali in modo che risultino più vicini ai cittadini e alle comunità locali, dall’altro l’innesco di processi attraverso i quali gli stessi cittadini, organizzati o meno in formazioni sociali, promuovono e attuano azioni concrete volte alla risoluzione di problemi di interesse generale, collaborando con le amministrazioni locali.

Una seconda declinazione della partecipazione fa riferimento all’idea di una concertazione allargata, attraverso metodi di cooperazione interistituzionale che portano dentro alle pubbliche amministrazioni logiche di tipo manageriale e modelli organizzativi più razionali ed efficaci rispetto a quelli burocratizzati in senso negativo che abbiamo ereditato dal passato. Il riferimento è ad esempio alle pratiche del new public management, uno “stile di gestione” mutuato dall’esperienza anglosassone e dal settore privato, e riorientato al risultato in termini di interesse pubblico; pratiche che operano attraverso il coinvolgimento diretto di una ampia rete di soggetti pubblici e privati interessati alla/dalla gestione della cosa pubblica, e questo anche al fine di alleggerire le funzioni di erogazione diretta di servizi da parte del pubblico. A questa visione si può ascrivere anche uno strumento quale il bilancio partecipativo/sociale, che prevede la partecipazione diretta della popolazione alle decisioni in ordine a obiettivi e destinazione degli investimenti pubblici, superando le tradizionali forme consultive e creando un ponte tra democrazia diretta e rappresentativa.

E ancora la partecipazione può essere considerata come uno strumento per la costruzione del consenso, sia nella limitante prospettiva di arginare preventivamente le opposizioni a un determinato intervento attraverso il mero adempimento formale di obblighi consultivi, sia – più efficacemente – attraverso processi di costruzione collegiale delle scelte che coinvolgono in modo attivo stakeholders e soggetti territoriali. Ne sono un esempio esperienze di programmazione quali piani di azione, agende e piani strategici, dispositivi istituzionalmente non rigidi né codificati, che operano attraverso una sistematica e continuativa azione di informazione, formazione e trasferimento delle conoscenze, anche con il ricorso a facilitatori, valutatori, auditor e advisory board per la gestione del conflitto e l’orientamento del percorso decisionale, con la formazione di tavoli di concertazione, community tematiche, network, ecc.

Se molti e diversi sono quindi gli strumenti di tipo formale e informale oggi disponibili per sperimentare forme progettuali partecipate, è però necessario introdurre una riflessione critica: molte esperienze di partecipazione praticate nel recente passato, anche nel contesto milanese, hanno scontato i limiti derivanti dall’adozione di modelli ineffettuali di democrazia orizzontale, incapaci di trovare concreti sbocchi operativi al processo decisionale (come nel caso del dibattito pubblico sulla riapertura dei Navigli), o hanno prodotto esiti inadeguati sotto il profilo qualitativo (limite caratteristico delle sistemazioni temporanee dell’urbanistica tattica, quando non sorrette da un percorso strategico orientato alla definizione di soluzioni strutturali).
L’efficacia e il significato stesso della partecipazione si fondano sulla capacità di riconoscere e attivare una dimensione comunitaria e identitaria nei territori, dove il senso di appartenenza al luogo e la responsabilità del bene comune consentano di innescare un positivo processo di “riappropriazione progettuale” da parte della collettività. E’ quindi necessario mettere in campo azioni finalizzate alla crescita delle competenze dei “non esperti” e alla valorizzazione di quelle “esperte”.

Se la partecipazione non può più essere considerata un elemento opzionale del processo decisionale, tantomeno può configurarsi come una concessione che progettisti e pubbliche amministrazioni accordano – volenti o nolenti – alle comunità locali per ottenere un più facile consenso: è invece un impegnativo lavoro di capacitazione, che le abiliti ad assumere decisioni adeguatamente consapevoli e informate su temi spesso anche molto complessi quali la tutela e la valorizzazione del patrimonio ambientale, culturale e paesaggistico, la mobilità, l’accessibilità, la fruibilità e la sicurezza dei luoghi, la qualità dello spazio pubblico e dei servizi urbani.