UCTAT Newsletter n.22 – aprile 2020
di Giovanni Castaldo
Le prospettive di un diffuso lavoro da casa, di un potenziamento dell’e-commerce, di erogazione a distanza di alcuni servizi, hanno riportato al centro dell’attenzione il tema della qualità dell’abitare e il progetto degli spazi residenziali, sia alla scala dell’alloggio che del condominio.
A questo proposito sarà interessante vedere come evolveranno alcuni progetti, innovativi per il contesto milanese, avviati già prima dell’emergenza Covid.
Faccio riferimento alla promozione di realizzazioni residenziali private destinate esclusivamente all’affitto. Alcuni grandi operatori prima del lockdown avevano avviato e annunciato importanti investimenti in questa direzione. Il cosiddetto segmento living, all’interno del quale si articolano diversi comparti: dalle residenze speciali (student housing, elderly housing) al multifamily, destinato a famiglie, giovani coppie, single e professionisti. Se già l’avvio di investimenti privati nella promozione di interventi di residenze speciali (es. studentati) aveva rappresentato una novità degli ultimi anni, la prospettiva di sviluppo di un’offerta residenziale per una più ampia e diffusa platea di utenti costituisce un ulteriore elemento inedito.
L’area dell’ex Trotto a San Siro e l’area ex Falck a Sesto San Giovanni sono i due ambiti destinati da Hines a questo tipo di sviluppo. Risanamento-LendLease ha annunciato che sta considerando questa opzione per lo sviluppo residenziale di Santa Giulia Nord. Uno scenario inedito per il contesto italiano contraddistinto da una prevalenza assoluta di abitazioni in proprietà (più del 75%) e da sviluppi immobiliari residenziali basati sulla logica della costruzione e della vendita frazionata.
Un segmento che si pone gli obiettivi di realizzare nuovi edifici e quartieri dotati di molti servizi a supporto dell’abitazione, una targettizzazione e segmentazione dell’offerta tipologica degli alloggi, la possibilità di trasferimento all’interno del complesso ad altri alloggi al mutare delle esigenze, e un modello gestionale che ottimizzi il ciclo di vita degli edifici e la fruizione da parte dell’utenza. Appartamenti quindi differenziati per metratura, dotazioni e arredi rispetto alle categorie di utenza (professionisti, single, coppie, famiglie con bambini piccoli). Presenza consistente di servizi come, ad esempio, servizi e spazi per il coworking; spazi di lavoro individuale e colletivo; servizi per professionisti; servizi di babysitting; amenities; servizi sportivi per i residenti; fino depositi per l’e-commerce; spazi refrigerati per la spesa; lavanderia. Tecnologie e impianti centralizzati. Impiego di materiali a ridotta manutenzione. Presenza di una società di gestione immobiliare e di erogazione dei servizi. Il prezzo d’affitto è omnicomprensivo di tutte le spese e utenze domestiche, nonché dei servizi.
Questo modello ha trovato applicazione all’estero. Il built-to-rent, cioè questa tipologia di sviluppo immobiliare finalizzato esclusivamente all’affitto, vede casi già realizzati in Inghilterra, Portogallo, Spagna e America.
La trasferibilità di questo modello in Italia non è cosa scontata, per motivi economici, fiscali, sociali e culturali. Considerando anche l’attuale mancanza di un mercato industriale dell’affitto, senza cioè la presenza consolidata di investitori istituzionali, di società di gestione strutturate per questo tipo di prodotto e, più in generale, una fiscalità favorevole ai grandi portafogli immobiliari.
Un nodo specifico riguarda poi la concorrenzialità di questa formula e quindi la reale incidenza sul mercato. Per capire meglio, si consideri che Hines, ad esempio, dichiara un prezzo d’affitto di 150 euro/mq annui, tutto incluso, anche i servizi. Quindi un appartamento di 80 mq a 1.000 euro al mese omnicomprensivo. Contro prezzi di affitto tradizionale, a parità di metratura, mediamente più alti, a cui aggiungere le spese e i costi per i servizi compresi nel primo caso (es. coworking, palestra, ecc.).
Probabilmente questa formula non è competitiva rispetto alla casa in proprietà, soprattutto se si considera l’attuale favorevole regime fiscale per la proprietà della prima casa e l’andamento vantaggioso dei tassi dei mutui bancari. Si deve considerare che se alcuni gruppi real estate prima dell’emergenza si stavano muovendo in tale direzione, significa che è stata chiaramente individuata una domanda insoddisfatta allo stato attuale, riconosciuta come opportunità di investimento.
Il target di riferimento di questa formula infatti è la crescente fascia di popolazione che per motivi lavorativi o personali non è nella convenienza o nella possibilità di acquistare direttamente un alloggio o di attivare mutui bancari. Diversi studi e statistiche cercano di rappresentare questa nuova domanda che presenta nette metamorfosi rispetto al passato. Sono in corso, ben prima della crisi attuale, cambiamenti demografici e sociali che stanno spostando in avanti l’età di formazione della famiglia e di acquisto della prima casa. L’età media di richiesta di accesso a mutui, sulla base dei dati ABI, è di 44 anni. Anche i cambiamenti del mondo del lavoro influiscono notevolmente: la flessibilità lavorativa si traduce in difficoltà ad assumere impegni economici a lungo termine e la mobilità professionale contraddistingue sempre più i nuovi impieghi.
Più complesso sarà capire se questo modello avrà uno sviluppo e un’affermazione nella fase post-crisi.
Una crisi indubbiamente sanitaria ed economica, ma che potrebbe essere anche “crisi di sistema” con la messa in dubbio di stili e tendenze precedenti. La globalizzazione, la sharing economy, l’orientamento al servizio invece che alla proprietà (l’accesso è preferibile alla proprietà) – elementi primari di un certo sviluppo socio-economico degli ultimi anni – potrebbero essere superati nello scenario futuro. L’emergenza in corso ha evidenziato l’importanza della proprietà e la piena disponibilità di un luogo sicuro, la casa. Ha messo in luce i limiti della concezione di condivisione di beni e servizi, ritenuta meno sicura e protetta di un bene posseduto. La dimensione locale e della bassa densità rappresenta, per alcuni osservatori, la nuova prospettiva di vita e sviluppo. In quest’ottica, l’approccio built-to-rent necessiterebbe un ripensamento, anche per comprendere se sarà un modello compatibile culturalmente e socialmente con il sistema futuro.
Tuttavia c’è anche una visione meno radicale. C’è chi vede in questa fase anche un momento di evoluzione e accelerazione dell’affermazione di modelli già identificabili prima della crisi, che potrebbero dimostrarsi ulteriormente compatibili e favorevoli con i bisogni (abitativi, sociali, economici e lavorativi) che si presenteranno. Tra questi modelli, l’offerta di nuovi prodotti edilizi ad elevata qualità funzionale e tecnologica, ad elevata flessibilità e caratterizzati dalla disponibilità di molti servizi accessori potrebbe costituire una risposta particolarmente adeguata.
